“È nel dettato della Costituzione che un presidente della Repubblica, eletto come supremo garante delle istituzioni e delle libertà di tutti, trova le parole illuminanti, i principi, i valori, le regole che gli indicano con chiarezza quali debbano essere le sue scelte” (Carlo Azeglio Ciampi).
Tali parole, che l’ex capo dello Stato ha pronunciato al Quirinale il 25 aprile, per celebrarne la ricorrenza, suonano come un’esortazione a non disfarsi di quel patrimonio sapientemente costruito dalle diverse forze politiche componenti la commissione dei 75 membri, che nel 1947 curò la stesura della Costituzione italiana: un appello alla salvaguardia di quell’esperienza comune che preferì sanare le ferite dell’Italia postfascista e postbellica, anziché alimentarne gli antagonismi ideologici.
Una carta costituzionale nata dalla Resistenza – “Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 6 giugno 1946. Questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare: dopo un periodo di orrori, il caos, la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi, andò a votare” raccontava nel gennaio 1954 Piero Calamandrei, inaugurando all’Umanitaria di Milano il ciclo di conferenze sulla Costituzione. Era ai giovani che si rivolgeva ed era a loro che affidava la missione di animare il dettato costituzionale con lo spirito dell’epoca che la storia li aveva chiamati a vivere. Nel corso della lezione emergeva di quella carta un profilo di alto valore ideale, eppure sempre di carattere programmatico. Anche oggi appare evidente come la nostra Costituzione sia ancora una speranza, un impegno, un lavoro da compiere.
La Costituzione fondamento di una religione civile – Più di qualcuno ritiene che sia necessario riformarla, ma le modifiche proposte dal centrodestra mirano a stravolgerla, come spiegano i luminari del Diritto del nostro Paese, un Paese dalla tradizione giuridica invidiabile, che conserva gelosamente il suo calendario civile, la sua memoria storica, in una ritualità spesso oltraggiata dai revisionisti dell’ultima ora. Emilio Gentile, docente di Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, autore del libro Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi (Laterza, pp. XXXVI-240, € 15,49), teorizzando il concetto di religione civile, ha evidenziato come edifici, monumenti, inni nazionali, bandiere, cerimonie pubbliche fissate dal calendario liturgico nazionale, cementino la popolazione allo Stato. Il 25 aprile, il 2 giugno, la stessa Costituzione, sono elementi fondanti della religione civile: scardinare o semplicemente intaccare i simboli di questa ritualità significa non condividerli e quindi cercare di abbatterli in tutti i modi.
Il profilo incostituzionale della riforma – Il tentativo di delegittimare l’operato della Costituente del 1947 è sotto gli occhi di tutti e riassumibile in diversi punti. Innanzi tutto, c’è l’introduzione dello Stato federale e/o della devolution: agli ideali di unità, concordia, pluralismo ed eguaglianza, viene oggi opposta una riforma che, alimentando il divario tra le varie entità regionali e comunali italiane, mina inevitabilmente l’unità nazionale. La riforma del titolo V (Regioni ed enti locali) assegnerebbe alle regioni specifiche competenze (peraltro già previste nella precedente formulazione del 2001) atte a superare lo stallo del sistema centrale, incapace di garantire la reale eguaglianza delle varie comunità nazionali: in verità, la disparità regionale italiana finirebbe con l’accrescersi, a tutto vantaggio delle aree più sviluppate. In secondo luogo, avviene l’esautorazione dei cittadini e l’innalzamento del “capo”: designato dal popolo, il nuovo “duce” ha potere di nomina e revoca sui propri ministri (destinati inevitabilmente ad un quinquennio di cortigianeria), impone al presidente della Repubblica di sciogliere la Camera, può essere sfiduciato esclusivamente dalla maggioranza che lo ha portato al governo. Viene delegittimato il popolo, svuotato della sua partecipazione alla vita politica del Paese, chiamato regolarmente alle urne ogni cinque anni solamente per esprimere una preferenza che si trasformerà in un potere insindacabile, svincolato da qualsiasi contrappeso: viene infatti ridotto il peso politico della Corte costituzionale, si politicizza il Consiglio superiore della magistratura, viene in generale svuotata l’istituzione del presidente della Repubblica, ridotta a mera carica formale.
Un’ipotesi di ordinamento farraginoso e bicefalo – Ancora, si assiste alla creazione di un nuovo mostro burocratico: con il nuovo articolo 127 bis viene estesa a Comuni e Province la possibilità di ricorrere alla Corte costituzionale per leggi ritenute incostituzionali. Tale possibilità, dapprima riservata solamente alle Regioni, comporterà l’introduzione di circa ottomila soggetti giuridici nuovi, ciascuno con proprie prerogative: si moltiplicheranno i costi e gli uffici ed aumenteranno i conflitti di competenze, con il risultato ineluttabile di un appesantimento della già farraginosa macchina burocratica. Infine, si passa dal bicameralismo perfetto all’ordinamento bicefalo: alla Camera dei Deputati rimangono le materie di competenza esclusiva dello Stato, al nuovo Senato federale vengono invece riservate le materie a legislazione “concorrente”, ovvero un ibrido tra Stato e Regioni, un’area indefinita destinata a creare contenziosi di pertinenza ancor prima della promulgazione di una legge: promulgazione vincolata, peraltro, al perseguimento del programma del governo centrale!
Al quesito referendario la risposta è: “No” – Altri motivi di contrarietà sono spiegati anche dai 63 specialisti che hanno firmato, sotto l’egida dell’Astrid (Associazione per gli studi e le ricerche sulla Riforma delle Istituzioni democratiche e sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche), il volume Costituzione: una riforma sbagliata. Il parere di sessantatre costituzionalisti (a cura di Franco Bassanini, Passigli, pp. 688, € 34,00). Pertanto, al quesito referendario del 25 e del 26 giugno, la risposta giusta da dare è: “No”. L’impegno operoso profuso dal coordinamento (diretto dal presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro) di tutte le forze politiche e sociali che si ribellano all’attuale stravolgimento della nostra Carta costituzionale e dal comitato Salviamo la Costituzione (guidato da Leopoldo Elia, costituzionalista di chiara fama) invoca una contrarietà ben determinata da parte del popolo italiano. Tra l’altro, Scalfaro ha espresso chiaramente e con passione le sue opinioni nel libro La mia Costituzione. Dalla Costituente ai tentativi di riforma (intervista a cura di Guido Dell’Aquila, Passigli, pp. 192, € 14,50). A considerare questa riforma costituzionale sbagliata e a invitare la gente a votare contro nel referendum si contino anche il leader dell’Unione Romano Prodi e l’ex segretario dell’Udc Follini. E, per tutto il fronte del “No”, valga il motto dei costituzionalisti: “Salviamo la Costituzione. Aggiornarla non demolirla”.
Ande Di Luna e Pierfranco Piccinni
L’immagine: la copertina del volume Costituzione: una riforma sbagliata. Il parere di sessantatre costituzionalisti, pubblicato da Passigli Editori.
(LucidaMente, anno I, n. 5, giugno 2006)