La nostra rivista torna a trattare un argomento sempre attuale. Le varie categorie del movimento e i rischi della semplificazione della realtà e della deriva maggioritaria
Negli ultimi anni nel dibattito politico nazionale e internazionale abbiamo visto la crescita quasi esponenziale dell’uso del termine populismo e dell’aggettivo populista attribuiti rispettivamente a diversi movimenti politici e a varie prese di posizione dei loro leader politici. Talvolta tale terminologia viene orgogliosamente rivendicata dal politico; ma, al contempo, tradotta dai suoi avversari come critica verso la demagogia, la semplificazione di questioni complesse, la volontà di far emergere la parte peggiore di una popolazione a fini elettorali.
Trattandosi di un concetto molto vago, di una sorta di anti-ideologia, su cui persino i politologi sono estremamente divisi (è stato proposto, altresì, il suo abbandono totale), esso dovrebbe essere usato con cautela; e il dibattito politico, spesso portato avanti dalla furia ideologica e dalla propaganda più che dall’analisi razionale, non giova certo alla chiarezza. È utile dunque provare a fare una sintesi degli usi maggiori che questo termine ha avuto nel dibattito storico e contemporaneo, in modo da poterlo ricondurre a delle caratteristiche essenziali e, sulla base di ciò, darne una valutazione più ragionata. “Populismo” è una parola che in origine designava quel movimento eterogeneo di intellettuali e rivoluzionari russi del XIX secolo che erano accomunati dalla volontà di liberare la popolazione contadina dal servaggio e aveva generalmente idee più o meno socialistiche. Successivamente, sia nell’America del Nord che del Sud, vari movimenti politici hanno rivendicato il loro essere populisti o sono stati indicati come tali: si tratta di movimenti caratterizzati da confusione ideologica e da una sorta di sincretismo pragmatico volto a ricevere il maggior numero di consensi possibili.
L’eredità del populismo russo è essenzialmente svanita dal populismo contemporaneo, che in genere – vi sono delle dovute eccezioni – esclude il conflitto di classe, creando nuovi contrasti che a breve discuteremo. Senza dubbio il populismo odierno si ricollega maggiormente all’esperienza americana tra Ottocento e Novecento che a quella russa. Nella voce Populismo che Ludovico Incisa di Camerana ha redatto per il Dizionario di politica (autori Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, editore Utet), egli dà una definizione onnicomprensiva del fenomeno: «Possono essere definite populiste quelle formule politiche per le quali fonte precipua d’ispirazione e termine costante di riferimento è il popolo, considerato come aggregato sociale omogeneo e come depositario esclusivo di valori positivi, specifici e permanenti». Da questa descrizione si capisce bene come il populismo sia figlio del democratismo che, dalla Rivoluzione del 1789 in poi, e in molte e diverse sfaccettature, ha posto il popolo come centro dei sommovimenti politici.
L’idea che però i populisti hanno del popolo è totalmente astratta, come si evince dalle due caratteristiche che la definizione assegna a questo concetto: l’omogeneità e la permanenza dei valori positivi. Una popolazione, essendo un aggregato di persone diverse per sesso, per età, per condizione sociale, per idee politiche, per religione o irreligiosità, per preferenze amorose e sessuali, per condizione fisica e psichica, per interessi culturali e/o sociali, non può che essere un aggregato estremamente disomogeneo, anche per quanto riguarda le nazioni meno popolose. Posta questa premessa e guardando i fatti, è essenzialmente impossibile che una popolazione (che sia libera e non soggetta a un dominio totalitario) abbia una volontà univoca su una qualsivoglia questione. I populisti aggirano questo ostacolo attraverso una sorta di divisione tra il “vero popolo” e il “falso popolo”, che sarebbe la parte di popolazione contaminata da agenti estranei alla nazione o contraria al benessere del vero popolo. Nei populismi di destra questa parte è costituita principalmente da comunisti, socialisti o anarchici, mentre nei populismi di sinistra è rappresentata dai conservatori e dalle classi più agiate.
In entrambe le tipologie di populismo, poi, e soprattutto nei populismi post-ideologici, vengono opposti al popolo i partiti tradizionali (o quantomeno quelli percepiti come parte dell’establishment), la grande maggioranza degli intellettuali e i gruppi di potere del capitalismo finanziario. Negli Stati europei, in particolare, i populisti si oppongono all’élite dell’Unione europea, vista come una gerarchia che non fa l’interesse della determinata nazione. Spesso anche gli immigrati, essendo estranei alla popolazione autoctona, sono messi in opposizione al popolo. Vengono create così delle divisioni interne tra la maggioranza della popolazione e coloro che vengono accusati di essere privilegiati, di non fare l’interesse del popolo, di essere dannosi per la sua prosperità o di minare le fondamenta della società tradizionale. Lo Stato è posto in una guerra civile ideologica permanente. Il concetto di maggioranza popolare è elemento necessario in qualsiasi democrazia; ma la sua esaltazione acritica può avere per contrario un effetto antidemocratico.
