È indispensabile ideare un’architettura urbana armoniosa e omogenea, senza quartieri ghetto
Nuove frontiere dell’architettura, maggiore responsabilità nella progettazione delle case, spiccata attenzione agli aspetti sociali di un territorio. Perché si deve abbattere la distinzione tra periferia e centro storico di una città: fanno parte di un’unica realtà architettonica. Chi vuole creare differenze causa solo gravi scompensi sociali, mettendo in serio pericolo la popolazione che abita in questi luoghi, poiché si altera l’equilibrio di una comunità. Molti architetti sono impegnati a comprendere le esigenze della popolazione, proprio per evitare questi conflitti.
Le scelte architettoniche possono influenzare lo sviluppo di un popolo. Dipende dalla combinazione di diversi elementi, tenuti bene in considerazione quando si effettuano scelte radicali sui nuovi insediamenti abitativi. Due i protagonisti indiscussi: l’architetto e l’amministrazione comunale locale. Con il loro contributo possiamo assistere a cambiamenti degli scenari sociali di un territorio, fondamentali per la crescita di una popolazione. Sia intellettuale, sia culturale. Se la scelta andrà nella giusta direzione si otterranno risultati positivi, se si commetteranno errori sarà difficile riparare in fretta, perché la “ferita” potrebbe restare aperta per diversi anni.
«La periferia – spiega Renzo Piano, l’architetto che intende valorizzare l’idea di bottega, di ricerca e di approccio al lavoro attraverso tecniche tradizionali come il disegno a mano, lo sviluppo di modelli di studio – è un’idea, un concetto, non necessariamente un luogo geografico. Le città sono spazi dedicati dove avviene maggiormente lo scambio culturale, per accentuare il libero dibattito attorno a tematiche sociali. Non si devono costruire periferie, ma è necessario realizzare le città in maniera implosiva, eliminando i buchi neri, i luoghi a rischio. Si può edificare sul già realizzato rinverdendo zone brutte, poco servite, non socialmente rilevanti. È necessario crescere in modo sostenibile, senza costruire in maniera dispersiva poiché si rischia di danneggiare il territorio. Si deve fare molta attenzione agli spazi. La casa alta, per esempio, appartiene alla cultura italiana, non la torre. Ma si può lavorare su più tipologie che non divorino il territorio».
Tutto comincia dalla scelta dell’area dove saranno costruite le nuove abitazioni, in perfetta sintonia con l’inserimento di un determinato ceto sociale. Meglio se assortito, variegato, di facile comunicabilità, per migliorare il livello istruttivo. È un’operazione culturale che stanno conducendo diversi architetti, specie dopo le drastiche decisioni delle amministrazioni locali che hanno portato alla creazione di veri e propri ghetti sociali. «I giovani hanno bisogno – afferma Massimiliano Fuksas, architetto impegnato a caratterizzare i suoi progetti con una costante ricerca sui nuovi materiali e sulle nuove tecniche di realizzazione – di spazi dove ascoltare la musica, perché essi sono luoghi importanti per l’aggregazione sociale. Se non vengono presi in considerazione questi aspetti, si rischia di tagliare fuori una parte considerevole di persone che vogliono confrontarsi mediante l’incontro. È un fondamentale passaggio da non sottovalutare per lo sviluppo di una comunità».
Paolo Portoghesi, architetto e professore di progettazione all’Università La Sapienza di Roma, tira dritto, senza mezzi termini, verso una rivalutazione della piazza come luogo dove l’architettura deve aprirsi ed esprimersi al massimo, per migliorare la socialità. «Il difficile compito dell’architetto – afferma – è quello di intervenire su situazioni già compromesse. Il suo lavoro deve cambiare, migliorando, l’assetto urbano già esistente. La piazza è il luogo dove si incontrano le persone, momento particolare per scambiare le idee. È socialmente importante perché conferisce nuova linfa alla società. Bisogna lavorare sulla differenza, proprio per costruire ciò che non è stato ancora realizzato. Le piazze assumono un grande significato. È possibile contrapporsi al caos urbano, magari con una forte contraddizione. Si può ripartire da decisioni forti con soluzioni alternative, anche se la piazza resta sempre un elemento fondamentale per rivitalizzare luoghi cittadini. Storia dell’architettura italiana e contemporaneità devono contrapporsi, integrarsi, per trovare nuove soluzioni sociali e avveniristiche scelte architettoniche. La città ha bisogno di una partecipazione corale, la gente deve prendere parte attiva alla costruzione dell’area urbana. Ma rimangono solo le piazze i veri luoghi dai quali si dovrà ripartire, al fine di pensare un nuovo modo di fare architettura».
L’immagine: prospettiva architettonica (1470) attribuita a Francesco di Giorgio Martini (1439-1502).
Francesco Fravolini
(LucidaMente, anno VI, n. 66, giugno 2011)
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