L’11 settembre 1973 un colpo di stato militare rovesciò il presidente Allende, legittimamente eletto dal Parlamento di Santiago. La feroce dittatura del generale Pinochet servì a testare le ricette neoliberiste dei “Chicago boys”, poi estese a livello globale
Gli Stati uniti hanno spesso giustificato le aggressioni militari contro altre nazioni come “legittima difesa” (vedi Come provocare una guerra facendo la vittima), adducendo persino la bizzarra scusa «di andare in guerra non per sventare un attacco, ma per prevenire un attacco» (Vijay Prashad, Proiettili a stelle e strisce, Red star press).
Gli Usa, inoltre, hanno ordito molti colpi di stato per difendere i propri interessi geopolitici, mascherandoli ogni volta come «una rivolta popolare contro un governo autoritario, salvata dall’intervento dei militari patriottici» (Ivi).
Un classico esempio è costituito dal golpe cileno del 1973, del quale ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario.
Le elezioni cilene del 1970
Il 4 settembre 1970 il socialista Salvador Allende vinse le elezioni presidenziali come candidato di Unidad popular (Up), una coalizione progressista comprendente sei gruppi politici, tra i quali il Partito comunista del Cile (Pcc), il Partito radicale del Cile (Prc) e il Partito socialista del Cile (Psc). Allende conquistò il 36,63% dei consensi e superò di soli 40 mila voti il nazionalista Josè Alessandri (35,29%), mentre il leader del Partito democratico cristiano del Cile (Pdc) Radomiro Tomic giunse terzo (28,08%).
Il sistema elettorale cileno prevedeva che, se nessun candidato avesse raggiunto la maggioranza assoluta, sarebbe stato poi il Parlamento a scegliere il presidente tra i due più votati. Nei giorni precedenti il ballottaggio circolò sulla stampa la notizia che la multinazionale delle telecomunicazioni International telephon and telegraph (Itt) stesse tramando affinché fosse eletto Alessandri.
Allende diventa presidente
Il 25 ottobre militanti di estrema destra ferirono mortalmente – durante un tentativo di sequestro – René Schneider, capo di Stato maggiore dell’esercito, contrario a ogni ingerenza dei militari nella vita politica.
Sull’onda emotiva di questo gravissimo episodio, i parlamentari del Pdc unirono i propri voti a quelli di Up, consentendo così l’elezione di Allende. Il 6 novembre, quindi, il leader socialista s’insediò a La Moneda, il palazzo di Santiago sede del potere esecutivo e residenza presidenziale (vedi Il Cile di Salvador Allende). Il nuovo Governo aumentò subito i salari e distribuì i latifondi tra i contadini più poveri, nazionalizzando le banche e le miniere di proprietà delle aziende straniere.
Le reazioni avverse, tuttavia, non tardarono a manifestarsi. La Banca mondiale, infatti, sospese i prestiti al Cile e il prezzo del rame – fondamentale per l’economia dello stato andino – scese del 25% nel mercato internazionale.
Il discorso di Allende all’Onu
Nell’ottobre 1972 il sindacato dei camionisti attuò una serrata che mise in ginocchio il Cile, obbligando il Governo a razionare i prodotti di prima necessità. La situazione fu aggravata dall’inflazione galoppante, che raggiunse il 140%, e – a causa del mercato nero – a poco servì l’adozione del calmiere dei prezzi.
Il 4 dicembre Allende tenne un drammatico discorso presso l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu), nel quale stigmatizzò il boicottaggio dell’economia cilena e denunciò l’avvento di un nuovo ordine mondiale capitalistico a discapito della sovranità nazionale: «La struttura politica del mondo sta per essere sconvolta. Le grandi imprese multinazionali non solo attentano agli interessi dei Paesi in via di sviluppo, ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei Paesi industrializzati in cui hanno sede» [vedi Discorso di Salvador Allende all’Onu (1972)].
Alle elezioni parlamentari del 4 marzo 1973 Up perse la maggioranza dei seggi e il Pdc divenne il primo partito.
Le divisioni a sinistra e il cacelorazo
La delegittimazione di Allende trovò terreno fertile «non solo nell’opposizione dei conservatori e della destra, ma anche nell’agitazione dell’estrema sinistra» (Rosario Villari, Storia contemporanea, Laterza). Il Movimento della sinistra rivoluzionaria (Mir), infatti, si mobilitò per radicalizzare in senso anticapitalistico l’operato del Governo. All’interno di Up, inoltre, si creò una frizione tra il segretario socialista Carlos Altamirano, in sintonia con le richieste del Mir, e il leader comunista Luis Corvalán, più cauto e gradualista.
Il 29 giugno un gruppo di carri armati circondò La Moneda, ma le truppe fedeli al Governo sventarono la minaccia di golpe. Il 21 agosto, prendendo come pretesto il “caso Cox”, circa trecento donne – per lo più mogli di ufficiali e generali antigovernativi – inscenarono a Santiago un cacerolazo (rumorosa percussione di casseruole) davanti all’abitazione di Carlos Prats (vicepresidente, ministro della Difesa e capo delle forze armate) che due giorni dopo lasciò l’incarico ministeriale e il vertice militare. Allende nominò allora comandante dell’esercito il generale Augusto Pinochet che – ipocritamente – giurò fedeltà alla Costituzione.
