In questo articolo, il primo di due, viene proposta una riflessione sul cristianesimo alla luce di alcuni aspetti che lo pongono in parallelo con l’islam
Chi contrappone i santi, caritatevoli, illuminanti e “progressivi” ideali del cristianesimo agli empi, tenebrosi e regressivi valori dell’islam non ha ben evidente quanto entrambe le religioni basino la propria natura sull’intolleranza. Questa è fisiologica nelle confessioni monoteistiche. La credenza in un unico Dio, che può offrire solo risposte univoche, non lascia spazio a pensieri che non siano ammessi e inquadrati nell’ordine logico e teologico che quel culto impone ai propri seguaci.
Il cristianesimo e successivamente l’islamismo sono un’aberrazione nell’evoluzione del pensiero dell’umanità quale si era sviluppato in Occidente sino al primo secolo d.C. Ciò che ci è stato dipinto (a scuola e altrove) come un passo avanti nella storia si presenta al pari di una profonda decadenza, con conseguenze, per tutta la civiltà, d’inabissamento nelle tenebre della superstizione e dell’ignoranza, che infatti saranno costanti in tutto l’Alto Medioevo. Prima del cristianesimo non esistevano le guerre di religione. I Greci non hanno mosso conflitti in nome di Zeus, né i Romani in nome di Giove, né tantomeno gli induisti in nome di Krishna e così via. Nell’Impero romano esistevano una profonda tolleranza e il rispetto nei confronti di tutti i culti e di tutte le religioni, tolleranza che ebbe fine proprio a causa dell’imporsi del cristianesimo.
Il motivo primario dell’intolleranza del cristianesimo, in quanto religione monoteistica, deriva dal fatto di avere un carattere premiante. Cristianesimo e islamismo hanno la comune caratteristica di prevedere, in cambio della devozione e per la corretta osservanza di alcune pratiche, una ricompensa ultraterrena di valore smisurato. È evidente che una diversa osservanza del credo non può essere tollerata visto che metterebbe in crisi tutto il castello religioso e di conseguenza anche la certezza del premio finale. Il monoteista vuole imporre ad ogni costo la propria fede per avere la certezza che il proprio credo sia quello giusto. Il relativismo è incompatibile con l’idea di un premio conseguente al rispetto del rito. Viene da sé quanto sia infantile e poco etica questa convinzione secondo la quale il bene viene perseguito solo per ottenere un dono e non per la suo valore intrinseco in assoluto. Di contro, vogliamo evidenziare la superiore eticità delle scuole filosofiche del tempo, anche diversissime fra di loro (stoici, epicurei, cinici) che vedevano nell’eticità e nella libertà valori interiori di per sé validi che andavano comunque cercati senza alcuna contropartita.
Gli Ebrei, che furono i primi a immaginare un unico Dio, si servirono delle loro credenze in chiave – diciamo così – difensiva, per compattare il proprio popolo contro altre genti aggressive e per darsi una Legge che fosse un monolitico codice di comportamento, non solo etico ma anche di carattere civilistico e addirittura igienico. Yahweh è il Dio esclusivo degli israeliti e questi non intrapresero mai battaglie per portare con la forza la propria religione altrove, perché essa poteva essere legata solo a loro e giammai esportata. Tale concezione vale anche per il pensiero di Gesù.
E qui parliamo della figura più plausibile e cioè di Gesù l’ebreo, Gesù il maestro, e non di quella inventata da Paolo di Tarso e dai suoi seguaci. Coerente con la Legge ebraica, Cristo afferma, infatti: «Non andate tra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani. Andate piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele» (Vangelo secondo Matteo, 10,5-6). Egli era uno dei tanti messia yahvisti fatto crocifiggere dai Romani per insurrezione armata contro Roma. Alla sua morte i fedeli, forse vicini agli esseni – cioè quel gruppo mistico ebraico che insegnava amore nei confronti dei poveri e degli umili, nei quali scorgeva il volto di Dio – riuscirono a riorganizzarsi e a far sorgere, dalla vergogna dell’uccisione del loro leader, l’idea della parusia, ovvero del ritorno dal cielo del Gesù crocefisso, per instaurare su questa terrail regno di Yahweh.
