Nel suo recente libro La scommessa della decrescita (Feltrinelli), il sociologo ed economista francese Serge Latouche parla dell’urgenza di un drastico mutamento dell’economia mondiale e auspica la transizione verso una società “vernacolare” che arresti il processo di distruzione dell’ambiente, innescato su scala planetaria da uno sviluppo industriale incontrollato.
Latouche, inoltre, ricorda che “il progetto di una società paragonabile a quella che intendo per società della decrescita era già stato formulato alla fine degli anni sessanta da teorici come Ivan Illich, André Gorz, François Partant e Cornelius Castoriadis”.
Un libero pensatore – Il primo fra gli studiosi menzionati da Latouche, Ivan Illich (1926-2002), fu un libero pensatore, diventato celebre nella seconda metà del Novecento per aver criticato l’ideologia della crescita economica illimitata e certune istituzioni burocratiche, come la scuola e il sistema sanitario. Nato a Vienna (da genitori jugoslavi), Illich visse da giovane prevalentemente in Italia, dove studiò Scienze naturali, Storia, Filosofia e Teologia, ricevendo l’ordine sacerdotale nel 1950. Trasferitosi a New York presso la locale comunità portoricana, egli divenne prorettore dell’Università cattolica di Porto Rico e si stabilì in Messico, a Cuernevaca, dove nel 1961 fondò il Centro per la documentazione interculturale (Cidoc). Entrato in contrasto con la gerarchia ecclesiastica, Illich fu ridotto allo stato laicale nel 1969: da allora in poi si dedicò all’analisi critica della società moderna e all’impegno civile, denunciando i pericoli insiti nella scomparsa delle culture tradizionali e nel ricorso da parte del potere istituzionale a strumenti di coercizione di massa (fra cui annoverava la scuola, l’esercito, la chiesa e i partiti). Egli fu autore di molti importanti saggi, tra i quali segnaliamo: Descolarizzare la società (Arnoldo Mondadori), La convivialità (Red), Nemesi medica. L’espropriazione della salute (Bruno Mondadori).
La critica della civiltà industriale – Dopo aver preso parte a diversi incontri internazionali organizzati dal Cidoc fra il 1971 e il 1972, Illich pubblicò nel 1973 il saggio La convivialità, in cui espose le sue radicali convinzioni intorno ai guasti provocati nel mondo dall’enorme sviluppo economico che nel Secondo dopoguerra contraddistinse le maggiori potenze industriali. Esaminando la situazione del suo tempo, Illich formulò un’originale ed energica denuncia delle storture sottese alla crescita dei paesi più industrializzati: “Il grande progetto di sostituire la soddisfazione razionale e anonima alla risposta occasionale e personale si è trasformato in un implacabile processo di asservimento del produttore e di intossicazione del consumatore”. La ragione principale del processo di snaturamento dell’umanità andava individuata, a suo avviso, nel distorto rapporto fra uomo e macchina, che nasce quando “è lo strumento che fa dell’uomo il suo schiavo”. La critica di Illich fu trasversale e coinvolse entrambi i sistemi politico-economici allora in auge (neocapitalismo e socialismo reale), in base all’assunto secondo cui: “La dittatura del proletariato e la dittatura del mercato sono due varianti politiche che celano lo stesso dominio da parte di un’attrezzatura industriale in costante espansione”.
Il progetto della società “conviviale” – Illich, anticipando di un trentennio le istanze portate avanti dai teorici della cosiddetta “decrescita”, propose il ritorno a forme di esistenza più schiette e naturali, sganciate dal macchinismo imperante e dall’ossessione per l’aumento del Pil. Egli auspicò l’instaurazione di una società “conviviale”, non più fondata sulla competizione fra gli individui, bensì sulla cultura del dono, dello scambio equo e solidale, che consentisse di eliminare i consumi superflui e di recuperare, tra l’altro, le forme di lavoro artigianale e cooperativo, l’agricoltura biologica, l’uso della bicicletta nei trasporti privati. A tal proposito, l’intellettuale viennese esplicitò il senso intrinsecamente morale, oltre che ecologico, del suo progetto, dichiarando che: “Passare dalla produttività alla convivialità significa sostituire a un valore tecnico un valore etico, a un valore materializzato un valore realizzato”. Per attuare questa trasmutazione dei valori occorreva operare un completo rovesciamento del nesso uomo-macchina, secondo una nuova impostazione della scienza e della tecnica che esaltasse la creatività individuale, senza asservire l’uomo agli strumenti di lavoro o alla rigida programmazione dei processi produttivi. Fondamentale gli appariva il sorgere di nuove élites, in grado di fornire “un quadro interpretativo per riformulare i valori e riconsiderare gli interessi”, aggregando intorno a sé una massa di cittadini che “cerchino, con una procedura conviviale comune, di recuperare i propri diritti”.
