È appena uscita per i caratteri di Aracne “Tranche de vie”, una raccolta poetica di Margherita Versari che parte da incontri e piccoli dettagli quotidiani per pervenire all’universalità. Ne riproduciamo l’“Introduzione” di Donata Meneghelli
È fresca di stampa l’affascinante silloge di Margherita Versari dal titolo Tranche de vie (Aracne, pp. 60, € 8,00), impreziosita da una splendida copertina. Delle poesie della già docente presso l’Università degli Studi di Bologna avevamo già offerto qualche anticipazione (vedi «Un geroglifico di note»). Per l’occasione, riproduciamo di seguito, per gentile concessione degli interessati, l’Introduzione di Donata Meneghelli alla raccolta poetica.
«Il passato gioca un ruolo decisivo nei testi di Margherita Versari e la poesia si pone come strumento per recuperarne qualche vestigia: l’immagine, il sapore, il suono (la ricerca di effetti ritmici e musicali, nonché i riferimenti alla musica, sono costanti, in questi testi), o forse solo una certa temperatura emotiva, una configurazione di affetti, perché non tutto vada perduto in quella macchina polverizzante che è il semplice tempo che passa. Mentre l’oggi, l’hic et nunc, come recita un verso di Xenion per un amico, sembra essersi fatto silenzioso, quasi svuotato, tanto da far pensare all’intuizione folgorante che Virginia Woolf enuclea in una pagina di Momenti di essere: “Il passato ritorna soltanto quando il presente scorre così piano da rassomigliare alla liscia superficie di un fiume profondo”.
I versi raccolti in questo volume mostrano un intento caparbio di dare forma alla memoria, di strapparla a una dimensione esclusivamente privata per renderla comunicabile, sebbene non nei modi banali di una cronaca personale ma lasciandole qualcosa di segreto e di impenetrabile. Del resto, nelle primissime battute, la voce che parla si chiede se vivere non sia “solo un memento”. La risposta rimane incerta, ma quella voce lavora comunque contro la dimenticanza, l’oblio. Ed è curioso che i versi producano un tale effetto, poiché sono stati scritti in fasi diverse della vita, non costituiscono dunque – programmaticamente – un bilancio a posteriori: ma, rielaborati talvolta a distanza di anni, in essi ciò che una volta è stato presente diventa ricordo o prende comunque la veste del ricordo, filtrato attraverso uno sguardo disincantato, asciutto, eppure denso di nostalgia.
Grazie alla poesia, al suo carattere discontinuo e non lineare, fatto di piccole esplosioni, la biografia resta un filo sotterraneo, solo in parte svelato: “vita dietro le quinte ch’è pur vera”, leggiamo nella chiusa di Perle, e dietro le quinte quella vita – per quanto “vera” – rimane, mentre sul palcoscenico affiorano frammenti, attimi, bagliori improvvisi, ricordi sempre parziali e intermittenti. Già dal titolo, del resto, Tranche de vie, la raccolta suggerisce che non tutto viene detto, che non tutto può essere detto, che da qualche parte c’è un intero di cui lungo le pagine inseguiamo le tracce.
Ciò non significa che non emerga, leggendo, un disegno, o un intrico di disegni. Le tracce si disperdono in molteplici direzioni, disseminate “nell’incertezza di cosa ricordare” (Rientro), ma al tempo stesso si solidificano in elementi riconoscibili. Ci sono, per esempio, motivi, come quello della morte che coglie di sorpresa, inaspettata, imprevedibile, lasciando gesti interrotti e progetti in sospeso. Ci sono luoghi, la stanza (di casa, di un albergo…), la strada, materiale e metaforica, il letto… E ci sono oggetti: gli occhiali d’oro, il “cuculo kitsch, trofeo d’infanzia” che “risveglia il tempo” (Ricerca), il computer, la scodella vuota, il filo di perle, il peluche di pezza, su cui siamo spinti a fermarci, su cui di continuo inciampiamo, che ci interrogano con la loro ostinata, a volte assurda, normalità.
Ma soprattutto ci sono figure umane. Non è un certo un caso che la prima sezione della raccolta si intitoli “Incontri”. Gli incontri, le relazioni sono gli anelli a cui si aggancia il filo della vita: lungo quegli anelli – Beatrice, Puccio, M., D., Edoardo, Gabriella, Flora, Silvia, Fernando, Rino, zio Giovanni, fino alla donna senza nome che si esercita al solfeggio in un giorno d’agosto – il filo passa e si tende, a quegli anelli ritorna e si annoda. Questo piccolo libro di poesie è straordinariamente affollato, altre individualità si fanno largo e si impongono alla nostra attenzione con i loro gesti, i loro corpi (“occhi senza fondo”, “dita incerte”, “una mano un po’ gonfia e stremata”, “la nube dei ricci”), i loro desideri e i loro rimpianti, la loro sagoma ogni volta diversa e irriducibile, i loro ricordi e le loro dimenticanze (“e tu, corazón, / non ricordi già più / nemmeno il mio nome”).
Quasi in ogni pagina si sente la presenza di altre voci, in un dialogo ininterrotto in cui quelle figure vengono interpellate, chiamate per nome, talvolta con la sola iniziale, segno discreto ma inequivocabile; convocate ripetutamente sulla scena della memoria e della scrittura. L’io che enuncia, l’io lirico, qui è tutto fuorché egocentrico; anzi, talora appare quasi decentrato, diluito nella teoria di voci, nomi, volti, storie con cui si trova faccia a faccia e che si rincorrono di fronte a noi. La vita singolare, insomma, è sempre fittamente intrecciata a una pluralità di altre vite, e questa dimensione intersoggettiva così marcata, a tratti corale, attraversa come un vento leggero i testi di Margherita Versari, ne è uno degli aspetti più affascinanti, lasciandoci la voglia di ascoltare ancora» (Donata Meneghelli, Introduzione a Margherita Versari, Tranche de vie, Aracne, Roma, pp. 5-8).
Le immagini: la copertina della silloge; Ezra Pound (100×100, acrilico su tela, Museo Ca’ la Ghironda Modern Art Museum, Zola Predosa-Bologna) di Maurizio Caruso; la poetessa.
Carmela Carnevale
(LucidaMente, anno XIV, n. 157, gennaio 2019)