L’opera lirica come autentica Biblia pauperum per i patrioti che nell’Ottocento andavano sillabando il Verbo del Risorgimento italiano. Questa la suggestiva chiave di lettura che sta alla base del nuovo libro di Francesco Cento, “Chi per la Patria muor / Alma sì rea non ha”. Il patriottismo in musica da Rossini a Verdi (inEdition editrice/Collane di LucidaMente, pp. 88, € 12,00 – collana di saggistica Gli itinerari del pensiero).
Esso è diviso in quattro capitoli: dal teatro preverdiano alle vicende della Repubblica romana (1849), da La battaglia di Legnano all’avventurosa parabola del poeta e librettista Salvadore Cammarano.
Chi conosce il Cento romanziere (Litàlia. Racconto popolare postrisorgimentale in due tempi e un post scriptum, pubblicata sempre per inEdition editrice e preceduta da un’illuminante Introduzione del nostro direttore Rino Tripodi) si troverà a proprio agio nel seguire l’erudizione dell’appassionato di musica e di poesia.
Per offrire al lettore un “assaggio” dell’opera, riportiamo l’inizio del primo capitolo, che costituisce una sorta di “premessa” all’intero libro.
L’opera lirica fu, nell’età del Risorgimento, la Biblia pauperum del popolo analfabeta e semialfabeta: il canto patriottico servì, nell’Ottocento, alla causa nazionale quasi quanto le immagini devote avevano servito alla cristianizzazione nel Medio Evo.
Se la diffusione delle idee risorgimentali ebbe la stampa quale mezzo di comunicazione principalmente per gli intellettuali, l’opera lirica si incaricò, in quanto forma d’arte “popolare”, di diffondere, grazie alle parole del libretto non meno che in forza delle note musicali, il verbo patriottico, caricando di significati le parole “libertà” (dallo straniero), “patria”, “unità” (dell’Italia), “Dio”. Questi termini ebbero decisiva importanza (insieme a “onore” e “gloria”) nel vocabolario dei poeti, da una parte, e nel sillabo dei censori dall’altra.
Il teatro d’opera fu il luogo, pur nella variopinta stratificazione sociale (platea, palchetti, loggione), ove le idee risorgimentali trovarono terreno fertile per svilupparsi.
E se il pieno sviluppo giunge con la figura di Giuseppe Verdi, apostolo conclamato del risorgimento musicale, ancora prima di Verdi le istanze patriottiche ebbero modo di esprimersi attraverso le musiche di compositori insospettabili in questa veste (e comunque coinvolti indirettamente), a dimostrazione del fatto che, nella maggior parte dei casi, erano i focosi patrioti a dare interpretazioni e peso particolare a specifiche parole del (più delle volte) consapevole librettista, con buona pace della censura.
Quale “vetrina sociale” più rappresentativa e “popolare” dell’epoca, il melodramma fu il vero specchio della società ottocentesca, dalla nobiltà alla borghesia grande e media (dei teatri di cartello), al basso ceto (che riempiva i teatri di provincia o quelli ove si rappresentavano opere buffe e farse). Detto ciò, si può ben capire quale enorme valore riponessero nella censura coloro che erano preposti alla sorveglianza, nel tentativo di tenere a freno le manifestazioni che, in ogni momento del processo risorgimentale, occorsero durante le rappresentazioni operistiche.
Perché, come notava Francesco Aventi nel suo Mentore teatrale (pubblicato a Ferrara nel 1845), una cosa era “un lettore che scorre un libro nel silenzio del proprio studio”, ben altra cosa era “una massa numerosa di spettatori disposta a cedere ad una comunicazione elettrica, e pronta ad infiammarsi al tocco della più minuta scintilla”.
Questa scintilla, tanto per fare qualche esempio, pare l’abbia data anche l’inoffensiva L’italiana in Algeri, composta in musica da Gioacchino Rossini (su versi di Angelo Anelli) e rappresentata per la prima volta presso il teatro San Benedetto di Venezia il 22 maggio 1813. Quando, dopo il delirante successo (35 repliche), iniziò a girare per la penisola italiana, l’opera fu oggetto dei soliti cambiamenti legati alle convenienze dei cantanti ma anche, pare, all’occhio attento della censura.
(da Francesco Cento, “Chi per la Patria muor / Alma sì rea non ha”. Il patriottismo in musica da Rossini a Verdi, Prefazione di Franco Arato, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: particolare di Prima della centauromachia (terra refrattaria, 2001, cm 105 x 45, Genova, collezione privata) dello stesso Francesco Cento. Sito internet dell’artista: www.francescocento.it.
Luca Manni
(LucidaMente, anno IV, n. 37, gennaio 2009)