Documentare ciò che si fa è ormai un imperativo sociale per essere invidiati dagli altri. Ma quanto di quello che riportiamo è vissuto per davvero? E a quali derive può condurre l’ossessione a esporre ed esporsi?
Roma. Due turiste cercano la posizione giusta per un selfie con la bellissima Fontana di Trevi. Dapprima si affiancano nervose, poi si spintonano e infine coinvolgono nell’alterco i rispettivi familiari (fra cui tre minori), avviando una rissa di tutto rispetto. A prima vista una vicenda che ha del folle, del surreale. Eppure non c’è da stupirsi: quanto accaduto non è che l’iperbole del quotidiano, l’estremo di situazioni che già ci capita di osservare.
Chi non ha notato intere famiglie, sedute al tavolo di un ristorante, intente a documentare la propria cena invece di gustarla (sul tema vedi anche Il cellulare, le sue vibrazioni… è la felicità?; «L’esercito del selfie»; Il selfie: ritratto autentico o maschera della nostra identità? e “Selfie”: moda o mania? Malattia!)? Chi non ha avuto, per tutta la durata di un concerto, il campo visivo oscurato da migliaia di smartphone intenti a filmare la performance? E allo stesso tempo: chi partirebbe per un viaggio senza poter fotografare e condividere i luoghi visitati? Ci troviamo di fronte a una smania di apparire, di mostrare le proprie esperienze agli altri perché ne siano colpiti. Brama non certo nuova – la vanità è sempre stata parte della natura umana – ma sicuramente incoraggiata da piattaforme di condivisione e scambio di contenuti a dir poco tempestive (per i più alla moda Instagram, per i più “tradizionalisti” Facebook). Prima dell’avvento dei social, era la tv. Si tentava con ogni mezzo a disposizione di capitarvi: talent show, salotti televisivi, reality…
Proprio di questo parla Reality, film del 2012 che il regista Matteo Garrone ha tratto da una storia vera. Luciano è un pescivendolo napoletano la cui vena comica diverte parenti e amici; questi lo spingono, dato il suo carattere estroverso, a fare un provino per il Grande Fratello. L’occasione di ribalta sociale, l’ammirazione e la popolarità che scaturirebbero dall’ingresso in trasmissione giungono a ossessionare Luciano tanto da fargli perdere il contatto con la realtà: egli crede di essere perennemente osservato e si comporta quindi come se dovesse impressionare chiunque incontri, giungendo a regalare i suoi averi per ottenere l’approvazione altrui e a vendere la sua pescheria.
Sebbene nella pellicola non si parli di social network, risulta evidente lo scollamento dal mondo provocata dall’ansia di esporsi. Come Luciano ha perso il senno e il nesso con la verità, così hanno fatto anche le due turiste a Roma. Nessuno che non sia completamente assuefatto dalla sete di apprezzamenti perpetuerebbe una lite violenta per una foto (guarda il video Calci e pugni per un selfie davanti alla Fontana di Trevi: rissa tra turisti a Roma). Ma vi sono ulteriori manifestazioni del fatto che il mondo virtuale venga sempre più confuso e difficilmente distinto da quello reale. La fear of missing out, o Fomo, è la paura di essere “tagliati fuori” ed esclusi se non si presenzia sui social. Preoccupazione e inquietudine colpiscono chi ne soffre, proiettando dunque ciò che dovrebbe rimanere nell’impalpabile rete del web in un contesto concreto, la salute, fisica e soprattutto psichica e spirituale. Oltretutto, la crescente abitudine di mostrare il quotidiano porta a non godersi più nulla senza doverlo sbandierare. Come se non postare significasse smettere di esistere.
Le immagini: un fotogramma della rissa scoppiata per un selfie davanti alla Fontana di Trevi (www.roma.corriere.it) e la locandina del film Reality di Matteo Garrone.
Alessia Ruggieri
(LucidaMente, anno XIII, n. 153, settembre 2018)