Della silloge poetica Nome, nome (pp. 64, € 11,00) di Massimo Sannelli, pubblicata presso la collana Le invetriate delle Edizioni Il crocicchio/inEdition editrice, ecco di seguito la Presentazione di Marina Pizzi, dal titolo “L’acqua certa” con Massimo Sannelli per Nome, nome.
Solitudine mistica della parola ancorata all’effigie del corpo, parola presa in/a poppa per un’evanescenza di/nonostante il teschio del sale che per adesso è carne colma di ascolto.
Qui, in questi versi quasi dimentichi in presenza, prende la commozione del bianco, il coma di una madre sempre evocata quale una cascata senza mare né gioia di golfo.
L’infanzia, questa e quella falena di iato, fannullona di tutto: nulla nel pieno addobbo del cassetto sventrato addirittura e solo da un sassetto.
Scrosci d’acqua arsi dalla prima cintola di un qualsiasi Gigante cattivo contro una madre buona botanica di bacca, candore del crollo del tempietto.
Piange, Sannelli, nel sisma ondulato e ondulatorio dell’essere venuto dal seno; è un pianto secco, secco stato di mancamento, mancanza di Lei la donna di madre che lo nacque e lo interra senza farne, farsene, fargli, farlo con peso di oppressione.
E’ l’ombra del senso e del suono abili atti a dar vita, nuova vita, sempre vita, al poeta che, in più o in meno, non sa mangiare, non sa nemmeno mangiare… la fame è enorme eppure si contrae quasi in aborto.
Il cristianesimo delle singole parole possono il senso e il segno dell’acqua natìa, mai bastante contro il basto di spartirsi, ma appallottolato, per vivo e morto nell’insieme del rantolo tutto ossigeno, e viceversa.
“capisci che l’infanzia è meno
propria; con lealtà che non
dirige;
nato maturo, nato torre, diffusa
in uno cielo”.
L’apparente esilità dei versi non tragga in inganno: la pavimentazione è davvero solida, data, costrutta sapientemente: voce angelicata, corpo di terra, estremo desiderio di cielo e di altri, negli altri, percorsi. La magnificenza della vita o del possibile s’intuisce quale fonte amata amante di speranza nonostante il rischio del divino sia quasi accanto, un po’ più vicino.
L’erotismo si muta mentre accade: è quasi tangibile perché qui è visuale dell’aura dai versi: di coinvolgente bellezza l’azzardo: “da tutti penetrare “io sono””.
L’oscurità del candore dora il lieve vincolo del fatto di punta con furti all’enigma nella marea dell’ordinato soqquadro che scaturisce poesia: “è baldanza l’equilibrio, nel / suo peso”; illuminazioni scorte e date per semplicità naturale: congenita semplicità perché può la madre?
Dopo la fonìa dell’affanno nei suoni sovrapposti, càpita, all’improvviso questo verso piano: “continua a mattina il vento”, ma non si tratta della libertà del lieto, bensì del tornante infinito della solitudine: la grazia non basta a tenerci nel grembo della materna-fraterna compagnia.
Sa sorridere, Sannelli, perché intaglia dai veleni le resine del poter/saper dire, eppure morendo, quale solo la poesia di rivelazione è in grado di scardinare evocando. In calice c’è lo sterco dell’essere commisto alla stola del lascito chiamato, forse ancora, anima, àncora?
“Dietro ogni ora è fatto uno
schermo privato: non niente”.
Dal cielo alla terra, dall’aria alla pulizia del sudicio, in un attimo! quale un valore di verbo che acquisti improvvisamente solo ed esclusivamente il significato originario. La fede di Sannelli è chiara in uno scoglio di faro spento, ma ancora faro bambino alla veduta che guarda e guarderà e che si farà vedere in uno sguardo di pausa. La parola equilibrio ritorna come una sella. Leopardi è discolo e dice, qui, in/da/di Massimo: “e giusti occhi sono: in viso, come offesi”.
La voracità del seno si rende desiderio della poesia: qualsiasi aggettivo è stretto, tramestio d’eco la posta in gioco: “ama / tra le braccia morire, non godere”: “quando l’età cambiava presto, ad ora ad ora”.
L’immagine: la copertina della raccolta (progetto grafico di Germana Luisi).
Marina Pizzi
(LucidaMente, anno II, n. 5 EXTRA, supplemento al n. 17, 15 maggio 2007)