A proposito del caso di Bergamo, la saggista Annalisa Chirico (autrice di “Condannati preventivi”, edito da Rubbettino) interviene in difesa del pm Dettori
I fatti sono noti. A Bergamo una ragazza incinta di 24 anni viene stuprata. Per il presunto stupratore Vilson Ramaj, kosovaro di 32 anni, in attesa di giudizio, il giudice per le indagini preliminari decide per le domiciliari scatenando la rivolta della città. L’ex assessore Daniele Belotti dichiara al Corriere della Sera: «C’è gente che per reati molto meno gravi deve affrontare sei mesi di carcerazione preventiva».
Non ci sta invece con il facile giustizialismo Annalisa Chirico, autrice per Rubbettino di Condannati preventivi. Le manette facili di uno Stato fuorilegge (pp. 154, € 10,00), che ha dichiarato: «La reazione emotiva di quanti sono scesi in piazza a Bergamo inneggiando alla morte del kosovaro (“Datelo a noi”, recitava uno dei cartelli) esprime una concezione tribale e vendicativa della giustizia. Non si chiede giustizia, ma si vuole fare giustizia. E la politica, anziché censurare una china così pericolosa, la alimenta. Il pm Gianluigi Dettori ha richiesto e ottenuto gli arresti domiciliari come misura cautelare in attesa che una sentenza accerti le responsabilità del presunto stupratore. Lo ha fatto attenendosi con rigore al Codice di procedura penale, secondo cui il carcere preventivo è una extrema ratio, cui ricorrere quando ogni altra misura risulti inadeguata. Purtroppo servirebbero più Dettori per ripristinare la legalità in un ambito in cui prevale l’abuso della carcerazione preventiva divenuta vera e propria anticipazione di pena nei confronti di presunti innocenti».
Quasi un detenuto su due è recluso nelle galere italiane in regime di custodia cautelare. In altre parole, carcere preventivo. La detenzione dietro le sbarre in assenza di una sentenza di condanna ha assunto dimensioni abnormi, che sono valse al nostro Paese la maglia nera in Europa. Se oggi in Italia è più facile andare in carcere in assenza che non a seguito di una condanna; se i processi hanno una durata elefantiaca e spesso un’estinzione quasi certa; se quintali di carcere preventivo in celle dove può succedere di tutto, e di tutto infatti vi succede, vengono dispensati senza che vi sia un meccanismo efficace per ottenere riparazione in caso di ingiusta detenzione; se oggi un magistrato può spedirti dietro le sbarre con una formuletta di rito senza che tu abbia alcun mezzo per difenderti (anzi spesso la detenzione ostacola l’articolazione di una vera difesa); se tutto questo è vero, allora esiste un problema. Esiste un Caso Italia. Le manette strette ai polsi di presunti colpevoli ci paiono la norma. Ma di normale non c’è nulla.
(g.l.v.)
(LucidaMente, anno VIII, n. 85, gennaio 2013)