Qualche decennio dopo essi si divisero di fatto in due correnti. La prima (i cristiano-giudei), guidata da Giacomo, fratello di Gesù, proseguiva nel tracciato della tradizione ebraica, ovvero nel rispetto assoluto della Legge, che comprendeva anche la circoncisione. La seconda (i cristiano-ellenisti), formata da ebrei della diaspora di tendenza ellenizzante, ideologicamente condotti da Paolo di Tarso, voleva invece stabilire una cesura con il passato e aprirsi all’intero mondo romano. Questa corrente alla fine prese il sopravvento ed è alla base dell’invenzione del cristianesimo così come lo conosciamo.
L’impostazione dogmatica di Paolo di Tarso portò a una completa manipolazione degli scritti elaborati dalla comunità cristiana dopo la morte di Gesù. Di fatto non conosciamo i veri autori dei quattro Vangeli canonici (che la Chiesa ha arbitrariamente attribuito a Luca, Marco, Matteo e Giovanni), ma certamente sappiamo che essi non furono redatti prima del 70 d.C. e che subirono numerosissime interpolazioni per adattarli alla dottrina ufficiale che andava formandosi, concilio dopo concilio, sino a quello di Nicea (325 d.C.). Molto probabilmente i tre Vangeli sinottici sono una fonte secondaria che attinge dal Vangelo degli Ebrei, scritto da chi Gesù lo aveva effettivamente conosciuto. Purtroppo nulla ci rimane di questo importante documento, dal momento che la Chiesa ben presto fece fare piazza pulita di tutte le testimonianze discordanti.
Antonio Tripodi
(LucidaMente, anno X, n. 110, febbraio 2015)
Un invito a chi legge questo articolo: fate attente ricerche così potrete giudicare questo scritto.
Egregio dott. Tripodi,
vista la sua gentilezza e disponibilità al dialogo torno a farmi vivo. Le confesso che sono stato tentato a commentare di getto il suo articolo nei punti che non mi trovano d’accordo (e sono diversi), ma poi mi sono trattenuto per due ragioni. La prima è che non vorrei incorrere in un’altra gaffe, prendere cioè quello che lei ha scritto per realtà quando invece si tratta di satira. Poi perchè lei stesso anticipa che quell’articolo è il primo di due, quindi aspetto il secondo, per poi rispondere eventualmente ad entrambi.
Intanto mi è gradita l’occasione per salutarla.
Bruno Bargiacchi
Gentilissimo dott. Bargiacchi,
il presente articolo (che non è satirico) non è mio, ma di altro collaboratore della rivista (i nomi son diversi).
La ringrazio comunque per l’intervento.
Rino Tripodi
Vediamo la seconda puntata. Però mi sembra riduttivo affrontare certi argomenti in una colonnina su web. Per sostenere certe tesi bisognerebbe avere più ampio respiro
Premetto di non essere cristiano.
La storiografia relativa alla figura di Gesù di Nazareth è sterminata. Accanto a quelle che lo elevano al rango della seconda persona della Trinità, se ne rinvengono altre che ne hanno negata la reale esistenza, che ne hanno fatto un guerrigliero (R. Roy; vd. anche D. Donnni), ovvero, un grandissimo idealista (E. Renan).
Il complesso di queste visioni, ottimamente sintetizzate da Antonio Tripodi, quantunque non prive di autorevolezza, non hanno scalfito l’autorità del cristianesimo. Ciò dipende dai contenuti, rivoluzionari, del suo messaggio. E’ quest’ultimo che attesta l’esistenza e la divinità di Gesù di Nazareth o, almeno la sua ispirazione divina.
