Le denunce di Maurizio Bolognetti contenute ne “La peste italiana. Il caso Basilicata. Dossier sui veleni industriali e politici che stanno uccidendo la Lucania” (Reality Book). La Prefazione di Carlo Vulpio
Inquinamento e corruzione, devastazione ambientale e sociale. In occasione del riesplodere del “caso Basilicata”, riproponiamo ai lettori una profetica segnalazione del libro-denuncia di Maurizio Bolognetti, pubblicata su LM MAGAZINE n. 18 del 22 agosto 2011.
La Basilicata (o Lucania) resta, nell’immaginario collettivo italiano, una regione meridionale anomala. Piccola, poco abitata, senza criminalità, con splendide località storiche (i Sassi di Matera) e naturali (i due mari, l’interno selvaggio). Incontaminati.
Tuttavia, già da tempo LucidaMente, attraverso i servizi del proprio redattore Andrea Spartaco, aveva evidenziato che, disgraziatamente, il panorama lucano non è così roseo, né, tantomeno, “pulito”.
Il libro di Maurizio Bolognetti La peste italiana. Il caso Basilicata. Dossier sui veleni industriali e politici che stanno uccidendo la Lucania (Reality Book, pp. 160, € 14,00) denuncia il business petrolio, la commistione tra politica e autorità che dovrebbero tutelare l’ambiente e la salute pubblica, tra controllori e controllati, la rovina di un intero ambiente, con fosche ricadute sulla salute pubblica (impressionante è l’incidenza di tumori, tra le più alte dell’intero Paese).
Il combattivo giornalista Carlo Vulpio ha redatto la Prefazione al libro. Ne pubblichiamo di seguito un ampio brano.
Un giornalista del Financial Times, di recente, ha scritto che la Basilicata è bella. Il giorno dopo, un po’ tutti, dall’ineffabile presidente della Giunta regionale lucana ai soliti giornalisti nostrani “copia e incolla”, hanno cominciato a ripetere come pappagalli che la “Basilicata è bella”.
Questa affermazione è falsa. Perché la Basilicata non è bella. È bellissima. Dire che è bella, anziché bellissima, ne sminuisce il valore, ne mortifica l’importanza, ne “normalizza” la vita. Che non è una vita qualunque. Ma una vita sconosciuta, ancora tutta da raccontare. Non perché sia una vita segreta, ma perché raccontarla è semplicemente rischioso.
La vita della Basilicata – sia detto anche a beneficio di quel cronista del quotidiano inglese al quale non sarà stato fatto mancare Aglianico di ottima qualità – non è l’oleografico idillio di gastronomia, clima e paesaggio, più i lucani brava gente. Questa immagine è una crosta, spacciata per quadro d’autore. La vita della Basilicata, di oleografico, ha solo l’oil vero e proprio, il petrolio, la cui estrazione e continua ricerca sta riducendo la regione a una groviera, e la sta impoverendo, perché la sta spremendo come un limone, la sta svuotando e la sta facendo ammalare. In superficie, questa regione appare diversa da com’è diventata: è come se avesse fatto uno sforzo sovrumano, nonostante tutte le prove e le violenze subite, che le ha permesso di conservare ancora i lineamenti della sua passata gioventù.
Ma dentro, sotto, dietro, la Basilicata è una regione spenta, rassegnata. Sembra aspettare la fine dei secoli e così sia. Non c’è da meravigliarsene, d’altra parte. Una regione con 131 piccoli comuni e nemmeno seicentomila abitanti – ricca di acqua, di gas, ora anche di petrolio, con le montagne innevate e il mare caldo, le campagne generose di grano, viti, ulivi e colture pregiate – è un luogo perfetto dove creare un feudo, in cui pochi signorotti comandano e tutti gli altri ubbidiscono, subiscono, o nel migliore dei casi si adeguano. Proprio quello che è accaduto a questa regione.
