La società che il potere dominante vuole imporre non prevede tempo, tranquillità e silenzio e, quindi, meditazione, preghiera, cultura, letture, bellezza. Si otterrà, così, un’umanità passiva e manipolabile
Ci siamo accorti della terribile trasformazione sociale e antropologica che è avvenuta negli ultimi decenni, con una spaventosa accelerazione nel nuovo secolo? Probabilmente no, perché viviamo immersi nella realtà quotidiana e siamo afflitti da mille preoccupazioni (a quelle economiche si è aggiunta quella sanitaria, che sembra fatta apposta per non permetterci di sollevare lo sguardo, parlare, esprimersi; non a caso, la mascherina è simbolicamente un bavaglio). Soprattutto, stiamo perdendo quegli strumenti culturali critici che un tempo gli studenti diplomati dalle scuole superiori avevano introiettato già da minorenni, stimolati da docenti e letture.
Il modello antropologico che sta dilagando prevede un’umanità che non deve, anche perché non può più, pensare. Quali sono i fattori che ci permettono di acculturarci, riflettere, meditare? Un po’ di tempo davvero “libero” davanti a noi, la tranquillità interiore, il silenzio. Intendiamoci: non è che nel passato (anche preindustriale) gli esseri umani ne potessero usufruire a bizzeffe. Gli impegni quotidiani, le ansie, gli affanni, per non dire le miserie, le malattie, l’analfabetismo, hanno sempre costituito un limite spesso insuperabile per tutti, tranne che per fortunati aristocratici o altre élite. Partiamo da alcuni concetti-chiave. Siamo d’accordo che i libri e le opere d’arte costituiscono i principali, se non gli unici, fattori di elevazione culturale e spirituale? E che la lettura o, in tempi più recenti, la visione concentrata e continuativa di un film o di un’opera d’arte, l’ascolto raccolto di un componimento musicale, per non dire della preghiera, richiedono come condizioni imprescindibili proprio tempo-tranquillità-silenzio? Allora, si può affermare con una certa sicurezza che diventeremo sempre peggiori.
Se leggiamo qualche romanzo nel quale compaiono usi e costumi tipici tra metà Ottocento e metà Novecento, notiamo come il libro, i quotidiani, le riviste, costituissero il vero “vizio” delle persone, borghesi ma non solo, alfabetizzate. Anzi, i romanzi erano considerati una sorta di peccaminosa distrazione per studenti e donne (vedasi madame Emma Bovary). Un po’ come, nel Secondo dopoguerra erano messi all’indice i benemeriti fumetti e fotoromanzi, che pur hanno permesso a tanti di imparare meglio la lingua italiana (leggi Non sparate sui fotoromanzi). Un primo colpo alla lettura l’ha dato certamente la televisione, che, però, aveva avuto il merito, con certi programmi Rai, di propagandare la cultura “alta” tra le masse. Ma oggi, specialmente con l’avvento della rete, dei social e con la precarizzazione del lavoro, si è ridotto il tempo a disposizione e, quel poco “libero”, viene subito impegnato in mille attività nevrotiche.
Siamo immersi in un perenne flusso di informazioni, ma soprattutto di stimoli-interruzioni, che ci rendono compulsivi. Il pensiero è distratto (e disarticolato) da sms, e-mail, messaggi social, che poco hanno a che fare con il miglioramento della nostra persona e della nostra interiorità. E sembra tutto voluto. Basti pensare alla continua richiesta, pressoché quotidiana, di aggiornamenti del software, di cambio di password, di pressanti richieste di pagamenti on line, di richiami pubblicitari attraverso offerte, sconti, occasioni… Quello che viene definito disturbo da deficit di attenzione non riguarda solo i ragazzini, ma ormai tutti. Stanno così morendo i libri (se non del tutto, certo la letteratura di valore artistico) e il cinema di qualità. In ultima analisi, sta scomparendo la bellezza o, perlomeno, il gusto di apprezzarla (leggi anche La sottrazione della bellezza). E di goderne con le giuste modalità. Eppure, non solo per il neocapitalismo e i suoi servitori (politici e giornalisti), ma anche per gli intellettuali, gli accademici, gli artisti à la page, stiamo vivendo «magnifiche sorti e progressive»… Invece, senza pensiero e cultura, i cittadini saranno sempre più inumani individui passivi e manipolabili. Anzi, postumani.
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 197, maggio 2022)
Come sempre un’ottima analisi, dott. Tripodi. E’ vero: come accenna lei, ritagliarsi del tempo non è mai stato facile per le persone che devono adempiere a responsabilità e risolvere vari problemi quotidiani. Ma adesso, più andiamo avanti e più sembra che le cose peggiorino. Come se ne esce? La capacità di pensare, cioè la capacità di valutare una questione in modo saggio e riflessivo, sembra sempre più difficile per alcuni, anche perché altri non vedono di buon occhio chi si avvale di questa capacità. Ma siccome questa capacità è il risultato di un’approfondita conoscenza, l’unico modo è quello di trovare il tempo per esaminare, valutare, riflettere. Stando attenti allo stesso tempo a quali fonti si attinge poiché, come scrisse un saggio: “non c’è fine ai tanti libri che si possono scrivere, ma dedicarsi molto a essi è faticoso per la carne”.
Quindi è impossibile leggerli tutti. Come fare? seguire il suggerimento di un altro saggio dell’antichità: “Verificate ogni cosa e attenetevi a ciò che è eccellente”.
Ma si torna lì, il tempo dove lo troviamo? (Ne ha parlato anche lei nell’articolo evidenziando ciò che ci distrae, che ruba il nostro tempo). Ebbene, è una questione di priorità. A cosa diamo più importanza nella nostra vita? Come negare che è molto facile passare tanto tempo davanti a uno schermo televisivo o a una tastiera del computer o del telefonino per chattare? Come negare che è più semplice ascoltare ciò che fa comodo sentire perché ci piace di più e inoltre è già pronto, scodellato senza bisogno di durar fatica a rifletterci sopra?
In conclusione, se è vero che la “società” e il “potere dominante” vorrebbe imporre “un’umanità passiva e manipolabile”, è anche vero che sta a noi come singoli scegliere di non essere manipolati. Grazie per lo spazio.
Grazie per le ottime riflessioni.