Il rispetto del pluralismo, ovvero la considerazione delle idee di un gruppo anche quando esse si trovano in minoranza numerica, è uno degli aspetti fondamentali che segnano la differenza tra democrazia e totalitarismo. Tutte le grandi innovazioni in termini di diritti civili, e spesso sociali (l’abolizione della schiavitù, l’estensione dei diritti politici alle donne, la liberazione delle minoranze etniche e sessuali), sono cominciate come idee di piccolissime minoranze e si sono diffuse alla maggioranza della popolazione nel corso degli anni, dei decenni e dei secoli. Le forze dirigenti hanno il compito di accelerare questo processo, far emergere la parte migliore della società portandola sulla via del progresso. Se è necessario prendere delle decisioni fortemente impopolari ma che porteranno giovamento a tutti nel lungo termine, il bilanciamento dei poteri in una democrazia sana permette di farlo. Un governo populista, all’opposto, rifiuta a prescindere i provvedimenti impopolari e si concentra su politiche demagogiche che spesso hanno poca o nessuna rilevanza sul miglioramento della qualità di vita di un paese, quando non la peggiorano.
Si arriva qui alla seconda astrazione che il politico populista fa del concetto di popolo: la collocazione di ogni valore positivo nella popolazione-massa. “Il popolo ha sempre ragione”, “vox populi, vox Dei”, “la buona saggezza popolare”, sono alcune delle frasi-simbolo del populismo, spesso ripetute anche in Italia. I populisti più coerenti sostengono in certa misura la democrazia diretta: non per caso, molti dei partiti politici europei che appoggiano una maggiore democrazia diretta (ad esempio, il Forum per la democrazia nei Paesi Bassi, Libertà e democrazia diretta in Repubblica ceca e il Movimento 5 stelle in Italia), hanno nelle loro politiche una grande concentrazione di temi demagogici o di destra illiberale, come il nazionalismo, l’opposizione alla globalizzazione e il complottismo. Questa tendenza è pericolosa proprio per la natura prevalentemente conservatrice del popolo: la storia dimostra che le idee progressiste si diffondono presso la popolazione con estrema lentezza, nel corso di generazioni. Così, il culto della maggioranza popolare, alla quale il politico populista assegna il ruolo di detentrice della verità per qualsiasi questione, diviene un paravento per una politica tradizionalista e conservatrice, quando non apertamente reazionaria. Seguendo ancora la voce del Dizionario di politica, l’autore elenca tre categorie principali in cui sono raggruppati i movimenti populisti. La prima categoria è il populismo nazionalistico, fortemente influenzato dal fascismo, i cui esempi più celebri sono la Guardia di Ferro romena e il peronismo.
Il sovranismo ungherese e polacco contemporaneo costituisce una sorta di diramazione minore di questa categoria, allineata con gli standard etici del XXI secolo. La seconda categoria, denominata nel Dizionario «dei populisti rivoluzionari», è piuttosto un populismo controrivoluzionario, che si innesta su una rivoluzione di sinistra: il regime di Stalin è l’esempio più calzante. Infine, viene citato il populismo democratico, di cui possiamo vedere un esempio contemporaneo nei succitati partiti a favore di una maggiore democrazia diretta. Da questi pochi ma rappresentativi esempi si può capire bene che la sfera delle accezioni del termine populismo sia talmente ampia e si innesti su fenomeni così diversi tra loro – fascismo, sovranismo, socialismo, comunismo, democrazia illiberale, democrazia diretta – che il suo uso a fini scientifici non può che essere dubbio e incerto. A questo punto possiamo costruire due modelli diversi e contrapposti, verso i quali operare una scelta. O vediamo il populismo come una sorta di sottostruttura ciclica nella storia della politica moderna, l’humus comune da cui emergono e trovano spazio ideologie anche totalmente diverse tra loro; oppure vediamo il populismo come un fenomeno collaterale di queste ideologie, un ramo secondario innestato successivamente che, però, in certe condizioni politiche, viene elevato a idea principale da alcuni movimenti pragmatici.
I cosiddetti movimenti post-ideologici, che fanno del populismo – interpretato da essi stessi in modo positivo – il loro carattere più proprio (si pensi al Movimento 5 stelle in Italia o Ano 2011 (Akce Nespokojených Občanů, Azione dei cittadini insoddisfatti, del discusso leader Andrej Babis, in Repubblica ceca) sono senza dubbio una minoranza rispetto ai movimenti populisti nella storia. È chiaro, dunque, che il populismo non possa essere interpretato come un’ideologia di base, ma soltanto come un modello di comportamento politico che si congiunge ad altre ideologie o viene assunto come manifesto del pragmatismo politico. Sulla bontà delle intenzioni del politico pragmatico, vi sono generalmente pochi dubbi; ma vi sono ancora meno dubbi sul fatto che il populismo da esso abbracciato, attraverso la sua idea astratta di popolo, la glorificazione delle posizioni della maggioranza e la divisione interna tra vero popolo e falso popolo, rischi di condurre a un deterioramento della democrazia. In conclusione, ciò che dobbiamo auspicare per il futuro della democrazia è che il populismo vada incontro alle sue contraddizioni, che i populisti si accorgano della estrema complessità della volontà popolare, che una maggioranza può avere completamente torto e che fomentare le divisioni all’interno del popolo conduce solo a estenuanti conflitti civili che peggiorano la qualità di vita di quella stessa società che essi intendevano migliorare.
Tra gli altri contributi sull’argomento (alcuni relativi a recensioni di libri), apparsi su LucidaMente, ricordiamo:
Destra e sinistra? Relitti della storia
…E continuavano a chiamarlo populismo
Il populismo da Aristotele a Gramsci
La nuova lotta di classe riparte da populismo e sovranismo
Quando il populismo era di sinistra…
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Valerio Mirarchi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 181, gennaio 2021)