Non è una cosa del passato, no. Nel passato – diciamo pure durante l’era Colombo [Emilio Colombo, nato a Potenza, l’influente uomo politico democristiano della Prima Repubblica, nonché presidente del Consiglio e più volte ministro, non l’esploratore genovese, ndr] – questo moderno feudalesimo è nato e si è consolidato. Ma adesso si è raffinato, proprio come il petrolio, e avvolge tutto con la sua potentissima viscosità. In questi anni, soprattutto grazie al mio lavoro, ho imparato a conoscere sempre meglio la Basilicata, e ho imparato a guardarla sempre più da vicino senza dovermi stropicciare gli occhi. Per questo, quando ho letto il dossier di Maurizio Bolognetti – pieno di dati e di date, di luoghi, circostanze, nomi e cognomi, fatti inspiegati (da chi dovrebbe) ma non inspiegabili – ho provato dispiacere, dolore, rabbia ma non meraviglia.
Bolognetti, dalla sua trincea della Basilicata interna, ci ha messo l’anima per scrivere questo dossier. Lui ci vive, in questa regione bellissima, e la ama, la rispetta. Non ci è andato in gita, e poi via, come il cronista del Financial Times. Non poteva perciò raccontare le stesse risapute stupidaggini. Al contrario, Bolognetti, che non è un lucano da cartolina, ha imbracciato la penna come si imbraccia il fucile ed è andato a caccia delle bestie feroci nascoste nelle viscere della Basilicata, quelle belve che stanno sbranando la sua regione e divorando il futuro dei più giovani, i quali continuano a emigrare a migliaia.
Bolognetti è riuscito, alla sua maniera, da radicale ostinato e persino tignoso, a informare il mondo (sì, il mondo, perché questo dossier, statene certi, circolerà come merita) sugli scempi di Tito, della Val d’Agri e delle Vie del Basento, sulla commistione e indistinzione di controllati e controllori, su un ceto dirigente fattosi cupola mafiosa “diffusa” e persino più famelico e pericoloso delle cupole malavitose “classiche”, su una magistratura che, salvo qualche eccezione, dovrebbe solo vergognarsi di ciò che non fa, sull’Arpa (l’Agenzia di protezione ambientale) ridotta tutt’al più alla caricatura di uno strumento musicale, sui colossi Enel, Edf, Eni, che non pagano e non cambiano mai nonostante i veleni dei loro inceneritori e dei loro stabilimenti, sulla eterna “emergenza” in materia di rifiuti e disastri ambientali che in realtà è una macchina perfetta per fare soldi, soldi, soldi, sempre più soldi.
Qualche tempo fa, scrivevo che era sbagliato dire che “in Basilicata non succede mai niente”.
E aggiungevo che per capire davvero il senso di questa affermazione bisognava completarla così: in Basilicata non succede mai niente “perché niente può succedere”. La Basilicata, ecco il punto, come luogo della sublimazione del pensare e dell’agire mafioso che superano se stessi, come lo stato di “mafia perfetta” che trascende e supera la “mafia mafiata”.
So bene che questa lettura farà molto discutere e che a qualcuno apparirà iperbolica, ma questo è lo stato immobile delle cose lucane, di cui non ci si può non accorgere osservando i fatti, analizzandoli e mettendoli in relazione tra loro, magari aiutandosi con quei pochi lavori – dossier, saggi, reportage – che, come questo di Bolognetti, raccontano altre storie, e cioè tutta un’altra storia. Bolognetti non ha svolto soltanto un lavoro utile, non ha solo scritto un dossier di valore. Ha fatto solo un gesto di amore per la sua regione, che non è bella, ma bellissima. Fin tanto che potrà restare, o apparire, tale.
Un giorno, per questo, la Basilicata dovrà essergli grata.
(da Carlo Vulpio, Prefazione a Maurizio Bolognetti, La peste italiana. Il caso Basilicata. Dossier sui veleni industriali e politici che stanno uccidendo la Lucania, Reality Book)
Le immagini: la copertina del libro di Bolognetti e la sua partecipazione ad alcune manifestazioni di denuncia (si riconosce anche il radicale Marco Cappato).
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XI, n. 124, aprile 2016)