In un numero speciale della nostra rivista come questo, caratterizzato dallo sdegno civile, si inseriscono alla perfezione le poesie del giovane vicentino Riccardo Dal Ferro, studente di Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova. Nei suoi scritti sono evidenti le influenze della “beat generation”, vale a dire di quel movimento artistico, poetico e letterario, sviluppatosi negli Stati Uniti dal Secondo dopoguerra (1947 circa) a fine anni Cinquanta, caratterizzato da un linguaggio trasgressivo e da contenuti fortemente contestatori verso l’establishment e l’ipocrita conformismo della società americana. Tra gli artisti più noti di tale corrente, ricordiamo: William Burroughs, Neal Cassady, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Norman Mailer e Gary Snyder.
Ecco, di seguito, due componimenti esplicativi della vena civile, polemica, sanguigna di Dal Ferro, nel quale la rabbia si concretizza, oltre che nell’aperta denuncia delle ingiustizie, anche nella deformazione, quasi di sapore espressionista, della realtà..
Testimonianza di ciò che non si vive
ci siamo sorpresi con un languore nello sguardo,
quello di chi vuol sapere del mondo che ne è stato.
ti racconterò di quando
i poliziotti infiltrati nella folla spaccavano teste,
ti racconterò
di Genova,
di quest’Italia che si sollazza nel silenzio più fragoroso,
che si droga di luoghi comuni,
ti racconterò
di come non mi sono arreso,
di come non ascolto le voci dello schermo.
ti racconterò ciò che ho visto
attraverso occhi d’altre persone,
d’altre coscienze e d’altri racconti;
ti testimonierò
le strade spaccate dal pugno di ferro
di politici fatti di merda e d’argilla;
racconterò le voci che m’hanno raccontato,
dicendoti che oggi si vive poco di quel che accade.
ti racconterò d’esser stato un tocco sfiorato,
di quelli che non lasciano segni evidenti
sull’asfalto bollente,
di quelli che altro non han da fare se non scrivere
le loro sofferenze, violentando il bianco della pagina.
racconterò degli spettacoli per ammaestrare le persone,
narrerò l’ascesa e la caduta della modernità
così come l’ho studiata sulla carta stampata,
e da testimone senza traccia
mi rifugerò dentro le mie stesse parole,
e il segno lasciato da me
saranno queste righe
che tu racconterai a chi verrà,
sfortunato,
dopo di noi.
Risvegli
I
eccomi, occidente,
io sono i tuoi occhi di vetrine rotte
nei mcdonald’s, sono i sassi e le molotov,
sono i tuoi dipendenti spaventati,
io sono la tua bocca divoratrice di mondi
che sparpaglia menti nel suo trangugiar tutto,
sono i denti che fracassano,
i denti che ti cadono tra rivoli di olio di motore;
io sono il tuo volto di cocci grigi,
costellazioni di croci sugli zigomi,
come a perpetrare l’assassinio giornaliero,
io sono la tua troia fumante,
niente baci in bocca, niente testa, niente organi,
sono il tuo inconscio seduttore,
io sono le tue mani piene di corpi
di bambini rimpinzati d’uranio vomitato,
sono quei proiettili del kosovo, sono il pianto
degli arti lacerati.
eccomi, occidente,
sono i tuoi piedi d’amianto, pesanti, violenti,
io sono il tuo petto senz’alberi, avvizzito e brullo,
sono i tuoi rivoluzionari senza midollo
e anche i tuoi poliziotti in anti-sommossa.
occidente,
io per te sono i capelli sulla spazzola,
gli ultimi, poi la calvizie,
sono ciò che in te scompare,
quella parvenza di coscienza,
quella domanda mal posta, maleducata,
sono l’olio bollente dei tuoi fucili, il tuo mistero;
eccomi, io sono le tue flessioni giornaliere
e il tuo pollo fritto al fast food,
sono la dannata esistenza dei tuoi figli
e il loro rinnegarti chiedendo i soldi,
sono l’avvocato divorzista che se la ride,
la televisione accesa e il suo riflesso:
uno sguardo lobotomizzato.
occidente,
sono la tuta mimetica che indossi come pigiama,
sono quel cielo sereno che scherza la guerra,
la Bomba che cade,
il tetto che scompare;
sono le tue tracce senza erba,
sono la ragazzina che ti chiede un soldo
e lo sparo che le sfiora l’anima.
occidente, sarò il tuo nuovo santo sul mercato,
sarò lo sponsor delle tue chiese cosparse di sangue,
il tuo teschio avvizzito al crepuscolo;
eccomi, chirurgia estetica a coprire l’aborto del mondo,
sarò la vergine suicida dei tuoi sogni eiaculatori.
sarò sorriso e devastazione, nel tuo comunicato stampa,
sono quel microfono, scettro che tu spompini,
il tremebondo senzatetto sulla panchina piena d’AIDS,
il supereroe dei tuoi fumetti riciclati dal vietnam.
sono qui, sono la contraddizione e la soluzione,
su strade percorse dai tossici di torino
in cerca del paradiso perduto del dio allucinato;
sono una donna coperta in volto che stringe una fune,
salvezza dalla trave e non dal respiro,
e sarò la tua eventuale condanna,
la tua discriminata assoluzione, vostro onore.
sarò il farneticante viandante che compra i raggi del sole
spacciandoli per angeli in terra,
mi costerà una fortuna essere la tua lamborghini,
ma sarò i tuoi debiti da pagare in un’intera vita.
sarò il tuo herpes nascosto alla moglie e alla gonorrea,
sarò la tua estrema unzione e la tua inarrivabile redenzione.
occidente, tu mi sfuggi,
io sarò tutto ciò che la tua mano schiaccia
e sarò il grilletto,
vittima carnefice irredenta
delle tue innumerevoli esplosioni.
occidente,
soprattutto il tuo Silenzio.
Riccardo Dal Ferro
L’immagine: Violenti contro il prossimo (olio su tela, cm 60×80) di Mauro Filippini, per gentile concessione dell’artista.
Jessica Ingrami
(LucidaMente, anno IV, n 45, settembre 2009)