Perché la notte i gatti piangono come i bambini?
I crisantemi per la morte.
Le rose per l’amore.
I garofani per il Partito Socialista.
Le margherite per il m’ama non m’ama.
Allora gli compro i girasoli per la sua festa di laurea. Stasera Hossam diventa dottore in lingue ed io mi congratulo con dei girasoli. Stasera i girasoli diventano i fiori per le feste di laurea. Stasera ho una festa di laurea.
Prima di prepararmi vado dal fioraio perché ho deciso di comprargli dei fiori per la sua festa. Non è distante da casa. Scendo le scale su un tappeto di petali rossi e, in un angolo di ogni pianerottolo, delle ossa di pollo o dei pezzi di cibo per gatti affamati. Ogni volta che scendo, non ci sono mai gatti per le scale.
Solo i petali rossi e stasera nessun gatto.
Attraverso la strada e buco il mio quartiere. Il fioraio è dall’altra parte del ponte.
Sul ponte mi accoglie un vento inusuale. Soffia e dice addio. Intendo l’addio ma non lo capisco.
Mi passo la mano sulla testa calva pensando all’addio e continuo mentre il vento sperpera i miei pantaloni. Stasera sul ponte le coppie si avvicinano e non si toccano. I lampioni sbirciano senza guardare.
Stasera ho la festa di laurea di Hossam e mi devo muovere se no rischio di fare tardi. Accelero il passo e scendo altre scale.
Trovo il fioraio.
Crisantemi.
Rose.
Garofani.
Margherite.
Chiedo dei girasoli ma stasera sono finiti.
Penso che un po’ lo amo questo Hossam e chiedo venticinque rose rosse. Una vera dichiarazione d’amore. Il fioraio falcia le spine di mezzo gambo e le sposa in un mazzo gradevole. Rosso.
Pago. Ringrazio. Saluto. Au revoir.
Salgo le scale e raggiungo il ponte. L’addio aspetta incompreso ma insistente. Mi aggrappo alle rose e le stringo al petto. Il vento potrebbe rubarmele. Stasera ho una festa di laurea e devo muovermi. È davvero tardi. Prendo un taxi. Faccio segno ad uno ma non si ferma. Ne chiamo un altro e non accetta. Cammino. Farò tardi ma cammino. Non fa niente! Mi piace ascoltare l’addio del vento. Misuro il ponte e saluto il vento. Mi incammino in una strada. Mi guardo a destra.
Ma che traffico stasera!
Mi guardo a sinistra. Non arriva nessuno.
Attraverso. Un passo. Due passi. Un clacson. Tre passi. Guardo di nuovo a sinistra. Non guardo più a destra. Vento. Non vedo la macchina a destra.
Mi urta.
Mi investe.
Violentemente.
Le rose volano nell’aria e l’addio le raccoglie una ad una. Le sfoglia lanciandole dall’alto intorno al mio corpo sprofondato nel sangue e nella gente. Una corona di petali mi incornicia.
Stasera avevo una festa di laurea.
Stasera Hossam mi aspetta ed io farò tardi.
L’addio si ferma. Le rose si posano.
I gatti mangiucchiano negli angoli delle mie scale. Uno solo miagola e piange sul mio pianerottolo. Sembra un bambino di notte.
(Fiori spargo)
Carmine Cartolano
Insegnante di Italiano a Il Cairo, ma originario della provincia salernitana, Carmine Cartolano è nato nel 1972. Si è laureato in Lingue e Letterature straniere e continua a coltivare la sua passione per la scrittura.
IL COMMENTO CRITICO
In uno “speciale” di LucidaMente dedicato agli animali, abbiamo cercato un riferimento ai nostri “migliori” amici anche nell’inedito letterario. Ed ecco, naturalmente, sua maestà il gatto.
Fiori spargo è un testo di narrativa al confine con la poesia. Le sue parole si sono incontrate proprio sullo stesso pianerottolo. Lo stile sobrio ed elegante si caratterizza per l’apparente semplicità, adorno di quegli escamotage tipicamente poetici che privilegiano la musicalità, l’eufonico ridondare, l’eco appena sussurrata di certa prosa d’arte alla maniera primonovecentesca.
Nemmeno l’uso dei capoversi e delle consonanze possono sottrarre al lettore questa impressione confermata finanche dall’architettura lessicale dell’edificio testuale. Ogni parola al suo posto, come insegna la lezione dei più fini verseggiatori, mentre è tutto da pagare ai musicisti il debito ritmico scandito dalla paratassi che con periodi brevi mette in risalto le dimensioni della temporalità urbana piccole, quasi insignificanti, ma cariche di quell’emotività implicita che in tanto grigio non rinuncia alla vita.
La notte dei gatti-bambini – Perfettamente abbinata al valore ambivalente del genere, l’atmosfera di questa pagina di prosa si presenta connotata di valore simbolico e surreale (“lampioni sbirciano senza guardare”; “un vento inusuale soffia e dice addio”). Così il contesto risulta non riconoscibile, ma si colora solo dei tratti del paesaggio urbano, dei tratti e dei tempi del passaggio in un paesaggio – ci sia concessa la frivolezza fonica – che l’uomo ha artefatto e costruito per una notte solamente sua. La notte che stende pacifica il manto silenzioso dell’interiorità andante, capace di accogliere pennellate di colori e di suoni: i fiori gialli della festa, il miagolio dei gatti, il pianto dei bambini. E, su tutto, gli animali guardiani.
Tanti colori, su tutti il rosso – Tra i vari colori dei fiori e della città, alla fine ne prevale uno: le rose e l’amore macchiano di rosso l’oscura navigazione del protagonista tra i ponti e il vento, un vero suggerimento dell’aleggiare dell’acqua, regina del fiume, regina del mare, che talvolta lambisce la città. Come l’acqua e l’ambivalente equilibrismo stilistico, fa la sua comparsa anche l’ambiguità del tema amoroso: due uomini tra venticinque rose rosse, tra numerosi passi, tra innumerevoli volti, infine il sangue, la gente, porto autentico della condizione umana. Per ultimo, “l’addio si ferma”. L’appuntamento è naufragato.
Una tragica traiettoria del destino – Di segnali di un destino maligno era disseminata tutta la poesia. Dalla ripetizione incessante, per di più enfatizzata dal grassetto, di “stasera“, all'”addio del vento”. Alla luce della conclusione, tutta la poesia diventa enigmatica danza di indizi negativi, palpiti di un veloce fervore di vita, cornice di avvisaglie metafisiche, finché pure l’ultima tessera finisce per incastrarsi nel mosaico del tragitto di un’esistenza umana. Le rose destinate a Hossam diventano “una corona di petali” che “incornicia” il protagonista esanime. E ricompaiono i gatti affamati per le scale. “Uno solo miagola e piange sul mio pianerottolo. Sembra un bambino di notte”.
L’immagine: particolare de Il sogno (1910) di Henri Rousseau il Doganiere (1844-1910).
Antonietta De Luca
(LucidaMente, anno I, n. 7, luglio 2006)