Il golpe dell’11 settembre e la morte di Allende
A fine agosto riprese lo sciopero dei camionisti, che furono affiancati dai commercianti e dai piloti di volo della compagnia aerea Lan Chile. All’alba dell’11 settembre alcune navi della Marina militare occuparono il porto di Valparaíso. Verso le 14 l’aviazione bombardò La Moneda, che venne assalita da alcuni reparti dell’esercito. Allende restò stoicamente al proprio posto e, prima di morire, riuscì a inviare al popolo cileno un estremo, drammatico messaggio radiofonico [vedi Ultimo discorso di Salvador Allende (11 settembre 1973, Radio Magallanes)].
Le circostanze del suo decesso non furono mai chiarite. La versione ufficiale – confermata dalla testimonianza oculare del dottor Patricio Guijon, medico personale del presidente – sostenne che si fosse suicidato durante l’assalto, sparandosi col fucile mitragliatore Ak-47 regalatogli da Fidel Castro. Nel film Faccia di spia (1975), tuttavia, il regista Giuseppe Ferrara avanzò la tesi dell’omicidio, che è stata ripresa da varie indagini giornalistiche (vedi Jean Georges Almendras – Giorgio Bongiovanni, Allende fu ucciso).
I rifugiati salvati dall’ambasciata italiana
Dall’11 settembre 1973 alla fine del 1974 l’ambasciata italiana di Santiago fornì un sostegno ammirevole a oltre 600 ricercati politici cileni, che furono poi aiutati a emigrare nel Belpaese (vedi Raffaele Castagno, Il console parmigiano che salvò i cileni dal golpe). A favorire l’ingresso dei rifugiati e ad accudirli personalmente furono, in particolare, i diplomatici Piero De Masi e Roberto Toscano, animati da un grande coraggio e da un forte senso di umanità.
La drammatica vicenda dei cileni scampati alla persecuzione è stata raccontata nel 2003 da Toscano all’interno del volume collettaneo, curato da Maurizio Chierici, L’altro 11 settembre / 30 anni fa (l’Unità). Nel 2013 ne ha parlato anche De Masi nel libro di memorie Santiago. 1 febbraio 1973 – 27 gennaio 1974 (Bonanni editore). Infine, nel 2018 è stata ricostruita all’interno del docufilm Santiago, Italia diretto da Nanni Moretti [un altro documentario al riguardo è Calle Miguel Claro 1359 (2006)].
L’ultraliberismo criminale di Pinochet
Pinochet impose ai cileni una politica autoritaria e ultraliberista, che permise di testare le ricette finanziarie dei Chicago boys (abolizione del diritto di sciopero e del welfare, deregulation, privatizzazioni, ecc.), poi estese a livello globale. Il regime militare durò fino al 5 ottobre 1989, allorché un plebiscito popolare bocciò la rielezione del tiranno, che comunque mantenne la carica di presidente fino all’11 marzo 1990.
Nel 1998 il giudice spagnolo Baltasar Garzón emise un mandato di cattura internazionale contro Pinochet, ma la magistratura cilena ne ordinò gli arresti domiciliari soltanto il 13 dicembre 2004 (circa due anni prima della morte). Nello stesso anno venne redatto il Rapporto Valech sui crimini commessi durante la dittatura, che stimò in «oltre 40.000 il numero delle vittime di violazioni dei diritti umani tra il 1973 e il 1990», indicando in 3.216 «il numero ufficiale delle persone uccise o scomparse» (vedi Il Cile di Augusto Pinochet: fatti e cifre).
L’Operazione Condor
Patricia Verdugo – nel saggio del 2003 Salvador Allende. Cómo la Casa Blanca provocó su muerte (Editorial Catalonia; traduzione italiana: Salvador Allende. Una congiura della Casa Bianca, Bietti) – ha indicato i mandanti del golpe cileno nel presidente statunitense Richard Nixon e nel segretario di Stato Henry Kissinger. Le loro responsabilità sono emerse dopo la declassificazione di alcuni documenti della Commissione Church che, nel biennio 1975-1976, indagò negli Usa sulle “azioni sotto copertura” ordite dalla Central intelligence agency (Cia) e dal Federal bureau of investigation (Fbi).
La cover action più nota fu l’Operazione Condor, che – come riportato nell’Enciclopedia Treccani on line – fu predisposta nel 1975 tramite il «coordinamento segreto tra i servizi di intelligence delle dittature militari di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay per combattere il terrorismo e le forze eversive di sinistra in America Latina». Essa comportò molti omicidi politici, come quello di Orlando Letelier, ex ministro socialista cileno, ucciso in esilio a Washington nel 1976.
Le immagini: la bandiera del Cile (autore: Paulbr75; concessa a uso gratuito per https://pixabay.com ); veduta del palazzo La Moneda di Santiago (autore: Fredson Silva; concessa a uso gratuito per https://www.pexels.com); la statua di Salvador Allende a Santiago (autore: Falco; concessa a uso gratuito per https://pixabay.com); bandiera e dollari statunitensi (autore: Karolina Grabowska; concessa a uso gratuito per https://www.pexels.com).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 213, settembre 2023)