La “Prefazione” di Enrico Torrini alla raccolta poetica di Paolo Bonesso
Mio animale e mia anima (inEdition editrice/Collane di LucidaMente, pp. 88, € 10,00 – quarto volume della collana di poesia Le invetriate diretta da Marco Gatto) è una silloge di Paolo Bonesso caratterizzata dalla splendida cascata lirica di fotogrammi teneri e musicali. L’opera è preceduta da una illuminante Prefazione di Enrico Torrini.
Eccone il testo, per intero, di seguito.
Le poesie d’amore dovrebbero essere anonime, tutte quante anonime: per quella proprietà che intrinsecamente posseggono, che, pur parlandoci d’amore, ci riconducono al dolore, ci richiamano alla pietà. Tuttavia, è proprio grazie a queste tre dimensioni (dell’amore, del dolore, della pietà) che possiamo ipotizzare uno “spazio dello spirito”.
L’informazione creativa della poesia aggiunge a queste tre dimensioni un “tempo immaginario” e dunque una possibilità di espansione, di essere “mondo” che si distanzia dall'”inadeguatezza”.
In questa diversa condizione ricettiva nulla è più banale, tutto appare al poeta come rinnovato, la stessa parola capace di descrivere rimbalza al poeta come appena nata, come nuova simbologia di coesistenze.
L’esserci e il co-esserci, nel senso inteso da Jean-Luc Nancy, co-incidono; diventano forse allora (non solo esteticamente, ma soprattutto esistenzialmente) un reciproco tatuaggio.
Eppure la poesia è sempre una meravigliosa-desolata distanza.
E anche le poesie d’amore non solo riflettono ma custodiscono e portano in dono un’impercorribile distanza. Ed era, in questo caso, una distanza di solitudini ataviche, di stupori e dolori primordiali, una distanza di giorni, di viaggi, di contemplazioni.
Ma era anche una distanza che rivelava un’altra e insuperabile distanza: quella tra le coesistenze.
Dal dialogo La belva di Cesare Pavese (Dialoghi con Leucò, A. Mondadori):
“(Endimione). Sì ma non basta. Hai mai conosciuto persona che fosse molte cose in una, le portasse con sé, che ogni suo gesto, ogni pensiero che tu fai di lei racchiudesse infinite cose della tua terra e del tuo cielo, e parole, ricordi, giorni andati che non saprai mai, giorni futuri, certezze, e un’altra terra e un altro cielo che non ti è dato possedere?”.
Vorrei concludere accennando alla seconda parte di questa raccolta di poesie: quella intitolata Le strade del non ritorno, poiché, se l’innamoramento era avvertito dal poeta come un “risveglio”, questa raccolta finale sembra proporre un’ulteriore e definitiva, e apparentemente assurda presa di coscienza: quella di un risveglio dal risveglio: un riaffiorare nuovo e assoluto.
Quasi il marinaio (protagonista visionario e febbricitante di queste poesie) fosse ora condannato alla più terribile delle punizioni inflitte un tempo sulle navi dei corsari: quella del “giro di chiglia”.
E mi piace immaginare che ce l’abbia fatta, che “Heidegger-iamente gettato”, legato ad una fune, da un lato della nave, sia infine, infine, infine – dopo minuti e minuti di buio e con il cuore e i polmoni semi spezzati – ecco! finalmente riaffiorato, riemerso: “dall’altra parte”.
Da La leggenda dei dormienti (Enciclopedia dei morti, Adelphi) di Danilo Kis:
“Ma quella era la luce! Non una luce tremula e debole che si corrode e si logora da sola, che si accende e si spegne da sola, consumandosi nella sua stessa fiamma e nel suo stesso fumo, nel suo stesso tremolio e nel suo stesso slancio, nella sua stessa brace e nel suo stesso tizzone; quella era davvero la luce!”.
(Enrico Torrini, Prefazione a Mio animale e mia anima di Paolo Bonesso, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina della raccolta poetica di Paolo Bonesso.
Erika Casali
(LucidaMente, anno IV, n. 37, gennaio 2009)