A quasi tre anni dalla scomparsa del giornalista e scrittore Tiziano Terzani, abbiamo parlato con la moglie Angela Terzani Staude di cultura e amore per l’altro, messaggi sinceri tratti da una vita spesa per capire e conoscere l’essere umano. E’ emerso un ossimorico paragone con Oriana Fallaci e… molto altro. Del resto, sono irrimediabilmente affetto da terzanische Sehnsucht, come la definisco io con una certa ironia, che mi attanaglia spesso quando, quotidianamente, entro in contatto con un mondo che, invece, colloca il dialogo, la curiosità verso l’altro, all’ultimo posto nella lista dei suoi valori.
So che un giornalista dovrebbe mantenere un certo distacco con la materia del proprio articolo, ma porre delle domande alla signora Staude è un po’ come scrivere al Terzani di cui ho letto i libri e le riflessioni e del quale ho un ricordo, da lettore, molto struggente. Davanti a questa mia inestimabile mancanza di distacco, con la quale tra l’altro affronto anche argomenti letterari e storici, porto come argomento difensivo intere generazioni di giornalisti, scrittori e studiosi che hanno intrapreso questa strada molto meglio e molto prima di me.
Mi riferisco a Terzani, ovviamente, ma anche a Enzo Biagi, Oriana Fallaci, Indro Montanelli o Maria Bellonci. Tutte persone assai diverse fra loro ma con una caratteristica in comune: la schiettezza verso se stessi e gli altri, cosa molto rara al giorno d’oggi.
INTERIORIZZARE L’ALTRO: LA GUERRA E LA PACE
Gentile signora Terzani, sono felice di poterle rivolgere alcune domande e anche un po’ emozionato. L’opera di suo marito, che reputo un lascito umano e giornalistico di inestimabile valore per la comunità internazionale, descrive spesso luoghi e situazioni, guerre e quartieri, volti e comunità culturali con lo scopo principale di interiorizzare l’Altro, sentirlo ed endemizzarlo. Suo marito ha spesso, e tuttora lo fa attraverso i suoi libri e le manifestazioni culturali a lui dedicate, viaggiato nel cuore degli uomini, nei loro opposti, un itinerario che ho spesso definito un percorso nella guerra e nella pace presente nel cuore di ogni uomo. Cos’era per suo marito la guerra e cosa la pace? Qualcosa di naturale, di inevitabilmente presente nell’animo umano, oppure una condizione che lo stesso uomo può arginare a favore di un equilibrio?
“Cosa fossero per lui la guerra e la pace credo lo abbia detto chiaramente nelle sue Lettere contro la guerra. La guerra riflette un nostro istinto, un istinto che però possiamo domare, nobilitare con la ragione, con la mente, con il cuore: siamo uomini per questo, no? Non vorrei del resto parafrasarlo, non so esprimermi meglio di lui: “E se l’uomo non cambia, se l’uomo non fa questo salto di qualità, se l’uomo non rinuncia alla violenza, al dominio della materia, al profitto, all’interesse, tutto si ripete, si ripete, si ripete”, dice a Folco in La fine è il mio inizio“.
IL RAPPORTO MANCATO CON LA FALLACI
La scelta suggerita, anzi sussurrata, di suo marito era quella della non violenza. Mi piace soffermarmi sul verbo sussurrare, non le dà l’impressione che suo marito più che urlare le sue ragioni le sussurrasse e che, invece, Oriana Fallaci le urlasse?
“Tiziano quando parlava non sussurrava, aveva una voce forte, sonora, dal timbro caldo, sempre modulata dalla passione, dal suo temperamento trascinante. La differenza fra Tiziano e la Fallaci non sta nel tono della loro voce (anche se capisco a cosa lei vuole alludere). Sta nel modo di argomentare. Tiziano era informatissimo sulle cose di cui parlava. Ragionava con grande rigore, non sopportava l’irrazionalità, quella che lui chiamava l’isteria, l’imprecisione dei fatti, il populismo, l’arringare. E soprattutto aveva sempre, in ogni discussione, rispetto delle ragioni degli altri.
