Il Brexit, la vittoria di Trump e probabilmente anche il netto No nel referendum-Renzi segnano l’inizio di una nuova fase storica, caratterizzata dalla ribellione indignata dei cittadini alle oligarchie, alla globalizzazione economica, al capitalismo finanziario e all’immigrazione incontrollata. “Vento di destra nazionalista”? Ma poco tempo fa il popolo non era rappresentato dalle sinistre e perfino dal recentemente scomparso Fidel Castro?
L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea e la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane – secondo alcuni commentatori – rappresentano i segnali dell’inizio di una nuova fase storica, contraddistinta dalla crescita del populismo di destra, dal risorgere del nazionalismo e dal ritorno del protezionismo doganale (vedi Marco Bertorello, Segnali di deglobalizzazione post crisi, in www.communianet.org). Un segnale in tal senso potrebbe essere anche il netto No italiano nel referendum imposto dal duo Boschi-Renzi.
Si sente affermare che l’onda della destra nazional-populista stia montando in tutto l’Occidente, dove – oltre a Trump – hanno ottenuto ampi consensi elettorali il Fidesz di Viktor Orbán (Ungheria), il Fronte nazionale di Marine Le Pen (Francia), la Lega Nord di Matteo Salvini (Italia), il Partito della libertà di Norbert Hofer (Austria, peraltro sconfitto nelle elezioni presidenziali dal verde Alexander Van der Bellen), il Pis di Andrzej Duda (Polonia), il Pvv di Geert Wilders (Olanda), l’Sv di Jimmie Åkesson (Svezia) e l’Ukip di Nigel Farage (Gran Bretagna). L’avanzata di tali movimenti politici lascia presagire gravi increspature all’interno dell’Ue e può essere spiegata attraverso molteplici fattori: 1) la crisi economica che ha attanagliato l’Occidente dopo il 2007, peggiorando le condizioni di vita dei ceti meno abbienti; 2) l’esodo “biblico” verso l’Europa di milioni di profughi dagli stati africani e asiatici sconvolti dalle guerre, che ha generato timore nella popolazione europea; 3) la volontà di alcuni settori dell’oligarchia economica occidentale di porre un freno all’espansione commerciale e finanziaria cinese; 4) il tracollo dei partiti di sinistra, messi in crisi dal tramonto dell’ideologia egalitaria e fortemente condizionati nelle proprie scelte politiche dal pensiero neoliberista.
Il populismo affonda le proprie radici nella cultura dell’Ottocento, in particolare nell’idea di nazione che, secondo Federico Chabod, contribuì «ad affermare il principio di individualità, cioè ad affermare, contro tendenze generalizzatrici e universalizzanti, il principio del particolare, del singolo» (vedi Federico Chabod, L’idea di nazione, Laterza). Verso la fine del XIX secolo, però, esso assunse forti connotati nazionalistici e xenofobi, favorendo la nascita di partiti di estrema destra antidemocratici. Un esempio di movimento populista “progressista” si ebbe nella Russia zarista, dove molti giovani intellettuali (i narodniki), ispirandosi alle idee di Pëtr Lavrovič Lavrov, propugnarono il «ritorno al popolo» e l’emancipazione dei contadini dall’atavica condizione di sottomissione alla grande feudalità. Il populismo russo fu una componente rilevante del “socialismo utopistico” ed ebbe come erede diretto il Partito socialista rivoluzionario russo, ma influenzò in parte anche la corrente “bolscevica” del Partito operaio socialdemocratico russo.
Il populismo di sinistra è stato incarnato, nel Novecento, soprattutto da Fidel Castro, il quale ha mutuato la sua vocazione rivoluzionaria da Josè Martì, il patriota morto combattendo per l’indipendenza di Cuba nel 1895. Esaminando retrospettivamente la figura e l’opera del lider maximo, non si può che formulare un giudizio articolato: da un lato, si deve porre l’accento sull’autoritarismo che ha indotto Castro a non rispettare i diritti civili a Cuba (vedi Carlos Franqui, Cuba sì, Castro no!, in http://temi.repubblica.it/micromega-online); dall’altro, è giusto riconoscerne la determinazione con la quale ha contrastato l’imperialismo statunitense, assurgendo a emblema della volontà di autodeterminazione dei popoli latinoamericani (Gianni Minà: «Fidel Castro, un rivoluzionario che non ha perso la rivoluzione», in www.rainews.it). Si tratta, tuttavia, di un personaggio formatosi nell’epoca della Guerra fredda e poco in sintonia con lo spirito della globalizzazione, durante la quale è scomparso il modello sovietico e sono tramontati i sogni di una rivoluzione socialista mondiale.
Le prime proteste contro la globalizzazione furono condotte, negli anni Novanta, dal movimento “no global”, duramente represso durante il G8 di Genova del luglio 2001 (vedi La “macelleria messicana” che bagnò di sangue Genova). Da allora si è assistito alla paralisi dei partiti di sinistra che hanno inciso sempre meno sulle sorti del mondo occidentale (ad eccezione di Syriza in Grecia, di Podemos in Spagna e dei partiti socialisti sudamericani) e si sono spesso sottomessi alle regole imposte dal Fondo monetario internazionale. L’obiettivo più urgente, dunque, ci appare la rinascita di una forte opposizione sociale che orienti il malcontento dei ceti medio-bassi verso la trasformazione in senso più egalitario del sistema economico neoliberista.
Le immagini: Jimmie Åkesson, Geert Wilders, ViktorOrbán, Nigel Farage, Marine Le Pen(fonte: www.revistavanityfair.es); comizio di Fidel Castro presso il monumento di Josè Martì all’Avana (fonte: Agência Brasil; autore: Ricardo Stuckert).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno XI, n. 132, dicembre 2016)