“L’inferiorità mentale della donna”: un libro “scorretto”, pubblicato nel 1998 da Castelvecchi, ormai fuori catalogo e “raro”
Esiste una mentalità rozza e volgare, fondata su pregiudizi contro le donne: il termine che sintetizza tale atteggiamento precostituito è molto noto ed è misoginia. Assolutamente contraria a questa, ma ugualmente del tutto fondata su prevenzioni nella stessa misura acritiche, vi è altresì un’altra posizione ideologica – probabilmente influenzata dal sentimentalismo ottocentesco di marca romantica e oggigiorno molto di moda, anzi un must che accomuna tutte le posizioni politiche -, secondo la quale tutto ciò che è inerente al mondo femminile e alle sue rivendicazioni è bello, buono, vero e giusto. Il termine – meno noto del primo – e che definisce o potrebbe definire tale pregiudizio è filoginia.
Contro di essa – e sulle differenze fisiche e spirituali tra i due sessi – ha scritto molte controverse pagine Paulus Julius Moebius (Lipsia, 1853-1907), psichiatra tedesco, direttore del Policlinico neurologico della città natìa.
La casa editrice Castelvecchi, encomiabile per aver stampato nel corso degli anni molteplici testi “scomodi” e “trasgressivi”, nel 1998 ha dato alle stampe uno “scandaloso” scritto di Moebius, L’inferiorità mentale della donna (Über den physiologische Schwachsinn des Weibes, 1900). Abbiamo notato che esso è da tempo scomparso non solo dal catalogo della casa editrice romana, ma che è introvabile anche nei remainder e nelle vendite on line. Seguendo lo spirito critico di LucidaMente, ci è venuto il sospetto che la scelta di far “sparire” il libro sia stata provocata da motivi legati al politically correct, cui abbiamo dedicato il presente numero della rivista. Come mai oggi circolano nelle librerie italiane porcherie di ogni tipo, che si ammucchiano costituendo scandalose, mortifere cataste, mentre un volumetto non privo di pregi, se non altro stilistici, si è dileguato?
Abbiamo perciò sentito l’attuale direttore editoriale della Castelvecchi, Cristiano Armati, che, nel corso di una cordiale conversazione telefonica, ci ha rassicurato: L’inferiorità mentale della donna è uscito dal catalogo della casa editrice per aver concluso il proprio “ciclo”, senza che vi siano state scelte, censure o motivazioni particolari, né in seguito a particolari pressioni di lettori o associazioni “filogine” o femministe. «Magari» ci ha detto Armati «oggigiorno un libro fosse capace di suscitare reazioni forti, anche sdegnate o scandalizzate!». Conoscendo bene pure noi l’atmosfera di “quietismo” che aleggia sull’editoria e sui libri pubblicati in Italia, l’assoluta mancanza di polemiche, stroncature, recensioni forti, pur di mantenere in quieto vivere, non inimicarsi alcuno, tirare a campare, condividiamo pienamente la considerazione di Armati.
Resta, d’altro canto, la “sparizione” del libro di Moebius. Del resto, l’edizione italiana della Castelvecchi era stata fatta precedere da una insolita introduzione di Filippo Scòzzari. Perché “insolita”? Perché l’artista bolognese – peraltro in genere molto iconoclasta e trasgressivo – prende duramente le distanze dal saggio di Moebius, denigrandolo (!) con affermazioni del tipo: «Mi appresto a sparare su un tedesco scemo che era anche un medico scemo e uno scrittore scemo. Ora fortunatamente è morto da moltissimi anni, quindi è scemissimo, e non lo ricorda un cane». Peccato che lo “scrittore scemo” sia stato un bravo saggista e ancora oggi sia ricordato per aver scoperto sindromi, malattie e sintomi che portano il suo nome. È certamente singolare che un prefatore parli male del libro che sta introducendo (se a uno non piace un libro, evita di fare il prefatore dello stesso), anzi insulti in modo volgare e preconcetto l’autore. E questo la dice già lunga sui vincoli del “politicamente corretto” su cui abbiamo discettato in questo numero della rivista.
