Dirigente scolastico e attore, due talenti che si incontrano. Ma è la sua vivace ironia l’arma vincente per inviare messaggi educativi e perseguire un obiettivo arduo. Ecco cosa ci ha rivelato
Laureato in Economia e commercio e Sociologia, sposato e padre di cinque figli, Pierluigi Bartolomei si racconta per LucidaMente. Romano verace, dopo avere scritto, nel 2008, I ragazzi di via Sandri. Maestri di strada e compagni di scuola (Edizioni Ares), dal 2011 porta in scena Mogli, mariti e figli come so’… te li pigli! (pubblicato da Il Castello con Prefazione di Pippo Franco) e tratto dal fortunato libro di Gary Chapman, psicologo cristiano americano, I cinque linguaggi dell’amore: come dire “ti amo” alla persona amata. Nel 2015, poi, Bartolomei scrive Ti porterò con me. Viaggio in una scuola che cerca la speranza (Ares).
La lezione-spettacolo presso la Rui (Residenza universitaria internazionale) di Roma, dove lo abbiamo incontrato, consiste in una performance, nel corso della quale riesce a trasmettere contenuti di grande spessore. Due ore di one man show, senza stancare il pubblico, grazie al lato ironico, comico ma realistico, della sua esibizione. Il suo obiettivo è raccontare la vita di coppia attraverso un mosaico di avvenimenti divertenti e imprevedibili. Bartolomei è anche dirigente scolastico. Strappare dalla strada i ragazzi espulsi dalle scuole per dare loro una professione era il desiderio di Giovanni Paolo II e di Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei.
Negli anni Sessanta nacque a tale scopo la scuola professionale Elis di Roma, dal 1989 diretta da Bartolomei, aperta anche sabato e domenica, nel quartiere di Casal Bruciato, sul modello di quella di Barbiana di don Lorenzo Milani. Una didattica senza voti e scrutini, all’interno della quale gli allievi si sentono attratti dai contenuti e spinti a diventare cittadini attivi. Non una scuola-apparato, un approccio che piace ai ragazzi più difficili. Chi ha modo di ascoltarlo nelle performance teatrali si rende conto fin da subito del suo talento di comunicatore, messo a servizio della collettività. Alla Rui, Bartolomei ha dilettato i presenti con il suo spettacolo di cabaret. L’abbiamo intervistato. Ecco le sue risposte.
Come ha riscoperto la passione per il teatro?«Non l’ho mai soffocata perché tra amici e in famiglia, durante le festività, io sono quello che fa battute, che imita tutti e che organizza scherzi divertenti. È un talento naturale che ho trasmesso ai figli per induzione, nel senso che anche loro, come me, ce l’hanno nel proprio cariotipo genetico».
Il suo è uno spettacolo per le famiglie?«Per realizzarne la sceneggiatura mi aiutò Aldo Rami della Rai, già sceneggiatore di Drive in. Feci una prima in un teatro romano. Chiamai l’esibizione Better relation through communication. Pensavo a una platea di manager, per convincerli che conciliare lavoro e famiglia è fondamentale al fine di ottenere successo, ma volevo le famiglie. Mi ha colpito molto l’affermazione del grande Otto Eduard Leopold von Bismarck-Schönhausen [1815-1898, il celebre politico tedesco noto anche come “cancelliere di ferro”, ndr]che, in una lettera alla sua giovane sposa, la quale reclamava attenzione affermando che, data la sua brillante carriera sarebbe stata presto dimenticata in favore di principesse e ambasciatrici, lui rispondeva: “Dimentichi che ti ho sposato per amarti? Il che significa gettare l’àncora nel futuro. L’Amore è una scelta, sempre”».
Accade la stessa cosa nella sua famiglia?«Certo. Mia moglie Emanuela lavora in tribunale come cancelliere. È totalmente diversa da me. Io credo di essermi innamorato prima di tutto dei suoi difetti. Lavora in silenzio e nelle relazioni personali. Si sente comunque una specie di ideologa, avendo acceso la miccia».
La sua consorte viene dalla Calabria: qual è il suo pensiero su questa terra?«Amo i calabresi non solo perché amo mia moglie, ma perché, nonostante i loro difetti, restano un popolo generoso ed essenziale, di poche parole, che non sopporta come me le “camurrie” e i rapporti poco sinceri. Se non dai fregature, ti piace la tavola e la famiglia, diventi il loro migliore amico. Ma guai a tradirli! Non li recuperi più. Ho tantissime conoscenze calabresi e, se penso alla virtù della fortezza, mi vengono in mente loro che, se si danno un obiettivo, sono capaci di raggiungerlo a qualunque costo, mettendo al primo posto il sacrificio e la leale competizione. I calabresi devono forse smettere di farsi trattare da pecore perché sono nati per essere lupi».
