La 53a edizione della mostra ha riproposto il proprio orientamento di ricerca e sperimentazione, anche tramite nuovi strumenti di studio. Continua la parallela esplorazione dell’attuale panorama cinematografico italiano, con alcune intraprendenti produzioni
La 53a edizione del Pesaro Film Festival (17-24 giugno scorsi) per il terzo anno sotto la direzione artistica di Pedro Armocida, ha visto otto film concorrenti al premio intestato al fondatore della rassegna, Lino Micciché. I contributi selezionati dal Comitato scientifico provenivano da Paesi lontani sia geograficamente sia culturalmente, ma accomunati da un presente precario e da un futuro indecifrabile: la Cina come i Balcani, Israele come il Brasile, l’India come la Francia.
La giuria di esperti, reintrodotta a fianco a quella dei giovani, ha assegnato il riconoscimento a The first shot di Yan Cheng e Federico Francioni, che mostra una Cina post-Tienanmen nella quale si muovono tre personaggi alla difficile ricerca di un’identità. Una menzione speciale è andata all’israeliano People that are not me, di Hadas Ben Aroya, per aver messo a fuoco la generale condizione giovanile di solitudine metropolitana. Segnalato anche Sexy Durga, il film di Sanal Kumar Sasidharan che “insegue” una coppia in fuga nella notte indiana, tra criminali di bassa lega e antichi rituali alla dea Kali. Alla pellicola è andato pure il premio della giuria dei giovani, mentre il pubblico della piazza ha favorito Lumières d’été di Jean-Gabriel Périot, ambientato a Hiroshima e incentrato sui sopravvissuti della bomba atomica. Nell’edizione appena conclusa si è riconfermato l’interesse del Festival per i critofilm. Dato l’argomento ostico, è legittimo tornare a trattarlo.
“Crito” deriva dal greco “kritein” (spiegare). Il termine fu usato per la prima volta nel 1952 dal critico Carlo Ludovico Ragghianti per i suoi critofilm d’arte. Nel 1966 Maurizio Ponzi lo ha ripreso per Il cinema di Pasolini. Appunti per un critofilm. Una definizione precisa arriva poi da Adriano Aprà, lo studioso che ha curato la relativa sezione della rassegna già nel 2016: «Premesso che la parola scritta allude all’oggetto del proprio discorso, mentre l’immagine è omologa allo stesso, è con il “critofilm” che sempre più in futuro si parlerà di cinema. Esso è complementare e per certi versi superiore al saggio scritto, che è piatto, descrittivo, e ha un rapporto del tutto analogico con l’oggetto di cui parla».
Dopo un periodo di silenzio, ora il “Cinema che pensa il cinema” è uno dei temi di riflessione alla mostra di Pesaro. Nel corso dell’ultima edizione si sono visti alcuni lavori che hanno anticipato tale modalità di spiegare, studiare ed elaborare percorsi critici sul cinema ricorrendo al suo elemento omologo, l’immagine. Un esempio tra i tanti è il documentario Tecniche miste su schermo. Il cinema sperimentale a Roma 1965-1975 del docente universitario e storico dell’immagine in movimento Bruno Di Marino. L’opera è riconducibile alla sezione Lezioni di Storia, per il secondo anno a cura di Federico Rossin, storico e critico. Al suo interno, focus sulle pellicole di Jonas Mekas, fondatore, nel 1960, del New American Cinema Group (o Underground) che riuniva registi indipendenti e d’avanguardia americani. Invitato da Micciché e da Bruno Torri, che volevano un confronto con la filmografia sperimentale italiana del tempo, il lituano Mekas portò il suo cinema a Pesaro nel 1967, per uno storico incontro di cui quest’anno ricorre l’anniversario.
Molto atteso anche il nuovo appuntamento con gli autori dei Fuori norma, cioè i lavori prodotti a basso budget, al di fuori delle regole canoniche, sperimentali e lontani dalla logica dei circuiti industriali, presentati da Satellite, la sezione curata da Anthony Ettorre, Annamaria Licciardello, Mauro Santini e Gianmarco Torri. È stato ammirato, tra i tanti, per l’alto coinvolgimento e la maturità di realizzazione, Viaggio a Montevideo di Giovanni Cioni, ispirato ai Canti Orfici di Dino Campana. La tavola rotonda con gli autori è apparsa utile a rischiarare l’intento di questa sezione, ovvero offrire la massima disponibilità a ogni forma di sperimentazione, «dalle opere più strutturate ai più esili frammenti diaristici…».