Per recuperare qualcosa del libro di Moebius, abbiamo pertanto scelto di selezionarne alcuni brani tratti dall’edizione Castelvecchi, brani che riportiamo di seguito e che oggi appariranno “provocatori” o “maschilisti”. Il lettore (e/o la lettrice), ovviamente, li valuti come meglio desidera, considerando però che ormai siamo, come i cani di Pavlov, condizionati a reazioni obbligate dall’ideologia dominante del politically correct. E che non tutte le donne sono uguali… Forse le stesse donne farebbero bene a prendere coscienza di certi atteggiamenti di alcune e che qualche critica a volute, masochistiche màrtiri di uomini violenti, a conformiste, bigotte, vittimiste, rampanti senza scrupoli ed escort varie farebbe bene a tutte e tutti. Il compito del giornalista e del letterato consiste, comunque, nell’informare, documentare, far conoscere, senza censure aprioristiche. Ecco alcuni brani dal libro di Moebius:
«Gli innovatori politici e religiosi non si accorgono che l’umanità è tutt’una cosa con la Natura e che le leggi umane, dovunque ripetentisi, necessariamente derivano dalla natura stessa degli uomini. Essi credono sul serio che basti avere un giusto obbiettivo e buona volontà perché il mondo muti faccia; non vedono l’uomo reale, il quale nelle circostanze più importanti della vita segue i suoi istinti, ma si tengono d’innanzi agli occhi una figurina di cera, la cui forma possa esser cambiata a volontà e si illudono di trionfare sulla Natura con le loro leggi. Così i femministi pensano di trasformare la donna per mezzo delle leggi e dell’educazione. Ora, è semplicemente puerile il credere che l’essenza della donna, quale si ritrova in ogni tempo e presso tutti i popoli, sia un dato del capriccio».
«Concessione di diritti eguali in un senso ragionevole, non può significare altro che a nessuno venga fatta ingiustizia e che vi sia giusto compenso per ogni prestazione. Si propugni invece l’uguaglianza, sul principio che tutti gli uomini siano uguali, come volevano i rivoluzionari di vecchio stampo: sarà predicata una stoltezza, poiché gli uomini non sono uguali e tanto meno sono uguali i due sessi. Infatti cotesta sciocca idea dell’uguaglianza non ha nulla a vedere col “movimento del proletariato femminile”; si tratta soltanto della soppressione delle miserie, frutto delle nostre infelici condizioni sociali, si tratta di giustizia verso le donne e le fanciulle che sono costrette a guadagnarsi il pane».
«Ciò che generalmente è ritenuto vero e buono, per le donne è in realtà vero e buono. Esse sono rigide e conservatrici e odiano le novità, eccettuato, s’intende, il caso, in cui il nuovo arrechi loro un vantaggio personale. Si dà così l’apparente contraddizione che le donne, strenue a difendere le vecchie usanze, corrano dietro, tuttavia, ad ogni nuova moda; sono conservatrici, ma accolgono per buona ogni assurdità per poco che questa venga abilmente suggerita».
«La loro morale è soprattutto morale di sentimento; la morale che deriva dal ragionamento è loro inaccessibile e la riflessione non fa che renderle peggiori. A questa unilateralità s’aggiunge una ristrettezza di visuale. Giustizia, senza riguardo alla persona, è per esse un concetto vuoto di senso. Esse, nel fondo, non hanno il senso del giusto. Ne consegue la violenza degli affetti, la incapacità al dominio di se stessi. La gelosia e la vanità, insoddisfatta o ferita, suscitano tempeste che non concedono campo a nessuna riflessione d’ordine morale. Se la donna non fosse fisicamente debole, essa sarebbe un essere altamente pericoloso».
«La lingua è l’arma delle donne, poiché la loro debolezza mentale le obbliga a rinunziare alla prova dei fatti, per cui non resta loro che la piena delle parole. La litigiosità e la smania delle chiacchiere non a torto furono in ogni tempo ritenute specifiche del carattere femminino».
«Parimenti è loro caratteristica un’avarizia fuori di luogo. Molto affine a questa caratteristica è l’abitudine a far gran caso di minime questioni. Piccole bagattelle del momento fanno loro dimenticare passato e avvenire, le questioni più serie e le minuzie vengono trattate con lo stesso impegno e spesso ciò che veramente è importante viene trascurato per amor di un nonnulla. Né giovano le dure esperienze, e le dimostrazioni più persuasive provocano bensì teorici assentimenti, ma non mutano lo stato delle cose: “Alla fin fine io son fatta così”».
«Se la donna giudica il comportamento e la condotta di un’altra donna, spesso essa sarà molto perspicace e potrà spingere il suo sguardo molto più a fondo che non la maggior parte degli uomini. Ma la cosa è ben diversa quando si tratta di giudicar se stesse».
«Un certo grado di libertà è assolutamente condizione di vita per l’uomo, sia questi un cacciatore, che deve, libero, scorrazzare pei monti, sia invece un filosofo che deve liberamente muoversi nei regni del pensiero; ma la donna non ricerca affatto la libertà, anzi la sua felicità consiste appunto nel sentirsi legata».
«Quando imparano a conoscere l’amore, come ben presto si dilegua tanto clamore! Resta unico padrone del campo l’amore e le passate aspirazioni non risvegliano ormai altro che allegre risa. Quando, poi, per soprammercato, arrivano i bambini, vengono dimenticate del tutto le infantili aberrazioni dello spirito».
«Nella vita reale la cosa è chiara, ma quando scrivono, gli uomini perdono il buon senso».
L’immagine: l’immagine di copertina dell’edizione Castelvecchi de L’inferiorità mentale della donna di Paul Julius Moebius.
Franco Nardelli
(Lucidamente, anno VI, n. 61, gennaio 2011)