Nei tradizionali modelli di aldilà, laico o fideistico, l’enigma e l’angoscia della fine rimangono irrisolti. Ma c’è la letteratura di Nabokov e Dick
Che cosa ci accada oltre il confine segnato dalla morte è un interrogativo che origina e impegna ogni pensiero religioso e filosofico. La gamma di possibili risposte storicamente presentateci dalle fedi (e dallo stesso ateismo) è, a ben guardare, piuttosto ristretta: l’alternativa fondamentale è tra la promessa di una nuova vita, all’insegna della beatitudine o della dannazione, e quella di ripetizione o estinzione definitiva della stessa. In ogni caso, una portata consolatoria o intimidatoria caratterizza la meta prefigurata.
Dunque, vi è un compito che la religione adempie nel momento in cui ipotizza che cosa ci potrebbe aspettare una volta lasciato questo mondo: non si tratta mai di affermare una possibilità, ma di trovare la risposta più conveniente. In definitiva, si consola o si spaventa l’essere umano per indurlo ad agire hic et nunc in una certa maniera. Per esempio, il mistico indiano Osho Rajneesh fece notare come la “soluzione orientale” (la reincarnazione) fosse congeniale alla ricca società indiana che possedeva ciò che desiderava, mentre quella ebraica (la resurrezione) lo era per un popolo povero e oppresso. Che siano perciò altre le discipline a fornirci in proposito spunti di riflessione più disinteressati e suggestivi? A tal proposito la letteratura ha spesso descritto una possibilità mai contemplata altrove, eccettuata forse qualche flebile e isolata ipotesi scientifica.
Secondo tale opzione, la mente umana potrebbe proseguire nella propria attività anche dopo la morte, come se nulla di particolarmente sconvolgente sia accaduto. L’identità individuale, gente e luoghi conosciuti dal defunto, continuerebbero a persistere nella psiche di quest’ultimo e a fornirgli il materiale per la costruzione di una sua personalissima continuazione della vita. L’inerzia dell’attività mentale produrrebbe così una complicata illusione, dando modo al deceduto di ignorare la propria condizione e di immergersi in un mondo ricalcato su quello reale ma da lui stesso prodotto, al pari di quanto accade nell’attività del sogno. Il carico di angoscia che tale prospettiva è capace di infondere è una costante della sua rappresentazione letteraria e artistica.
Si prenda come esempio L’occhio di Vladimir Nabokov (autore del ben più noto Lolita). Tempo poche pagine e il protagonista si suicida. Ed è subito dopo il colpo di pistola alla tempia che inizia a intravedersi l’unicità del fulmineo romanzo, tra l’altro privo di capitoli, a segnalare così la completa continuità tra gli eventi narrati. Il personaggio principale si diletterà inizialmente a osservare e a descrivere gli altri, insieme alle relazioni che li coinvolgono, fino alla consapevolezza dell’esigenza di chiarimento sulla propria condizione alla luce dell’interazione con essi, con un esito tutto da interpretare.
Ancor più complessa la prospettiva fantascientifica di Philip K. Dick, che nel suo Ubik riesce a trasmettere in maniera magistrale il disorientamento del protagonista Joe Chip, dipendente di una multinazionale impegnata nella neutralizzazione dello spionaggio telepatico. Apparentemente unico sopravvissuto a un attentato contro la sua squadra, egli si trova a indagare sull’accaduto consultando il suo superiore, ora in stato di semivita, clinicamente morto, ma ancora in possesso di qualche residuo di attività cerebrale.
Imprevedibilmente, eventi bizzarri condurranno poi Chip a domandarsi se non sia egli stesso a essere deceduto e in comunicazione artificiale con i vivi. Non è da trascurare, infine, l’opera cinematografica Una pura formalità, scritta e diretta da Giuseppe Tornatore. Anche in questo caso, come nei precedenti, sono il disagio e lo straniamento ad accompagnare la progressiva scoperta di un’inedita prosecuzione “oltre la vita”, una pura possibilità inevitabilmente angosciosa e priva di senso, esplorata e rappresentata, al cui interno i consueti archetipi religiosi consolatori e/o di ammonimento lasciano spazio alla libertà della creazione artistica.
Le immagini: le copertine dei romanzi L’occhio di Vladimir Nabokov e Ubik di Philip K. Dick.
Christian Corsi
(LucidaMente, anno X, n. 113, maggio 2015)