Una professoressa (ancora precaria) ci scrive per denunciare l’indottrinamento forzato subìto ieri da studentessa. Ma anche oggi, da docente… pressioni e disagio
Carissimo direttore/professor Tripodi, la seguo e leggo sempre i suoi editoriali on line. Sono un’insegnante e le scrivo perché vorrei ringraziarla: ringraziarla per quello che scrive, per il modo in cui lo fa e soprattutto per essere diverso dalla maggior parte dei suoi/nostri colleghi docenti. Soprattutto per quest’ultimo punto le sono grata.
E la motivazione è da ricercare in un trauma che ho avuto e del quale voglio renderla partecipe: per me il liceo è stato un vero incubo. Ho avuto una professoressa di Lettere bravissima: si rimaneva incantati ad ascoltarla quando spiegava la Storia della Letteratura italiana e quando ci leggeva i canti della Divina commedia. Peccato avesse un grosso difetto: era di sinistra. E questo non sarebbe stato un problema, dal momento che ci hanno forniti di libero arbitrio. Il problema era che faceva propaganda in classe. Non perdeva occasione per indirizzarci politicamente e per farci capire che erano molto più apprezzate le compagne (eravamo tutte femmine, essendo iscritte a un indirizzo pedagogico) che sfoggiavano le magliette del Che Guevara o che erano delle brave ruffiane piuttosto che delle diligenti studentesse.
Così, nel triennio finale, il mio 9 in Lingua e Letteratura italiana e il mio 10 in Storia si tramutarono rispettivamente in un 7 e in un’8 scarsi. Per non parlare poi degli accesi e continui conflitti che ebbi con quella docente. E il dispiacere che provai poiché, nonostante tutto, avrei voluto avere da parte sua una qualche gratificazione dato che, dal punto di vista didattico, per lei provavo comunque della stima.
Quindi, per questo le sono grata, Tripodi: perché sono sicura, leggendo quello che scrive, che lei non mortifica i suoi studenti che mostrano un pensiero divergente dal suo, che non attribuisce voti in base alla posizione politica, ma in base alle capacità e alle conoscenze che i suoi scolari dimostrano e che non devono essere necessariamente politically correct (inteso come lo intendono i cattocomunisti di Predappio). Non le nascondo che da allora ho sempre avuto problemi, scolasticamente e lavorativamente parlando, come se mi avessero marchiata. Le confesso che non vedo l’ora di smettere di essere precaria per poter avere finalmente la libertà di parola su Facebook e altrove, anche se anche oggi… ogni tanto non riesco a trattenermi e qualcosa mi scappa.
Lettera (firmata) di una professoressa
(LucidaMente, anno XIV, n. 163, luglio 2019)