L’idea di uno dei giovani autori presenti che Satellite raccolga «i film dell’urgenza, qualcosa che gli autori sentono dentro»,conferma l’impressione, derivante da una visione complessiva, di lavori che esulano da qualsiasi tema predeterminato. Le opere che confluiscono in Satellite risentono comunque di un’ispirazione, di un modo di fare cinema, di una pratica critica e rivoluzionaria, che conducono al nome di Alberto Grifi, il cineasta più rappresentativo del filone underground e militante italiano, scomparso dieci anni fa. Con il suo attivismo in giro per l’Italia, egli ha prodotto e fatto produrre una gran quantità di materiale che un progetto di Danilo Monte, L’eredità di Grifi, si ripromette di recuperare a futuro beneficio di cineasti, organizzatori e artisti, per espanderne il messaggio: «L’artista è come un uccello in gabbia: canta i suoi disagi, ma questo cantare non rompe la gabbia. Al contrario, le dà un senso, ne riempie il vuoto…». L’urgenza di autodefinirsi, rendendosi indipendente dai “Maestri”, è determinante anche per la creatività di Pedro Aguilera, considerato autore di punta di “un altro cinema spagnolo”.
Nella retrospettiva a lui dedicata, necessariamente breve data la sua giovane età (classe 1977), si sono visti i film: La influencia (2007), Naufragio (2010) e Demonios tus ojos (2017). Le tre opere hanno in comune il ripetersi di una condizione esistenziale presente nei diversi strati sociali che fanno da sfondo alla narrazione. «Sono tre storie in cui i personaggi si caratterizzano come naufraghi della vita», ha osservato Armocida al termine dell’ultima proiezione. Nel presentarla, consapevole della materia hot trattata, egli aveva invitato il pubblico a restare fino alla fine, per assistere all’omaggio reso a Cannibal Holocaust, del regista italiano Ruggero Deodato. Il pubblico è rimasto, forse interessato anche alle possibilità di sopravvivenza dei “naufraghi”! In fondo, stando alle storie di un cinema cosiddetto “per il reale”, il rischio di derive è più che mai incombente.
“Unicum” nell’attuale panorama cinematografico è il regista sperimentale francese Nicolas Rey del quale a Pesaro, per la prima volta nel nostro Paese, è stata vista tutta la filmografia in 16 mm. Il relativo procedimento è stato completamente realizzato nel suo L’abominable, atelier vicino a Parigi, dove si può condividere e imparare il lavoro artigianale, ormai quasi oscurato dall’avvento del digitale. L’artista è arrivato in auto dalla Francia con tre proiettori per una performance al Centro Arti visive Pescheria: una multiproiezione in cui l’immagine si forma nell’incrocio dei fasci di luce. Il necessario sguardo unificatore del flusso continuo di pensieri sul cinema passato, presente e futuro, è stato quello di Roberto Rossellini, ultimo umanista. In rassegna, i suoi film più significativi: Roma città aperta (1945), Paisà (1946), Europa ’51(1952), India (1959), La presa del potere da parte di Luigi XIV (1966), Cartesius (1973) e dodici “schegge” (pillole sul regista) a cura di Fulvio Baglivi, in apertura delle proiezioni; presente il figlio Renzo Rossellini che, nel corso di una tavola rotonda, ha evocato l’immagine del padre quale garante della diffusione della conoscenza.
Nel complesso, scrive Bruno Torri nel catalogo della mostra, «un campione, piccolo ma assai rappresentativo, della vasta produzione cinematografica e audiovisiva di Rossellini, quindi delle diverse, ma insieme coerenti, stazioni del suo itinerario creativo-culturale e della sua concezione del cinema e dell’uomo, o per essere più precisi, di un cinema che ha sempre come proprio baricentro l’uomo…». Una presenza “luminosa” ha poi alleggerito l’impegnativo programma del Pesaro Film Festival: Jasmine Trinca, vera mattatrice dell’incontro con la stampa, moderato da Armocida presso il Centro Pescheria. L’artista ha parlato di sé e del proprio lavoro con entusiasmo e passione, ben giustificati dopo il recente premio a Cannes quale miglior attrice per l’interpretazione di Fortunata, di Sergio Castellitto.
La memorabile performance della Trinca è stata quindi la più valida introduzione al volume edito da Marsilio, nella collana Nuovocinema, L’attore nel cinema italiano contemporaneo. Storia, performance, immagine, a cura di Armocida e Andrea Minuz (pp. 288, € 25,00). Oggetto d’analisi nel testo e nella discussione tra i presenti sono stati la componente attoriale, le sue tipologie e caratteristiche e il peso che essa ha nella produzione di un film. Il percorso era già iniziato con due precedenti volumi: Esordi italiani. Gli anni Dieci al cinema (2010-2015), a cura dello stesso Armocida (Marsilio, pp. 346, € 28,00), e Romanzo popolare. Narrazione, pubblico e storie del cinema italiano degli anni duemila, di Armocida e Laura Buffoni (Marsilio, pp. 348, € 28,00).
Le immagini: la locandina e la porta d’ingresso della rassegna annuale Pesaro Film Festival; scheda del film Demonios tus ojos di Pedro Aguilera (dal catalogo della mostra); la tavola rotonda con Renzo Rossellini, Adriano Aprà e Bruno Torri; l’incontro con l’attrice Jasmine Trinca, moderato dal direttore artistico del Festival Pedro Armocida.
Silvana Tabarroni
(LucidaMente, anno XII, n. 139, luglio 2017)