Il ruolo del (cattivo) giornalismo italiano nella creazione degli stereotipi nel libro “Brutti, sporchi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione” (Ediesse) di Giulio Di Luzio
Qual è il ruolo dei media nella costruzione della figura dell’immigrato, generalmente negativa, nell’immaginario collettivo? Un ruolo spesso affidato a maitre à penser di casa nostra corteggiati dalla classe politica.
Sull’argomento indaga con rigore scientifico e passione civile Giulio di Luzio, già giornalista de il manifesto, de la Repubblica e di Liberazione, e ora presso Il Corriere del Mezzogiorno di Bari. Il risultato delle sue analisi è contenuto nel volume Brutti, sporchi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione (Con un’intervista a Laura Boldrini, Postfazione di Oliviero Forti ed Emilio Fabio Torsello, Ediesse, pp. 184, € 10,00).
Ne vien fuori che semplificazioni artificiose e categorie etnocentriche, che si dilatano e rimodellano secondo i tempi e le geografie, determinano l’architettura mediatica che soprattutto il piccolo schermo erige come fortezze nelle case degli italiani, delineando ipotetiche invasioni, che ridurrebbero i nostri spazi vitali da parte di migranti chiamati sempre e solo clandestini. Si rafforza, quindi, una vulgata linguistica e giornalistica, che non riconosce loro altro status, se non quello di migrante, immigrato, irregolare, richiedente asilo, profugo politico, rifugiato. La semplificazione mediatica extracomunitario-clandestino-criminale, anche per chi perda il lavoro o non sia in possesso di soli documenti, si spoglia di qualsiasi legame razionale e scientifico per divenire un copione mediatico dato in pasto a un’opinione pubblica ignara e tenuta a digiuno, che non può che invocare scelte di ordine pubblico.
Un terrore instillato quotidianamente, capace di condizionare la percezione stessa del fenomeno e l’orizzonte culturale di ognuno di noi, soprattutto in assenza di retroterra di conoscenze ed esperienze dirette in materia. Attraverso cliché narrativi generosamente veicolati dai media viene fuori un’immagine del migrante, sostiene l’autore, distante anni luce da quella che risulta negli ambienti scientifici, dalla ricerca sul campo, dai rapporti diretti con comunità di stranieri in Italia. Ma la realtà scientifica conta poco, valgono di più le verità confezionate nelle redazioni per drogare lettori e spettatori: la posta in gioco non è la credibilità scientifica ma la preziosa merce del consenso. Gran parte della stampa italiana ha acquisito un ruolo centrale nella definizione del clima di sospetto e diffidenza verso i nuovi arrivati, quando non addirittura di aperta xenofobia, alimentata da quella parte dei media, che vi si è dichiarata esplicitamente ostile. Qualcosa che i meridionali migrati a Torino o Milano negli anni Sessanta ben ricordano, quando erano sbattuti in prima pagina dai quotidiani come calabresi, pugliesi o siciliani.
Come ieri per tanti di noi, i luoghi comuni e la ricerca di capri espiatori si rinnovano con nuove vesti e oggi anche l’immigrato perde identità, diventando semplicemente un extracomunitario. Di Luzio insomma si lancia in un coraggioso lavoro di ripristino della verità storica e denuncia di una cronaca livida e onnipotente, riportando alla memoria recenti avvenimenti, che hanno rappresentato pagine poco dignitose per l’informazione del nostro Paese. Un’intervista a Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite e un intervento di Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio Immigrazione della Caritas Italiana, completano il lavoro.
Per saperne di più: giuliodiluzio.blogspot.com. Per contatti con l’autore: giuliodiluzio@libero.it.
LucidaMente si è occupata sovente della questione affrontata da Di Luzio. Ad esempio, con:
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Katia Grancara
(LM EXTRA n. 27, 16 gennaio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 73, gennaio 2012)