Il rifiuto delle istituzioni scolastiche… – In sintonia con quanto teorizzato da Paulo Freire e da Lorenzo Milani, il pensatore viennese prospettò una radicale trasformazione della scuola, che a suo avviso doveva formare lo spirito critico dei discenti e non soltanto impartire nozioni, per altro funzionali all’egemonia culturale delle classi dominanti. Nel saggio Descolarizzare la società (scritto nel 1971) Illich giunse persino ad auspicare l’abolizione dell’istituzione scolastica, in quanto strumento di condizionamento mentale che “”scolarizza” l’allievo a confondere insegnamento e apprendimento, promozione e istruzione, diploma e competenza, facilità di parola e capacità di dire qualcosa di nuovo”. Secondo il suo punto di vista, infatti, una scuola troppo burocratica tende a reprimere l’immaginazione degli scolari, diventando simile all'”agenzia pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della società così com’è”. Pertanto, egli sostenne una radicale trasformazione dei contenuti e delle metodologie didattiche: l’insegnamento doveva strutturarsi attraverso gruppi di studio organizzati su tematiche realmente condivise dagli allievi, con lezioni e seminari da tenersi fuori dalle aule scolastiche, ad esempio nei centri sociali e nei luoghi di lavoro. Illich chiese – in difesa dei ragazzi economicamente più disagiati – che il valore legale del titolo di studio fosse annullato, proponendo al governo messicano l’approvazione di una legge che proibisse “nelle assunzioni, nell’esercizio dei diritti elettorali o nell’ammissione ai centri di apprendimento, ogni discriminazione basata sul possesso o meno del titolo di studio” (e demandando a prove pratiche di idoneità la possibilità o meno di ricoprire incarichi lavorativi).
…e dell’industria farmacologica – Una polemica altrettanto radicale fu intrapresa da Illich contro il sistema sanitario in vigore nei paesi più ricchi. Nel saggio Nemesi medica (pubblicato nel 1976) egli mise in rilievo gli effetti collaterali devastanti che l’uso incontrollato dei farmaci può comportare per la salute dei cittadini, riprendendo e ampliando il concetto di “iatrogenesi”, cioè di malattia generata dalle stesse cure mediche. In tal senso, egli sostenne che “alcuni farmaci provocano dipendenza, altri lesioni e altri svolgono un’azione mutagena, magari anche soltanto combinandosi con un colorante alimentare o con un insetticida”. Approfondendo queste sue intuizioni, egli giunse anche ad asserire che: “La sofferenza, le disfunzioni, l’invalidità e l’angoscia conseguenti all’intervento della tecnica medica rivaleggiano ormai con la morbosità provocata dal traffico, dagli infortuni sul lavoro e dalle stesse operazioni collegate alla guerra, e fanno dell’impatto della medicina una delle epidemie più dilaganti del nostro tempo”. Illich comprese che la ricerca medica, anziché puntare sulla prevenzione delle malattie e su terapie non invasive, si orientava già da allora verso la produzione di farmaci poco efficaci, se non addirittura dannosi per la salute, venduti come fossero merci di largo consumo.
Prometeo ed Epimeteo – Nella parte conclusiva di Descolarizzare la società Illich prende in esame le figure mitiche di Prometeo ed Epimeteo: il primo è l’eroe titanico che ha rubato il fuoco agli dei, facendone omaggio ai mortali; il secondo è il suo fratellastro, che insipientemente ha sposato Pandora, la prima donna – emblema della terra – la quale, scoperchiando il vaso contenente tutti i mali del mondo, ha provocato la rovina dell’umanità e le ha lasciato in eredità solo la speranza. Prometeo ed Epimeteo hanno poi generato, rispettivamente, Deucalione e Pirra, dalla cui unione ha avuto origine – dopo il diluvio universale – una nuova umanità, finalmente riconciliata con gli dei e con il mondo. Secondo lo studioso austriaco, Prometeo simboleggia l’homo faber che sfida la natura e vuole dominarla (e che per questo, nel mito, viene punito dagli dei e incatenato a una roccia), mentre Epimeteo raffigura l’uomo semplice e primitivo, che preferisce attingere direttamente dalla terra ciò che giova al suo sostentamento, senza danneggiarla. Il messaggio simbolico che i greci hanno voluto tramandare ai posteri appare molto chiaro: l’uomo prometeico deve porre un limite alla propria hybris e riconciliarsi con la natura, facendo propria la cultura epimeteica.
Limiti e validità delle idee illichiane – Il progetto di Illich risultò inficiato da una sorta di messianismo palingenetico che si sostanziò nell’attesa della crisi irreversibile del sistema industriale, senza riuscire a collegarsi a movimenti reali che fossero in grado di influenzare le scelte compiute dalle classi dirigenti. Alla fine degli anni Ottanta del Novecento maturò il crollo dei paesi del blocco socialista, ma, di contro, l’Occidente capitalistico – dopo un processo di ristrutturazione economica complesso e devastante sul piano sociale – riuscì a superare la stagnazione che lo aveva attanagliato per oltre un decennio e a prendere definitivamente il sopravvento su scala globale: i paesi del Terzo mondo non sfuggirono alla modernizzazione capitalistica, venendo assorbiti all’interno del mercato neoliberista, contro le stesse aspettative illichiane. Nonostante gli innegabili tratti utopici, il pensiero di Illich ci appare ancora oggi degno di attenzione, soprattutto perché ha saputo cogliere le contraddizioni insite nella civiltà industriale, denunciando lo sfruttamento insensato delle risorse naturali, le cui disastrose conseguenze culturali e ambientali sono ormai ben visibili a tutti.
L’immagine: foto di Ivan Illich.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno III, n. 12 EXTRA, 15 luglio 2008, supplemento al n. 31 dell’1 luglio 2008)
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