La libertà di pensiero e di azione, ma soprattutto di sentimento, che spesso cita suo marito, tocca punte di estrema tenerezza nella sua lettera alla Fallaci contenuta nel libro Lettere contro la guerra (Longanesi %26 C., 2001). Egli, proprio in quelle parole, evidenzia la grande differenza fra il mondo di Oriana e il mondo di Terzani: il contatto con gli altri. La Fallaci è una donna ormai rinchiusa nell’angustia dei grattacieli, inasprita nei confronti di una società che non riconosce più e che combatte, così come combatte il suo alieno. Dall’altra parte sta Tiziano, che, partito da una Toscana in cui l’elemento natura era presente al cubo, porta dentro di sé questa lezione, la restituisce arricchita con le sovrastrutture culturali e con la propensione all’incontro, alla condivisione. Commovente e schietto è senz’altro quel suo rivolgersi a Oriana richiamandosi alle passeggiate per Firenze, agli incontri con il parroco, al loro essere come una volta con lo scopo di incontrarsi. Si ha l’impressione che egli abbia una inveterata tendenza a guardarti negli occhi per scavarti nel cuore, mentre la Fallaci dà l’impressione di una bravissima scrittrice pronta a guardarti negli occhi per attaccare ciò che vede. Cosa pensa del loro mancato rapporto epistolare e delle differenze fra i due? Dove pensa siano le differenze e le somiglianze?
“Non è un rapporto mancato, è un rapporto inesistente. Dopo una passeggiata fatta con Oriana prima della nostra partenza in Cina, nessuno dei due ha poi intrapreso la corrispondenza proposta da lei. Non ricordo che si fossero rivisti. A Tiziano interessavano altre menti. Le differenze fra loro sono dappertutto e le somiglianze sono semplicemente nel fatto che tutti e due sono nati e morti a Firenze. Il loro mestiere lo hanno fatto in maniera del tutto diversa. Tiziano non si è mai misurato con lei, né lei con lui, suppongo. Non c’è ragione di paragonarli adesso”.
IL SORRISO DI TIZIANO
Terzani sorride. Lo fa spontaneamente sia nelle interviste che nelle fotografie, il suo sorriso è spesso anche sardonico e machiavellico, nel senso buono del termine. Quel sorriso sincero che coglie anche il rovescio delle cose, un po’ simile al sorriso di Heinrich Heine e Aristofane. Cosa ricorda del sorriso di suo marito?
“Era un sorriso incantato, se vedeva cose belle, persone belle. Commosso, se era stato toccato dall’umanità nell’altro. Era un sorriso che ti dava il benvenuto, che ti invitava a parlare, a essere com’eri. Poteva essere beffardo, tenerti a distanza. Per il resto non sorrideva facilmente. Era sincero anche in questo”.
TERZANI E I LIBRI
Mi piacerebbe molto parlare con lei anche della cultura di suo marito, dei libri amati, di quelli riletti più volte. Da laureato in letteratura tedesca e studioso del mondo tedesco, mi piacerebbe sapere se e quali libri appartenenti al mondo del pensiero e della letteratura tedesca ha letto suo marito. Spesso, nei suoi lavori riscontro Heine, Lutero, persino Goethe, con quella sua attenzione verso l’Oriente che diventa comprensione; per non parlare, poi, della letteratura italiana e del giornalismo. Forse mi illudo, ma sarebbe bello discuterne.
“Tiziano era un uomo di grande cultura. Aveva due lauree, parlava cinque o sei lingue, aveva una biblioteca di quasi diecimila volumi tutti raccolti da lui, ma non era quello il punto. Il punto era che riusciva a vedere, a riconoscere la bellezza con i propri occhi. La vedeva nella natura, in un uomo, in un capolavoro, in un verso. La sentiva davvero. Da giovane leggeva romanzi, poesie, faceva addirittura teatro, amava la letteratura italiana moderna, Montale, Calvino, Primo Levi, anche Moravia, tutta quella generazione. Lei ha ragione: amava molto anche i tedeschi, Thomas Mann, Musil, Brecht. Aveva un orecchio per la prosa e la poesia tedesca. Tuttavia, una volta partito per l’Asia, i suoi interessi si sono concentrati su quel continente. I libri che comprava e che leggeva trattavano di quel mondo, dei mille aspetti dei paesi asiatici. Non ha più letto un romanzo da allora. Ha letto alla fine le poesie di Eliot e le poesie di poeti arabi e indiani di un lontano, grande passato. Perché lo consolavano”.
