Avvincente, fascinoso e ricco di tematiche contemporanee il romanzo “Sole nero” (Leone Editore) di Marco Righetti, ambientato in un’Africa surreale e primigenia
C’è qualcosa di metafisico e insieme di assoluto nel riuscitissimo, cadenzato e rapinoso cortoromanzo con cui Marco Righetti – poeta di talento, riconosciuto e riconoscibile – esordisce nella narrativa e al contempo ci infligge… il dono di un inflessibile specchio epocale, insomma di una parabola che sembra quasi evocata, arringata, da un giovane, piccolo Buzzati di oggi (si parva licet…). L’ignoto di Righetti e del suo Sole nero (Leone Editore, pp. 132, € 6,00), è un Futuro in atto che mentalmente resta ancora troppo lontano, ma pur sempre prodigiosamente vicino, e drammaticamente ritardato, contaminato, corrotto di segreti, quindi pericoloso e inesplicabile insieme…
Ansia e mistero, bilancio e sentore di decadenza ci abbracciano, ci ammaliano fin dalle prime righe con un Frecciarossa diretto a Milano e, nel capitolo successivo, con un viaggio cui il protagonista si sottopone dopo una telefonata improvvisa, notturna e allarmante del fratello che lavora in Africa, ingegnere-avventuriero e progettista neo-babelico di un Futuro nato già malato… La frantumazione è iniziata… Perché la vera trama – attenzione – è l’ansia ancestrale, la paura del domani, il timore di un nuovo che non avanza ma retrocede nel dramma e nel disastro epocale – energetico, emotivo, ergo introiettato, dolente e interdetto, e tuttavia rapinoso, inquieto e temprato d’espressionismo…
Si capisce subito, intanto, che la vera protagonista del “cortoromanzo” è l’Energia, la proiezione – l’assunzione avveniristica ma, ahinoi, già in atto – di una filosofia tutta contemporanea che è nullificazione degli istanti, dissolvimento e dissolvenza incrociati, accelerati al massimo grado. L’abilità e il piglio di Righetti lo portano insomma a prendere la forma, più o meno spuria, della detective story (apparentemente opposta alla soggettività del cosiddetto romanzo “psicologico”), e a contaminarla, sussumerla a perfezione. Una deriva è tale proprio perché restia, fiera, inarginabile… Il narratore è talmente bravo a calarsi in un futuro prossimo (i dieci anni da qui al 2022!) che non ha bisogno di un nuovo Kubrick per trasformare in film cartaceo, per ora tutto scritto e implosivo, un baluginante racconto al contempo lucido e visionario; insomma, per liberare nuove, struggenti immagini come sogno dilaniante e agguerrito, parossistico fino al tetro risveglio. L’emergenza del Futuro? Ecco, ma il futuro in atto – questo è il punto cruciale – non sarà più una soluzione, semmai persiste e vige come il problema stesso…
Perciò siamo grati a Righetti di averci intanto dedicato, profetato una parabola – una tra le mille possibili, concrete, che parevano impossibili, impassibili!… Un’apocalisse imprevedibile ma avverata, e che brucia forse con lo stesso fuoco che ci annichilisce ormai il cuore, e rende tutto combusto, vendicato, punito, redento, immolato, il Linguaggio e il Pensiero, la Storia leviathana e le nostre storie meschine, piccine, imperdonabili… Il libro – questo bel libro – comincia dunque con la velocità (che già fu cara, sic, idolatrata dai vecchi, vetusti futuristi primo Novecento!), e finisce con la distanza… La distanza – e forse la salvezza – di ben altre immagini; quelle da cui e con cui ricominciare anche a fare romanzo, redenzione di affetti. Nell’ecatombe di visioni gli eliostati bruciano come orologi molli o giraffe infuocate di Dalí, in un deserto postsurreale insieme placido e terrifico, maledetto e immoto. Fra le pagine più belle, più coraggiose e rare, l’Africa che non sta negli atlanti, nei dépliants patinati degli alberghi, l’Africa delle tribù, dei graffiti paleolitici, degli urli originari, dell’osso che diventa clava, forse di un’altra Eva o di un nuovo Adamo, identico al primo…
Plinio Perilli
(LucidaMente, anno VII, n. 84, dicembre 2012)