Da giovedì 12 a domenica 22 marzo 2009 Bologna ha ospitato la quarta edizione de “La Scienza in Piazza”, che ha trasformato per undici giorni il centro della città in un vero e proprio science centre, moderno e interattivo, sull’esempio della Villette di Parigi o della Città della Scienza di Napoli. Ideata e organizzata dalla Fondazione Marino Golinelli per la prima volta nel 2005, la rassegna si è arricchita nel corso del tempo di contenuti e modalità interattive sempre più all’avanguardia, riscuotendo un successo crescente di partecipazione e di pubblico e suscitando un grande interesse da parte della stampa.
Undici giorni di cultura per provare la scienza in prima persona, dibatterne, confrontarsi con altri cittadini e ricercatori, riflettere sul fare scienza e ricerca, sulle possibilità e i limiti delle conoscenze e delle applicazioni scientifiche, per imparare divertendosi.
Il paradigma dell’umano
All’interno di questa grande manifestazione si è svolto, nella sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio, un interessante convegno internazionale, La Nuova Scienza e il paradigma dell’Umano, ideato e curato da Andrea Zanotti, professore ordinario di Diritto canonico alla Facoltà di Giurisprudenza di Bologna. Una riflessione approfondita sui vorticosi cambiamenti che la scienza a volte ci impone senza consentirci di assimilarli, di decifrarli. Un impegno, uno sforzo collettivo per capire dove, dentro questa frammentazione globale che sembra così bene rappresentare oggi il processo scientifico tecnologico, va a collocarsi il principio di responsabilità e quali difese possano ancora costituire il diritto e la morale nei confronti di una soggettività diventata improvvisamente totipotente e fragile.
Al dibattito sono intervenuti Antonio Autiero, docente dell’Università di Münster, in Germania, e membro del Comitato Nazionale tedesco di Bioetica, il quale ha affrontato il problema del principio di responsabilità che mai come oggi investe lo scienziato e il filosofo, che è portato a chiedersi se i vecchi armamentari della morale dei secoli passati possono ancora considerarsi adeguati rispetto al cambiamento di orizzonte totale, tanto drastico quanto repentino, nel quale sembriamo immersi.
Subito dopo si è espresso Stefano Canestrari, preside della Facoltà di Giurisprudenza di Bologna e membro del Comitato Nazionale Italiano di Bioetica, che, soffermandosi sul contrasto tra diritto e responsabilità, ha spostato l’interesse sulle aperture di nuovi varchi d’incertezza, sempre più vasti e preoccupanti, nell’orientamento delle coscienze e dei comportamenti, su cui un giurista o un filosofo hanno il dovere di essere decisivi, e sul quale, forse, un eccessivo ritardo potrebbe risultare drammaticamente compromettente.
Il ruolo dell’etico
In una sala non eccessivamente gremita, ma sufficientemente sensibile e ricettiva, il professor Autiero ha magnificamente ricostruito la genesi e la validazione del principio di responsabilità, attraverso una ridefinizione del concetto di etica e del ruolo dell’etico. Da Kant a Weber, da Hans Jonas a Ernst Bloch, il pensatore ha magistralmente riordinato le varie dottrine che nel corso della storia si sono susseguite a proposito dell’autonomia del filosofo. Un’autonomia spesso messa in crisi dalle istituzioni, poco protetta e quasi mai garantita, che tuttavia non va confusa con l’arroganza ideologica delle verità già date di cui a volte si appropria lo scienziato.
“L’etico, o il filosofo, devono riuscire a creare una piattaforma di consenso e condivisione senza ergersi e proclamare la propria posizione, ma andando a compiere quello sforzo argomentativo utile a servire l’umanità dolente, ponendosi contro le ideologie grette e miopi di alcune destre e le auliche convinzioni di alcune sinistre”.
L’etica, dunque, come scienza sociale, come scuola dell’arte argomentativa, e non come inutile retorica. “Un’etica fatta con la passione creativa dell’architetto che di fronte a uno spazio vuoto costruisce il suo progetto e poi lo incastra con la realtà”.
