Da dove provengono i segnali di cui ha dato notizia l’Inaf? Cosa li ha prodotti? L’annuncio dell’osservazione è destinato a produrre una grande caccia al colpevole. Al riguardo abbiamo sentito l’astrofisico Nicolò D’Amico
Il 4 luglio 2013 l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) ha pubblicato un comunicato stampa in cui si dava notizia di «brevissimi impulsi nella banda delle onde radio, che hanno viaggiato dalle profondità del cosmo per miliardi di anni». Si parla dunque di lampi radio provenienti da distanze fino a 8 miliardi di anni luce osservati da un team internazionale di ricercatori, tra cui quattro astrofisici italiani dell’Inaf-Osservatorio astronomico di Cagliari e dell’Università di Cagliari. L’annuncio dell’osservazione, ottenuta con il radiotelescopio australiano di Parkes del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (Csiro), è stato pubblicato sull’ultimo numero della prestigiosa rivista Science (vol. 341, n. 6141, 5 luglio 2013, pp. 53-56).
La pubblicazione è destinata a innescare tra gli astrofisici una grande caccia all’origine della fonte che ha fatto scaturire una quantità di energia così potente. I lampi radio in questione, infatti, si presentano come brevissimi e isolati impulsi della durata di qualche millesimo di secondo e arrivano sulla Terra scaglionati in tempi diversi, in ragione della lunghezza d’onda di osservazione su cui si sintonizza il radiotelescopio. I remoti lampi radio sono in numero elevatissimo. Per uno di tali eventi bisogna puntare il radiotelescopio nella giusta direzione coincidente con l’intervallo (brevissimo) di tempo in cui il lampo sta arrivando. Dagli eventi registrati si evince che, statisticamente, giunge una scarica ogni dieci secondi, con una frequenza mille volte più grande di quella degli studiatissimi lampi di raggi gamma. Per capire maggiormente quale possa essere la possibile fonte di questa energia cosmica potentissima e per sapere dei prossimi studi che ci daranno maggiori indicazioni scientifiche al riguardo, abbiamo incontrato e intervistato in redazione il professor Nicolò D’Amico, del Dipartimento di Astrofisica dell’Università di Cagliari, associato Inaf e direttore del Sardinia Radio Telescope (Srt) di San Basilio (Cagliari).
Ben arrivato, professore. Nell’ultimo numero della rivista Science è stato pubblicato l’annuncio dell’osservazione da parte del radiotelescopio australiano di Parkes (Csiro) di lampi radio rapidissimi e potenti della durata di qualche millesimo di secondo e provenienti da una distanza fino a 8 miliardi di anni luce. L’Italia fa parte del gruppo internazionale di ricerca insieme ad altri paesi europei, agli Stati Uniti e all’Australia. Studiare un segnale così potente, proveniente da distanze del genere, è un po’ come per un filologo classico (mi si passi la metafora) studiare e decodificare un testo antichissimo scritto in una lingua difficile da decifrare; operazione nella quale bisogna mettere in atto una serie di strategie di competenza per ricostruire codici sconosciuti. Ci vuole tempo e soprattutto c’è bisogno di un valido team di ricercatori. Ad oggi, cosa è possibile dire su questi lampi radio e quali sono le prime ipotesi fatte? Mi pare che sia un fenomeno del tutto nuovo.«Si tratta indubbiamente di un fenomeno nuovo. Non ci sono ancora ipotesi accreditate, anche se inevitabilmente si pensa in prima istanza a fenomeni catastrofici come le esplosioni di supernove, la coalescenza di stelle di neutroni o di buchi neri. È indispensabile riuscire a fare osservazioni del fenomeno ad altre lunghezze d’onda. La cosa non è ovvia, in quanto la durata di questi lampi è dell’ordine di qualche millisecondo, e quindi, per quanto si possa predisporre un rapido protocollo di allerta, si potranno evidenziare solo eventuali lasciti secondari del fenomeno».