Quali libri, quali letture, quali incontri letterari hanno più condizionato o dato a suo marito la certezza delle proprie azioni e del proprio pensiero?
“Le risposte a questa domanda le trova in La fine è il mio inizio. In sostanza Tiziano ha imparato e si è ispirato vivendo”.
MATERIALISMO E ATTENZIONE ALL’UOMO
Cosa ne sarà di un sistema che pensa solo a far quadrare i conti, che puntualmente non tornano, e che trascura la base della sua esistenza, le persone?
“Tiziano si è impegnato a fondo, con le sue parole dette e scritte, contro la tendenza al materialismo che domina le nostre società sazie e ricche (perché lo siamo, se guardiamo ai miliardi della Terra che non hanno abbastanza da mangiare). Pensava che dovevamo provare a digiunare, ovvero a rinunciare a comprare ciò di cui non abbiamo un bisogno vero, anche se il mercato è pieno di lusinghe e la pubblicità vuole che soddisfiamo ogni nostro desiderio. Riteneva anche che dovevamo fare maggior uso della nostra mente. Pensare, riflettere, anche soffrire, anziché correre a consolarci con una qualche soddisfazione effimera. Diceva che oggi l’uomo occidentale usa solo una piccola parte delle sue facoltà mentali ed emotive, che non ascolta il cuore e trascura lo spirito… ma tutto questo lo dice da solo, e lo dice meglio di me. Basta andare a leggere i suoi libri”.
L’ORIENTE
L’Estremo Oriente e il Medio Oriente: mondi, abitudini, economie e letterature diverse. Oggi se ne parla come se Oriente e Occidente fossero due isole, l’una staccata dall’altra, i millenni di rapporti e incroci sono quasi scomparsi. L’iconismo culturale imperante, del quale spesso parla Khaled Fouad Allam, ci sta riportando ai clichés dell’Ottocento, quando Antonio Fogazzaro si riferiva all’Impero Turco chiamandolo Papuzza, e a Trieste, attratti e spaventati dall’Oriente, i grandi borghesi acquistavano oggetti provenienti dall’Oriente come cose sconosciute di un mondo sconosciuto. Terzani, anche nell’aspetto fisico, con quella lunga barba e il bianco che lo avvolgeva, dava l’impressione di uno che avesse scelto di vivere in India, salvo poi scoprire che le vallate e il verde attorno a lui erano toscani, così come toscano era il suo acume e la costruzione della frase. Egli era un carrefour di culture e le regalava. Suo marito amava molto le leggende, le storie, amava molto raccontarle e sentirle raccontare. Ricordo, per esempio, la storia delle tre streghe di Orsigna (Corriere della Sera, 27 agosto 1997)? Quale altra storia o leggenda amava raccontare?
“Mio marito amava le favole? Da piccolo evidentemente sì, e durante la sua vita di giornalista lo interessavano le leggende dei paesi in cui andava perché facevano parte della cultura del posto. Però amava più di ogni altra cosa la realtà. Aveva anche molta fantasia, ma non sapeva inventare, fantasticare, creare personaggi o situazioni inesistenti. La realtà era per lui la più bella delle favole. Parlava sempre di quella. Non ha mai raccontato favole ai nostri figli, ha raccontato a loro le proprie avventure, avventure vere. Sulle favole si è soffermato solo negli ultimi anni della sua vita, quando nelle storie del Medio Oriente, nelle storie del Buddha, nei poemi epici indiani o nella tradizione dei saggi, scopriva gli insegnamenti che cercava. E quelle favole ce le racconta in Un altro giro di giostra“.
Gentile signora Terzani, non solo le sono grato per la gentilezza e la disponibilità, ma anche per avere un po’ alleviato questa mia nostalgia di pace che ogni tanto suo marito regalava a noi lettori. Grazie.
L’immagine: foto di Tiziano Terzani, gentilmente concessa da © Alfredo Lando.
Matteo Tuveri
(LucidaMente, anno II, n. 16, aprile 2007)
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