Un nuovo linguaggio: “l’eticese”
Una nuova forma di linguaggio, dunque, capace di costruire e non di distruggere. Capace di creare delle condizioni di condivisibilità e comprensione e innalzare la scienza rendendola una forma terapeutica per la conditio umana. Una lingua nuova, diversa, sublime che il professore battezza simpaticamente “eticese”.
“Il linguaggio eticese non è quello urlato, ma quello gentile atto a capire anche come la pensa l’altro”. Ed è qui, forse, che si consuma il vero paradigma dell’umano, il confine più estremo tra l’uomo morale e l’uomo immorale. Il primo pronto ad agire, a costruire, a inventare, senza, tuttavia, perdere mai di vista l’altro, rispettando ogni forma di vita, ogni dono che la natura ci fa, senza pretendere di domarlo e di dominarlo. Il secondo, invece, continuamente e scioccamente preso da sé, dalla sua forza, dalla sua potenza, dalla propria superiorità. Un superuomo, ultramoderno, che non accetta compromessi, che vince, doma e domina.
“Un tempo era l’uomo che doveva avere paura dell’oceano, oggi è l’oceano a dover temere l’uomo”.
Il servilismo ideologico
L’uomo, la natura e l’etica. Se a questo si aggiunge il diritto ecco che si entra a pieno titolo nella giurisprudenza, nella bioetica, nel regno del professor Canestrari.
Il docente affronta i temi scottanti della laicità e del servilismo ideologico partendo da due questioni molto attuali, apparentemente simili ma profondamente diverse: l’inizio-vita e il fine-vita. La procreazione assistita e l’eutanasia.
Il primo caso è quello di una donna che non può scegliere di far nascere e crescere un figlio da solo. “Si nota subito il forte impatto religioso in una legge del genere; tuttavia può risultare comprensibile anche da parte di un laico, sulla base di molte teorie psico-pedagogiche che considerano necessaria la figura di entrambi i genitori per la crescita di un bambino”. Poi si passa sul fine-vita e allora la posizione di Canestrari diventa più decisa e meno ambigua. “Abbiamo una legge in Italia che parla chiaro. La Costituzione non è vecchia come si vuol far credere, non è mai stata così in forma, ha solo bisogno di essere letta, capita e adoperata”.
Il preside si riferisce al secondo comma dell’articolo 32, che afferma: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Considerando l’idratazione e la nutrizione come trattamenti sanitari, il testo non lascia adito ad ambiguità.
Torna, dunque, tremendamente utile la figura di quell’etico, di quel filosofo che possa vestirsi di illuminata gentilezza d’animo e di mente e liberare l’umanità dolente dalle sue schiavitù. “L’uomo spesso non è libero, ma è costretto a indossare i panni del religioso, diventando servo di una dottrina che non condivide”.
Un dilemma complicato
Due punti di vista diversi, ma ugualmente affascinanti, sulla funzione dell’etica e sul ruolo dell’etico nella società. Autieri ha spiegato la fondamentale importanza da parte dello scienziato, dell’etico, di “pensare faticosamente e di argomentare pazientemente”, andando oltre le grette e miopi ideologie, senza ergersi proclamando la propria posizione, ma creando una piattaforma di consenso, parlando un linguaggio gentile: l’eticese. Canestrari, poi, si è soffermato sulla società odierna, descrivendola come un continuo paradosso fatto di schiavitù e servilismi, non necessariamente riferiti alla religione.
In questo contesto, e partendo dal presupposto, forse scontato, che due individui, o due gruppi, o un individuo e un gruppo possano comunicare solo adoperando lo stesso linguaggio, per uno scienziato che parla l’eticese non risulta quantomeno difficile, se non proibitivo, riuscire a farsi ascoltare?
L’immagine: il logo de “La scienza in piazza”.
Simone Jacca
(LM BO n. 2, 15 aprile 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 40, aprile 2009)