In “L’antirazzismo come terrore letterario” (in Italia edito di recente dalla encomiabile Liberilibri) lo scrittore francese estromesso dalla casa editrice Gallimard difende con uno stile elevato le proprie posizioni contro il pensiero unico globale e l’indifferenziazione di uomini e culture e la libertà di esprimerle
«Da qualsiasi parte io volga il mio spirito, vedo soltanto cose che feriscono la verità e che mi offendono». «La scrittura è una devoluzione dell’amore come lotta con altri mezzi». «Scrivere presuppone una esistenza marchiata a fuoco dalla solitudine». «Sono uno scrittore, vale a dire un esperto di questa forma di rottura che consiste nel nominare, a dispetto di tutto, in quella grande purezza di lingua che si chiama lo stile. Che questa rottura possa confondersi con il fatto stesso di vivere: ecco ciò che pretenderò fino alla fine […]. Io amo più di ogni cosa questa nudità desolata nella quale avanzo in virtù di questa rottura con sé che si chiama scrittura e che mi allontana ogni giorno di più dal terrore occidentale».
Uno stile sublime, irto, tenace, dalla sintassi complessa, che sa di classico. Una scrittura oggi rara a leggersi, così com’è infrequente il pensiero non allineato. Sono le parole e i pensieri dello scrittore cattolico francese Richard Millet, così come li possiamo ammirare e di loro nutrirci ed estasiarci in L’antirazzismo come terrore letterario (A cura di Renato Cristin, Liberilibri, 2016, pp. XL-44, € 15,00). Il libro, uscito dapprima in Francia nel 2012, è, in realtà, diviso in due parti. La prima è l’ampia Prefazione (A partire da Richard Millet, colpevole di scrivere) del succitato curatore Cristin, professore di Ermeneutica filosofica presso l’Università di Trieste. La seconda è appunto una sorta di autoapologia del romanziere francese, accusato di razzismo e, per questo, a furor di petizioni da parte di benpensanti intellettuali, estromesso dalla casa editrice Gallimard.
Oltralpe basta ben poco per essere accusati di razzismo. Con gli annessi corollari di xenofobia, islamofobia, e, se ti va male, di omofobia, maschilismo, fascismo, nazismo, ecc. ecc. (e, del resto, non è che in Italia vada molto meglio: vedi Fallaci, dieci anni dopo). Ad esempio, il semplice manifestare il proprio disagio per essere l’unico bianco, alle sei di sera, in una stazione parigina. O affermare quello che oggi ormai dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti (se i “tutti” non fossero ciechi o complici): cioè che è in atto in Francia e in Europa, la «grande sostituzione» formulata da Renaud Camus, ovvero il progressivo rimpiazzo dei popoli e delle millenarie e nobili culture del Vecchio Continente da una parte con genti extraeuropee, in particolare islamiche, dall’altro con una sottocultura globale priva di spiritualità e di identità.
Così, afferma Millet, sparirà «la razza bianca, colpevole, esclusivamente, di tutti i mali», colpa che sta “espiando” con un neocolonialismo, un’invasione anche demografica, contrari e diversi rispetto a quelli dell’Ottocento. «Viene dunque dichiarato razzista, oggi, colui che contesta non l’eguaglianza delle razze e delle etnie, ma il Nuovo Ordine politico-razziale dispiegato, nei paesi europei, dal capitalismo mondializzato, con la collaborazione attiva del complesso mediatico-culturale». Guai ad amare le proprie radici: «Ciò in cui sono stato educato viene dichiarato obsoleto, ovvero nocivo e […] non posso considerare che coloro che mi circondano non sono “come me” […] e che essi non vogliono diventare “come me”». Uno dei maggiori sintomi della destrutturazione della civiltà europea è la stessa perdita del linguaggio, della lingua, via via semplificata, imbastardita, senza più stile: un tema carissimo a Millet.
Il crollo dell’insegnamento scolastico, l’onda lunga delle idee distruttive del Maggio ’68, l’ipocrisia dilagante del politically correct, la logica dell’«indifferenziazione razziale, etnica, religiosa e sessuale» (vedi il pensiero di un altro polemista francese controcorrente in La crisi dell’universo maschile secondo Éric Zemmour), l’ideologia mondialista, l’esaltazione di ogni “diversità” e l’odio verso la “normalità” e di se stessi come occidentali, l’imbecillità propalata da Internet, la dilagante islamizzazione, la terrificazione (neologismo coniato da Millet) verso chi non si adegua al pensiero unico e cerca ancora la Verità, sono tutte tessere dello stesso, allucinante mosaico.
Al riguardo è illuminante pure lo scritto di Cristin, che denuncia la «moderna degenerazione della democrazia in tirannide», col paradosso che oggi viene negata la libertà di pensiero, di espressione e di parola intorno a certi argomenti scomodi proprio «nei paesi europei, laici, liberali e democratici». Ciò avviene anche e soprattutto attraverso accuse preconfezionate che diventano stigmate sulle quali è impossibile replicare, insomma con la «demonizzazione sistematica dell’avversario» anticonformista, che manifesta idee controcorrente rispetto all’attuale «accecamento ideologico». In conclusione, un piccolo, grande libro con una bella grafica, un’ottima traduzione, pochissimi refusi rispetto alle odierne pratiche editoriali. Pertanto, esprimiamo una calda ammirazione per la casa editrice Liberilibri di Macerata. Splendide collane e stimolanti titoli, alcuni famosi, altri meno, ma tutti preziosi per chi intenda praticare il pensiero libero. Unico appunto: non sono un po’ alti i prezzi di copertina?
Le immagini: la copertina del libro, l’autore e il marchio tipografico di Liberilibri. Da notare che quest’ultimo è ispirato al Buchernarr (“Il pazzo per i libri”), primo personaggio della serie dei folli di Das Narrenschiff (Stultifera navis), best seller dell’umanista Sebastian Brant (1458-1521), stampato nel 1494 e impreziosito da xilografie (scuola di Albrecht Dürer) ritraenti le varietà della follia umana.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XI, n. 131, novembre 2016)