In Italia il fenomeno migratorio è percepito dalla maggior parte degli italiani come un’invasione. Ma è proprio così? Sull’argomento si è tenuto un incontro a Bologna
Quanto di quello che viene scritto o detto sui mass media in tema di immigrazione corrisponde alla realtà? Quanti italiani sanno veramente quanto il numero di stranieri incida veramente sulla popolazione? Il dibattito politico degli ultimi anni, corroborato da una narrazione sui media inesatta e allarmistica, ha contribuito a distorcere i fatti e a diffondere una percezione di pericolo e crisi legata al fenomeno migratorio molto distante da quelli che sono i dati reali. La conseguenza è che il tema della migrazione, per la maggior parte degli italiani, si accompagna al concetto di pericolo e invasione, in clima negativo e discriminatorio.
Si è parlato anche di questo lo scorso 30 maggio in occasione dell’evento Discriminazioni, paura del diverso e migrazioni: quali risposte possibili?, organizzato da Cefa Onlus e dal Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna. Un pomeriggio di riflessione che ha coinvolto circa una sessantina di “addetti ai lavori”: esperti e professionisti del terzo settore (educazione, accoglienza, sociale ecc.), oltre a rappresentanti di istituzioni (Asp, Unhcr, Regione Emilia-Romagna, per segnalarne alcune) che, in un modo o nell’altro, hanno quotidianamente a che fare con migrazione e discriminazione. L’obiettivo era quello di riflettere insieme e provare a ipotizzare delle soluzioni al problema della discriminazione (da intendere a 360°, quindi non solo legata a provenienza geografica, cultura, religione, ma anche alla condizione sociale ed economica, al genere e all’orientamento sessuale, ndr). È stata anche l’occasione per presentare la ricerca dell’Università di Bologna sui meccanismi di diffusione di comportamenti e discorsi discriminatori tra i giovani, svolta all’interno del progetto di Educazione alla cittadinanza globale Facciamo tombola. Nuove narrazioni, nuovi strumenti, nuove metodologie per la cittadinanza inclusiva e la lotta al radicalismo tra i giovani, finanziato dall’Aics, Agenzia italiana di cooperazione allo sviluppo [i risultati della ricerca non sono ancora online; segnaliamo però il sito del progetto].
La ricerca è stata condotta su quattro territori: Bologna, Napoli-Caserta, Palermo-Termini Imerese, Verona, e ha coinvolto, oltre a 87 “testimoni significativi”, 4.563 studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Relativamente al rapporto tra la percezione dei fenomeni migratori e la realtà, circa il 50% del campione intervistato, in tutte e quattro le città, ha risposto sì alla domanda “L’Italia è il paese europeo che vede il maggior numero di immigrati”. Secondo dati Eurostat del 2018, però, l’incidenza degli immigrati sulla popolazione italiana è dell’8,3% contro il 15,2% dell’Austria e oltre l’11% in Belgio, Irlanda e Germania.
Sul tema ha indagato recentemente anche Open Migration, un progetto di informazione sul tema delle migrazioni, che, attraverso dati, conoscenze e competenze vuole combattere certi pregiudizi e stereotipi, facendo davvero informazione sull’argomento. Il problema, infatti, non è tanto il fenomeno migratorio – che indiscutibilmente deve essere ben gestito – quanto il modo in cui questo viene raccontato, quasi mai in modo veritiero e sulla base di numeri e situazioni reali, ma spesso con toni e modalità allarmistiche. «Le parole sono importanti» si dice, e nel mondo dell’informazione e della comunicazione questo è ancora più vero: il ruolo del giornalismo deve essere quello di formare le opinioni e le coscienze e questo comporta una grande responsabilità. Se viene meno la veridicità delle informazioni veicolate, resta solo la propaganda. In un’epoca in cui internet e i social media danno a tutti, indistintamente, la possibilità di esprimere la propria opinione, di costruire e diffondere fake news e informazioni non verificabili immediatamente, il ruolo del giornalismo e dei giornalisti è ancora più importante. Ecco che, allora, bisognerebbe privilegiare un tipo di informazione più approfondita, basata su numeri e dati, e non un’informazione semplicistica, spesso solo a caccia di like e condivisioni sul social.
Le immagini: una foto dell’evento del 30 maggio scattata dall’autrice dell’articolo e un esempio di titoli allarmistici [qui un approfondimento sulla notizia riportata].
Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XIV, n. 162, giugno 2019)