Lei dirige una scuola ma ha anche un grande talento come attore di teatro. In quale delle due attività ha avuto maggiore difficoltà?«Grazie a Dio in nessuna delle due, perché faccio entrambe le cose con passione. Non immaginavo di diventare un educatore. Se dovessi raccontare ciò che sognavo, direi che mi sarei visto bene come calciatore; ero anche bravino. Mi sono ritrovato per caso padre di cinque figli e preside di una scuola con più di mille allievi. Certo, ascoltare le storie dei ragazzi e arginare lo stress dei docenti è molto più complicato del ruolo di attore, perché hai sì la possibilità di aiutare, ma puoi anche danneggiare le persone. Preferisco intervenire sempre e comunque. Tutto questo significa complicarsi un po’ la vita e forse, nel lungo periodo, lasciarci un pezzo di pelle».
Come si comporta da dirigente scolastico?«Mantengo un atteggiamento austero, rigido, ma so anche essere amorevole con gli studenti, perché ognuno di loro ha una storia sulle spalle. In qualche modo mi metto a disposizione non solo come dirigente ma soprattutto come padre. Non penso tuttavia che un genitore debba atteggiarsi ad amico del figlio, perché deve avere un ruolo da educatore. L’attenzione per gli studenti è comunque reale e concreta; se necessario, si interviene anche con i servizi sociali».
Che cos’è per lei la recitazione?«Andare in tour non per strappare una semplice risata ma per veicolare contenuti fortemente valoriali mi spingono ad andare avanti, a fare inevitabili salti mortali perché ne vale la pena. Cerco di essere innanzitutto molto ordinato e, per avvertire meno la fatica, mangio una barretta di cioccolato fondente a settimana, che stimola la dopamina e mette allegria ».
Quante volte ha portato in scena lo spettacolo?«Finora 237, da Pachino a Bolzano. Tutti grandi successi con una media di trecento spettatori alla volta e con almeno quarantottomila persone che mi hanno visto recitare, tanti quanti gli abitanti della città di Mantova. Tra questi ricordo un grande fiasco. Ero a Fiuggi durante il festival delle famiglie per il cinema e dovevo esibirmi alle Fonti di Bonifacio; solo che non era stata fatta bene la promozione e vennero poche persone A queste si aggiunsero molti anziani che passavano davanti al palco con il bicchiere in mano, interrompendomi ogni minuto per chiedermi cosa stessi facendo lì sopra, per poi uscire lateralmente».
Qual è lo scoglio più difficile da superare al giorno d’oggi per far sì che il sogno di Giovanni Paolo II e di Josemaría Escrivá possa realizzarsi?«Il mondo è sempre lo stesso e non finirà mai, nonostante le previsioni più negative. Se vuoi lasciare traccia dipende da te. Escrivá era il santo del saper essere: propone di agire in perfetta unità di vita senza doppiezze; propone l’esercizio delle virtù, sia nel lavoro sia nella vita privata, per migliorare il mondo circostante, perché, se uno riesce a essere coerente e a migliorarsi un po’, immette ossigeno puro nell’ambiente in cui vive. Giovanni Paolo II ha fatto crescere la mia generazione, per cui, se io sono Pierluigi, lo devo soprattutto a lui e a quella sua frase storica: “Non abbiate paura”».
Quale messaggio intende inviare ai giovani?«Tenere fede alla parola data. Stare al proprio posto. Rendersi conto che chi ci è vicino ha messo nelle nostre mani la sua vita. Ogni obiettivo diventa raggiungibile se veramente lo si vuole e ciascuno di noi può scegliere di essere fonte del cambiamento».
Le immagini: la nostra Dora Anna Rocca con il dirigente scolastico e attore teatrale Pierluigi Bartolomei; una foto dello spettacolo tenuto presso la Residenza universitaria internazionale di Roma; locandine teatrali e copertina de I ragazzi di via Sandri. Maestri di strada e compagni di scuola.
Dora Anna Rocca
(LucidaMente, anno XII, n. 139, luglio 2017)