È recentemente entrato in azione nel nostro Paese un nuovo importante strumento di studio della radioastronomia, il quale potrà darci in futuro delle risposte interessanti su alcuni grandi quesiti che riguardano luoghi ancora oscuri dell’universo. Il Sardinia Radio Telescope è situato nel territorio del Comune di San Basilio, in provincia di Cagliari, ed è uno strumento all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, sia per quanto riguarda l’equipaggiamento elettronico sia per la componentistica meccanica, i quali lo rendono capace di movimenti di estrema precisione. Di cosa si occupa nello specifico questo radiotelescopio e quali sono i progetti di ricerca futuri?«Il Sardinia Radio Telescope (Srt) è predisposto per effettuare osservazioni radioastronomiche, misure di geodinamica e per ricevere i dati delle sonde interplanetarie. Srt si configura come una facility aperta. L’istituto emetterà ogni sei mesi delle call for proposal alle quali possono rispondere gruppi di tutto il mondo. Le proposal vengono valutate da un comitato internazionale nominato dall’istituto, che assegna il tempo ai programmi più meritevoli.In questo senso, saranno la comunità scientifica internazionale e il Time Assignment Committee a decidere, di fatto, i progetti che saranno attuati. Tuttavia, le caratteristiche del radiotelescopio e delle apparecchiature accessorie disponibili individuano già da adesso le principali tematiche che lo potranno caratterizzare: Srt opererà certamente come polo della rete interferometrica europea Env, parteciperà ad osservazioni coordinate del Pulsar Timing Array, un ambizioso progetto che mira alla prima rivelazione diretta di onde gravitazionali, e potrà fornire nuovi risultati nell’ambito dello studio delle sorgenti Maser e delle molecole organiche presenti nell’universo».
Dunque, una ricerca affascinante che potrà darci indicazioni scientifiche più precise sui misteri ancora presenti nell’universo. Grazie e buon lavoro, professor D’Amico.
Le immagini: ricostruzione di un’esplosione di una supernova; Nicolò D’Amico, foto del Sardinia Radio Telescope.
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
(LucidaMente, anno VIII, n. 91, luglio 2013)
Si attendono ora nuove pubblicazioni sulla base delle considerazioni che i fisici teorici faranno analizzando i dati individuati dal team. Nel frattempo si cercheranno nuovi lampi radio nel cielo. Il problema non è la loro energia, più che sufficiente da attirare l’attenzione degli astrofisici, quanto la loro durata infinitesimale, che li rende molto difficili da individuare. La nuova generazione di radiotelescopi potrebbe riversi un utile strumento. Il potentissimo Square Kilometer Array (SKA), che sarà costruito tra Sudafrica e Australia e consisterà in una gigantesca serie di dischi per l’osservazione del cielo australe nella banda radio, servirà senz’altro allo scopo. Anche l’Italia darà un contributo significativo: “Per discriminare il vero responsabile sarà necessario in primis aumentare di molto il numero di eventi osservati. In secondo luogo identificare questi lampi radio quasi in tempo reale, così da permettere l’individuazione di possibili emissioni transitorie in altre bande dello spettro elettromagnetico”, spiega Nicolò D’Amico dell’Università di Cagliari, che dirige il progetto del Sardinia Radio Telescope dell’INAF. Un telescopio che, sottolinea, “reciterà in entrambi i casi un ruolo di primo piano internazionale”.
Chiedo scusa in anticipo. Non sono del settore e posso scrivere qualche baggianata in proposito. I brevissimi e forti impulsi nella banda delle onde radio, che hanno viaggiato negli spazi siderei da un’area distante otto miliardi di anni luce, potrebbero essere stati perfino ridotti d’intensità dalle inevitabili fluttuazioni spazio-temporali, correlate alle grandi percorrenze cosmiche.
Non sono del settore e quindi è probabile che dica delle baggianate. La durata dei potentissimi e brevissimi impulsi nella banda delle onde radio possono dipendere dalle grandi fluttuazioni spazio temporali, correlate alla distanza (spazio-temporale) di otto miliardi di anni.