Il 2 agosto 1980, alle ore 10,25, un ordigno esplose nei pressi della stazione di Bologna causando 85 morti. Bari fu la città che, in termini di vite umane, oltre il capoluogo emiliano, pagò il prezzo più alto: sette vittime. Il 18 novembre scorso, 29 anni dopo, è stato formalizzato un gemellaggio tra le due città dal fortissimo valore simbolico, per far sì che non si dimentichi la strage, per far sì che non si dimentichino le vittime.
Dell’Associazione Memoria Condivisa, che è stata tra le ideatrici e promotrici di questo storico evento, abbiamo intervistato il presidente Mario Arpaia e Lina Pasca.
Il gemellaggio tra le città di Bari e Bologna può considerarsi un vostro traguardo?
LINA PASCA: «Sì, può considerarsi un nostro traguardo ma soprattutto un traguardo per gli italiani. La collaborazione istituzionale fra le città di Bari e Bologna intende rafforzare l’impegno civile volto a mantenere viva la memoria delle stragi. Le tragedie del nostro Paese non coinvolgono solo coloro che in esse hanno perso la vita e i loro familiari, ma gli italiani tutti».
Memoria Condivisa si impegna a onorare la memoria delle stragi italiani. Quanto il nostro Paese ne ha bisogno?
L. P: «Il nostro Paese ne ha un bisogno immenso. Soltanto portando i giovani a conoscenza degli orrori compiuti dai gruppi terroristici estremisti, si può tramandare il messaggio di pace e far capire che chi semina la morte celandosi dietro una bandiera non fa politica. Attraverso il ricordo delle stragi si insegna il valore della vita, il rispetto per la propria e per quella di chi l’ha persa spargendo il proprio sangue innocente. Gli orrori di ieri per i non errori di domani».
La vostra associazione ha affrontato approfondimenti su quasi tutte le stragi dell’Italia repubblicana: da Brescia a Ustica, da Bologna a Piazza Fontana. Esiste un punto di partenza, un anello da cui parte questa catena di violenze?
MARIO ARPAIA: «Il punto da cui nasce il tutto è lo Stato, i suoi poteri, le sue sovrastrutture e gli interessi politici e sociali ad esso legati. Ma non bisogna partire dagli anni di piombo per formulare delle ipotesi. La tesi delle collusioni ad altissimo livello partono già dalla strage di Portella della Ginestra. Rimasero al suolo 11 morti e 27 feriti, in quella che viene ricordata come la prima strage del secondo dopoguerra, contadini che manifestavano contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte. È il primo maggio 1947, siamo ancora molto distanti dagli anni del terrorismo rosso e nero degli anni Settanta, ma la matrice di collusione tra poteri politici e criminali è la stessa».
Giuseppe Casarrubea è uno dei pochi storici pronti a sfidare la storia stessa e a riscriverla. Onorare la memoria degli eventi tragici può essere sufficiente? Oppure, a volte, è necessario metterli in discussione?
M.A.: «Ho avuto l’onore di conoscere Casarrubea, persona squisita e disponibile; mi ha deliziato con la sua cultura in un incontro a cui ha partecipato con serietà e maestria. Alle mie domande su Portella della Ginestra ha risposto in maniera esauriente e circostanziata. L’aspetto che mi ha colpito in modo particolare è stato l’intreccio tra fascismo, mafia, servizi segreti e Cia e la conoscenza approfondita della questione da parte dello studioso. È chiaro che non basta solo ricordare, ma occorre approfondire e scardinare gli eventi con un’analisi critica e oggettiva dei fatti. Un obiettivo importantissimo su cui dovremmo tutti batterci è la rimozione del segreto di Stato; eppure, a distanza di tanti anni dalle stragi, non si riesce a toglierlo, sia che governi la sinistra, sia che sia al potere la destra. La chiave di tutti i misteri è nelle migliaia di pagine chiuse nei dossier impolverati custoditi nei palazzi del potere».
L’Italia ha vissuto anni terribili di mafia e terrorismo. Si possono considerare una pagina chiusa della nostra storia?
L.P.: «Dipende cosa intendiamo per pagina chiusa. Dove c’è uno Stato che non funziona come dovrebbe esistono apparati criminali che vivono nello Stato stesso e che di esso si “nutrono”, insinuandosi nelle strutture del potere. Certo è che con i grandi nomi del sistema mafioso ormai dietro le sbarre, molto si è fatto. Ma non tutto. Non bisogna credere che la parola “mafia” voglia dire semplicemente “uomo d’onore” o “pizzo”. La mafia può essere molto più subdola di ciò che crediamo ed essere presente in maniera occulta anche dove avremmo giurato non potesse esistere. La stessa cosa vale per il terrorismo. Si è evoluto. Un tempo i rivoluzionari colpivano lo Stato con le grandi stragi che, come sappiamo, seminavano la morte tra la gente comune. Oggi si guarda dritto al fulcro della politica e si colpisce al cuore delle istituzioni. Gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi ne sono la prova».
Dopo lo storico gemellaggio Bari-Bologna, qual è il prossimo traguardo che Memoria Condivisa si prefigge di raggiungere?
L.P.: «Ogni giorno che passa per noi è un traguardo. Abbiamo in mente idee e progetti che mettano in risalto il tema centrale della nostra associazione, il culto della memoria, il ricordo per chi ha perso la propria vita o perché aveva degli ideali o perché si è trovato coinvolto per puro caso in una tragedia. Stiamo lavorando per portare nelle scuole Agnese Moro, figlia dello statista rapito ed assassinato dalle Brigate rosse. Il suo sarà un altro prezioso messaggio rivolto ai giovani. Ovvero che bisogna ricordare il passato per guardare al futuro, e vivere il presente facendo dell’onestà la bandiera della propria vita, perché si può credere in qualcosa, avere degli ideali e degli obiettivi, senza che questi debbano necessariamente scontrarsi con l’assenza di morale. L’etica deve far parte della nostra vita così come l’aria che respiriamo. Speriamo che la nostra associazione contribuisca, anche se in misura minima, a far respirare ai giovani questa preziosa aria».
L’immagine: Bari, la lapide che ricorda le sette vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, residenti nel capoluogo pugliese.
Simone Jacca
(Lucidamente, anno IV, n. 48, dicembre 2009)