Ecco, direttamente dalla nostra inviata, cosa ha caratterizzato l’edizione 50+1 della Mostra internazionale del nuovo cinema
Si è conclusa il 27 giugno l’edizione 50+1 dell’ormai classica Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, nel 2014 al traguardo del mezzo secolo. Nel congedarla, Matteo Ricci, sindaco della cittadina marchigiana, ha espresso il proprio compiacimento all’affollata piazza del Popolo, che ha salutato insieme al nuovo direttore artistico del festival, Pedro Armocida, già vice di Giovanni Spagnoletti, curatore dell’evento dal 2000 al 2014.
La nuova conduzione della mostra ha già prodotto cambiamenti, a partire da quel 50+1, cui, si suppone, faranno seguito il 50+2, ecc., a sottolineare il distacco dal “vecchio” corso. Dall’anno prossimo, inoltre, il festival cadrà nella prima settimana di luglio, mese in cui anche la riviera marchigiana fa l’en plein di turisti, lasciando prevedere che in futuro l’internazionalità della kermesse si realizzerà anche davanti allo schermo, insieme a un aumento delle presenze. Ambizione che, di per sé, non determina l’appannarsi delle atmosfere tranquille di giugno, rimaste finora incontaminate da clamori e lusinghe del mercato. Anzi, presso il Centro Arti visive Pescheria, una bella mostra ha celebrato Lino Micciché, che nel 1965 diede al festival un’impronta di ricerca e studio. Intellettuale, critico, storico del cinema, saggista e organizzatore culturale, il fondatore ha avuto un ruolo importante nell’ambito della storia del cinema italiano del dopoguerra e una ricca serie di filmati, documenti, dediche, libri, articoli, ne offrono risalto e testimonianza.
Nella stessa suggestiva location sono riprese, da quest’anno, le tavole rotonde di discussione e approfondimento su temi come Il futuro del nuovo cinema. Un futuro ripensato nei suoi due aspetti del festival e della critica, con l’intervento di giovani esperti e alla presenza del nuovo Comitato scientifico della mostra, di età media intorno ai 40 anni, coordinato, però, da un ottantatreenne, Bruno Torri, storico cofondatore della mostra. L’impressione di un generale “largo ai giovani” si è riscontrata anche nella composizione della giuria che, per la prima volta, ha visto affidare il giudizio sui film in concorso a ben 17 giovani provenienti dalle scuole e dalle Università di cinema italiane.
Rispettata la tradizione di ammettere in concorso opere di autori esordienti, o quasi, della cinematografia internazionale, l’impatto giovanilista è stato mitigato dalla presenza, in altri eventi, di tre registi in età, dei quali i primi due sono riconosciuti “maestri” anche dalle generazioni più giovani: Paul Vecchiali (1930), Krzysztof Zanussi (1939) e Tayfun Pirselimoglu (1959). Pier Paolo Pasolini (1922-1975), presente con la forza del mito che si è creato intorno alla sua figura, dopo la grave barbarie che colpevolmente ce l’ha sottratto, è stato omaggiato al Dopofestival a Palazzo Gradari con il reading di Pierpaolo Capovilla La religione del mio tempo.
La contemporaneità del suo pensiero è stata oggetto di approfondimento nella tavola rotonda di chiusura del festival pesarese. Una riflessione di Andrea Minuz, docente di Storia del cinema italiano a La Sapienza di Roma, contribuisce a farci conoscere l’uomo e, allo stesso tempo, indica un problema identitario giovanile: «Quando ha girato Accattone, Pasolini non sapeva nulla di tecnica cinematografica ma aveva una visione del mondo. Oggi è vero il contrario: è facile acquisire la tecnica, ma è raro trovare giovani autori con una visione forte come quella di Pasolini».
Il festival si è concentrato sull’analisi della sperimentazione filmica contemporanea, già iniziata nel 2013, con un focus sulla copiosa produzione di video e di un cinema che «hanno l’ambizione di collocarsi al di fuori delle regole canoniche dei diversi generi per proporre esplorazioni innovative di forme espressive», come si legge nel saggio, curato da Adriano Aprà, Fuori Norma. La via sperimentale del cinema italiano (2000-2012), edito da Marsilio. L’edizione 50+1, con una tavola rotonda, ha proposto la visione di 17 titoli scelti fra i 250 citati o riesaminati in Esordi italiani. Gli anni Dieci al cinema (2010-2015), sempre per i tipi della Marsilio, a cura dello stesso Armocida, che ha premesso: «La verità è che, alla fine, nemmeno li conosciamo».
Questo giudizio è stato confermato da altri interventi: «Non hanno alcunché da spartire l’uno con l’altro» (Federico Pontiggia); si tratta di «autarchici, strabici e visionari» (Gianni Canova); mentre per Giona Nazzaro è in atto un «cinecidio»! È lecito il dubbio se la sperimentazione di nuovi linguaggi, vuoi con la pratica del recycled-cinema (riuso di immagini), vuoi con l’introduzione dei video-essay, anche come strumento di riflessione critica, apporti un grado d’innovazione tale da accreditare le attuali produzioni come nuovo cinema.
Il workshop curato da Chiara Grizzaffi ha offerto una panoramica sul mondo del video-essay, sulle relative modalità critico/argomentativa, poetica, ludica e sul suo uso in rete, nonché sulla possibilità di usarlo in sostituzione della forma più estesa del saggio quale critica di un tipo di arte, quella cinematografica, spesso foriera di significati complessi. È auspicabile che i giovani stiano perfezionando gli strumenti coi quali trasmettere proprie visioni del mondo e una nuova estetica. Il fenomeno non è solo italiano, infatti il film acclamato vincitore dalla giuria dei giovani, Un jeune poète di Damien Manivel, offre un esempio dello stato di confusione proprio del comune sentire dei giovani e, contemporaneamente, del bisogno di una febbrile ricerca.
Immagini dalla mostra Centro Arti visive Pescheria; workshop di Chiara Grizzaffi; tavola rotonda Il futuro del nuovo cinema; scheda di Un jeune poète.
Silvana Tabarroni
(LucidaMente, anno X, n. 115, luglio 2015)