Il Dio neotestamentario è trinitario. Questa caratteristica possiede una altissima valenza filosofica. La trinitarietà esprime una relazione (circum-incessio) tra due persone divine, il Padre ed il Figlio, portata a compimento da una terza “persona”, lo “Spirito Santo”, che diviene, così, il cardine di questa dualità. Tale relazione è dialettica: hegelianamente, il Padre è la tesi, il Figlio l’antitesi, lo Spirito Santo è la sintesi, la realizzazione dell’unità divina. Il significato di questa raffigurazione è duplice: da un lato, essa esprime il rifiuto della evolutività sia umana che cosmica, ciò che concorre a spiegare sia la condanna (mai revocata) di Galileo Galilei, dell’Illuminismo e del darwinismo, sia la conclusione della vicenda esistenziale con l’Apocalisse, con la distruzione dell’operato della Genesi, con il ritorno alla situazione ad essa anteriore (vd. Eusebio di Cesarea). L’ulteriore significato risiede nel fatto che il Dio trinitario è charitas (1 Gv 4, 16), vale a dire, è la fonte della gloria eterna degli empi. L’Antico Testamento distingue nettamente tra i peccatori e gli empi, quest’ultimi tali in quanto ostili al Decalogo. I primi, anche grazie all’aiuto divino, si salvano, i secondi si perdono per l’eternità. Il Nuovo Testamento ribalta questa visione: “gli ultimi saranno i primi” (Mt 20, 16), i peccatori verranno dannati, gli empi verranno glorificati (Mt 21, 31; Rm 4, 5; 5, 6: “Cristo morì per gli empi (pro impiis)”.
Si comprende, allora, la condanna a morte di Gesù di Nazareth, si comprende anche il profondo impatto che una tale religiosità ha avuto sulla cultura occidentale.
Quanto al problema se il cristianesimo sia una religione pacifista, la risposta è negativa. La pax christiana, in quanto basata sul reciproco perdono, è un’illusione. Il perdono, necessariamente, presuppone la violenza. Senza di questa, la charitas humana e la charitas divina sarebbero prive di significato. Pertanto, la pace, intesa come assenza di violenza, è del tutto estranea al cristianesimo. Essa, infatti, sarebbe propria di una società retta dal Decalogo, di una società, appunto, non cristiana.
In altri termini, la pax christiana non si risolve nella liberazione dalla violenza, ma nella liberazione da quella “violenza” costituita dalle sanzioni connesse alle violazioni del Decalogo. Essa è correttamente resa da Agostino nei seguenti termini: “dilige et quod vis fac” (“perdona e fa quello che vuoi”).
Il Vangelo è, probabilmente, il testo più insanguinato esistente al mondo, di certo, considerato che si conclude con l’Apocalisse, il più violento.
Questi sono i termini entro cui può essere aperto il dibattito sul cristianesimo e sulle religiosità che da esso si sono dipartite.
Quanto esposto, per altro, non è riferibile al cristianesimo illuministico sul quale, per carenza di spazio, non posso intrattenermi.
La mia NON vuole (anche perché NON ne sono all’altezza) essere né una replica né una risposta ma solo una constatazione con una affermazione di positività. La constatazione è di tristezza per quella che io definisco “truffa” operata da tutte le religioni ai danni dell’aspirazione al trascendente e alla “religiosità” intrinseca nell’uomo e le cui tracce risalgono al periodo di Neanderthal; l’affermazione positiva è la “speranza” di prosecuzione della vita oltre la morte cui tutte le religioni aspirano ma che temo, tanto per essere conseguente con quanto prima detto, sia connaturata all’essenza dell’uomo.
Cordiali Saluti
Marco Mengoli
Grazie, Marco, per il bellissimo, anzi toccante e struggente intervento, visto che vi si sente l’esigenza di un’alta spiritualità, purtroppo delusa dalle religioni storiche.
Specifico che l’articolo non è mio, ma di un mio omonimo (almeno come cognome).
Rino Tripodi
Gentile sig. Mengoli
raccolgo il suo intervento, che più di tutti mi ha colpito per la sua spontaneità, per chiarire che il mio contributo vuole affrontare il tema “cristianesimo” da una prospettiva della Storia delle religioni e non vuole invadere campi teologici su cui non ho competenza.
Non posso, però, evitare di cogliere nella sua constatazione il pessimismo che è il pregiudizio di tutti coloro che hanno veduto realizzarsi nel mondo le religioni monoteistiche dei “tre impostori” (Mosè, Gesù e Maometto). In particolare Cristianesimo ed Islamismo hanno perpetrato la “truffa” cui lei giustamente accenna.
