Nella sua amarezza, il testo che segue denuncia, se l’autrice non ha ecceduto nell’interpretare la realtà, uno sconcertante e amaro caso di ostracismo culturale, civile, umano, e di discriminazione sull’orientamento sessuale. Perché lo inseriamo in questo numero di LucidaMente? Perché è uno speciale “controcorrente” e perché noi non avremmo avuto alcuna “pruderie” nel pubblicare e diffondere l’opera…
In Italia succede qualcosa di strano. Un’autrice di nome Monica Cito pubblica un libro che esce col titolo di Venere, io t’amerò. La pubblicazione è curata da una piccola casa editrice romana.
Venere esce con bandella semiapprezzata dalla scrittrice, e, in occasione della fiera romana “Più libri Più liberi”, Monica prende la metro – non da sola – per raggiungere la fiera.
Lì sa esserci una giovane addetta stampa della casa editrice come, ma ancora non immagina quello che intorno al libro non accadrà. Scopre, infatti, che alla fiera nessuno osa “toccare” Venere, io t’amerò e medita: forse non è buona la copertina, troppo oscuro il periodo in quarta.
Il destino di un libro… – La scrittrice prende tra le mani una cartolina, da un piccolo mucchio posto accanto alle copie. Il testo della cartolina le risulta così insignificante che le verrebbe voglia di strapparla immediatamente, tuttavia non lo fa, poiché la pubblicità è poca, l’editore è piccolo, persino quelle cartoline possono servire; e, poi, l’editore le regala inserendole nelle copie di testi con belle copertine dai caldi titoli. E’ pubblicità. Il libro si saprà far voler bene, è pubblicità: l’anima del commercio.
Venere, io ti amerò anche quando l’intero mondo ti ripudierà. Anche quando diranno che sei triste e stanca e sbagliata e perversa e pericolosa. Io t’amerò perché sei così coperta d’un lenzuolo che non ti appartiene, d’un nome che non è possibile cancellare, d’una identità che straripa di rabbia e dolore e… umiliazione.
Venere, io ti amerò perché sei mia figlia, vestita di bianco e pura, anche se s’ostinano a vederti nera, perché persino quando vince la sinistra i PACS agli omosessuali non s’hanno a dare. Ti amerò perché sei la mia verità che scotta, la mia denuncia censurata, ed io per questo posso dire d’avere un privilegio ed una condanna. Io che ti ho scritta, Venere, con le dita e le lacrime agli occhi, con un certo sentimento nel cuore e, soprattutto, tanta rabbia. Io che ti ho immaginata salire sugli scaffali, posarti sui comodini delle case d’Italia e ti vedo vestita di rosa, il colore delle piccole Barbie, e non posso lottare più di tanto, perché in Italia è già tanto riuscire a pubblicare senza pagare, e molti potrebbero dire che sto sputando nel piatto in cui mangio. Venere, io ti amerò perché ti chiami diversamente, perché diversamente fai all’amore e, questo, in Italia non piace e questo in Italia è peccato mortale. Ti amerò perché non t’ama nessuno, oltre chi ha la fortuna e la capacità di leggerti davvero. E per leggerti bisogna volerti, perché tu non sei come i libri veri dalle copertine reali e i titoli caldi. Negli scaffali delle librerie, al tuo posto, c’è la Winterson e qualche maschio gay che copia i titoli della Winterson ed è anche lui straniero: SCRITTO SUL CORPO; WRITTEN ON THE BODY… E ciò che sul corpo è scritto, è lì vestito di rosa, con su stampato il viso d’una mancata sposa.
Lesbica? Come i Pacs… no, no, no! – L’addetta stampa non sa come definire la scrittrice. E’ troppo emozionata, troppo prolissa, troppo convinta d’avere in mano il caso letterario. La casa editrice anche ne è convinta. L’editore fa firmare copie che hanno da essere donate a critici giornalisti televisionisti. Ma l’epoca è oscura. Di certe situazioni femminili forse la stampa è meglio che non si occupi. Qualcuno pensa che bisogna cambiar governo. Fra qualche mese si passerà la nottata a seguire lo spoglio-elezioni. Nulla cambia. La sinistra è sinistra. La destra è coerente: i Pacs no no no. Adesso che si scrive la storiella è chiaro per tutti che Venere, io t’amerò, beh… è un libro sì, un romanzo, ma… fa tanta paura. Meglio le barzellette di Totti, meglio la beneficenza alle stazioni, meglio lasciare il mondo così com’è; siamo ben vissuti sino ad ora nell’ipocrisia.
Venere, io t’amerò quando oserai dire che lesbica è una brutta parola. Quando oserai cantare l’essere migliore che c’è in te. Quando, a lume di candela, due donne – due soltanto – stringendosi al cuore si chiederanno se in Italia cambierà mai qualcosa, se i comunisti sapranno davvero e finalmente dire definitivamente di no alle guerre come hai fatto tu.
Un compatto ostracismo – Passa poco tempo, e Monica Cito rilascia interviste radiofoniche. Passa poco tempo, e certe testate giornalistiche chiedono, recensiscono e… non pubblicano il pezzo. Ancora lo si sta aspettando. Ancora lo si aspetterà. Passa poco tempo, e una grossa casa editrice – se vi si dicessi quale…! – una grossissima, persino più grossa della Mondadori, s’interessa al libro; poi si tacita definitivamente. Passa poco tempo, e Monica Cito viene contattata da una grossa tv, e subisce domande, e dribbla e forse sembra un po’ stupida; ma anche questa tv decide che no, non si può parlare di quel libro lì. In che fascia oraria lo si può mettere? O, forse, nemmeno se la son posta, la domanda. Hanno direttamente, indefessamente, detto NO, NON SI PUÒ, MICA SI PUÒ SCORDARE CHE SIAMO NEL MEDIOEVO E LE ERESIE HANNO DA CIRCOLARE PER INTERNET E BASTA! Di botto si fermano anche le interviste radiofoniche. Ciò che dice non piace. Ciò che scrive non deve piacere.
Ma io, Venere, continuerò a volerti bene; contro ogni tristezza ed ogni triste.
Viva la libertà: sempre. Qualcuno, lo so, ti ha letta. Qualcuno ti potrà amare ed io urlare: continuerò, contro i miei mulini a vento, contro lo stesso vento: quello di sempre, a sinistra come a destra.
Monica Cito
(LucidaMente, anno I, n. 12, dicembre 2006)