Ma non si fermi qui.
Ci sono filosofie religiose che non offrono premi nell’aldilà, ma insegnamenti per sciogliere le cause dell’infelicità e pratiche per ricongiungersi alla divinità e al cosmo, di cui costituiamo tutti una infinitesima parte.
I profeti di questi movimenti ci sono passati accanto, alcuni vivono ancora e forse non li abbiamo riconosciuti.
Mi riferisco, in particolare, a figure come S.S. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, fondatore del movimento Hare Krishna nel mondo occidentale, al mistico e maestro spirituale Osho, alla massima autorità del buddismo tibetano, S.S. il Dalai Lama.
Legga le loro opere e vedrà che troverà una guida spirituale nella ricerca del trascendente e per le domande che pone.
Chiudo con una citazione del maestro Osho che racchiude la profonda tolleranza e la distanza di tali pensieri religiosi dalle false religioni e che implicitamente dà anche una risposta all’amarezza della sua constatazione. A chi gli chiedeva come mai nel mondo ci fossero tante religioni, così rispondeva il mistico: “In verità ne occorrono molte di più. Dal mio punto di vista ogni individuo dovrebbe avere la propria religione; dovrebbero esistere tante religioni quante sono le persone.” E ancora: “Le religioni sono ottime cose – ne occorrono molte di più – ma religioni che litigano non sono affatto religiose. L’attitudine stessa a discutere ne fa fenomeni politici.”
Un abbraccio
Gentilissimo Sig. Mengoli,
non ha motivo di essere pessimista. In breve:
1) le religioni sono innumerevoli e non esiste alcun criterio che consenta di individuare quella di esse vera;
2) religiosità (esclusa quella c.d. pagana) significa guerre di religione. L’emancipazione della società occidentale da tali degenerazioni è merito esclusivo dell’Illuminismo ed è, quindi, un fatto storicamente recente (XVIII secolo);
3) il cristianesimo illuministico è il solo ad avere reso possibile la compatibilità della fede con la ragione. Esso è antitrinitario, antimariano e basato sul primato del Decalogo. Proprio in Italia ne abbiamo un insigne rappresentante, Fausto Socini, scacciato dalla Chiesa Cattolica e dagli stessi protestanti del nord Europa (in particolare, da Calvino). Abbiamo anche una nostra Bibbia, quella tradotta da Diodati, anch’essa estromessa dalla Chiesa cattolica. Il risultato di questa azione secolare è che non abbiamo una nostra religiosità, la dobbiamo importare dallo Stato pontificio con tutte le gravissime conseguenze politiche che ne conseguono. Degli scritti di Socini non esistono traduzioni italiane e scarsamente attendibili sono le ricostruzioni del suo pensiero rinvenibili in internet;
4) la morte non esiste. Esiste il mutamento di stato che riguarda la corporeità, ma l’anima è immortale perché, come spiegato da Platone, essa è generata da Dio, non creata dal nulla come dicono i preti, vale a dire, essa è “pars Dei” (parte di Dio) partecipando, così, della sua immortalità;
5) storicamente, l’uomo è transitato dalle spiegazioni religiose dell’esistente alla filosofia i cui apposti, al di là e al di sopra delle correnti informate allo scetticismo e, quindi, all’antiumanesimo, possono essere sintetizzati come segue: Dio esiste; Dio si prende cura delle cose umane (anche se a noi può non sembrare) e ne giudica rettamente. Questi i valori etici cui l’uomo deve attenersi: “sapere oportet” (doverosità della conoscenza, poiché l’ignoranza è fonte di errore ed allontana da Dio); “alieni abstinentia” (astenersi da ciò che è altrui).
6) Non cerchi Dio fuori di se stesso. Come insegnato da Platone, l’anima è lo specchio in cui l’uomo ne scopre l’esistenza, l’anima è la specchio di Dio, in questo senso, Dio è in noi. La legge morale che è insita nella coscienza umana, per la cui reale determinazione si rende necessaria una lunga esperienza esistenziale, la guiderà lungo questa strada, se vorrà seguirla.