Un film ricco di grazia e di speranza nell’umanità: “Miracolo a Le Havre” di Aki Kaurismäki
«Esistono anche i miracoli», chiosa il medico che annuncia una malattia incurabile ad Arletty, la moglie del protagonista di Miracolo a Le Havre (titolo originale, Le Havre), l’ultimo film di Aki Kaurismäki, che ci ricorda il Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini. In questa frase, che restituisce uno spiraglio di speranza, seppur remota, alla donna, è racchiusa la chiave di questa favola moderna entro la quale i miracoli possono avverarsi davvero grazie alla solidarietà, all’amore e alla voglia di vedere un altro mondo possibile.
Marcel Marx, protagonista del film, è un lustrascarpe che – dopo aver condotto una vita bohemienne come scrittore a Parigi – si è trasferito a Le Havre, dove vive le sue giornate lucidando scarpe di ricchi signori. L’esistenza parca e monotona di Marcel si divide tra il lavoro, il bar del quartiere e la sua abitazione dove, ad attenderlo, ci sono il cane Laika e la sua amata moglie. Una vita sobria, modesta e piatta, che viene improvvisamente scossa da alcuni eventi straordinari: la scoperta della grave malattia della consorte Arletty e l’incontro casuale con un giovane immigrato, Idrissa, fuggito alla polizia durante una retata. Marcel decide di aiutare il ragazzo africano a raggiungere la madre in Inghilterra e, nel fare ciò, trova la solidarietà di tutta una comunità, che si unisce – com’è molto difficile vedere nella realtà – per proteggere Idrissa dal poliziotto che lo cerca e per fargli oltrepassare la Manica.
Kaurismäki descrive la vita semplice e frugale di una realtà sociale costituita da gente povera (economicamente). Ma è proprio grazie alla decorosa miseria che riluce, per contrasto, la ricchezza d’animo delle persone che vivono in quest’opera cinematografica; ricchezza fatta di reciproco sostegno, della capacità di unirsi nei momenti di difficoltà e di apprezzare le piccole cose, le sfumature della vita. Non è un caso, infatti, che l’occhio del regista si soffermi spesso sui dettagli, regalandoci una fotografia ricca di particolari e dai colori tenui, come se volesse dirci che proprio lì, nelle minuzie, nei piccoli gesti, è racchiusa la bellezza della vita. L’ultimo film del regista finlandese è un lavoro delicato, dal gusto retrò, che riesce a toccare, seppur con leggiadria e senza mai scadere nel retorico, temi di profonda attualità fondendo egregiamente etica ed estetica, tragico e comico, senza mai diventare eccessivo, e riportandoci alla mente i capolavori di Charlie Chaplin.
Miracolo a Le Havre è un film pieno di grazia. La magia consiste nell’equilibrio colmo di candore e poesia con cui sono affrontati temi scottanti, sia in ambito sociale sia privato. La povertà, la morte, l’immigrazione, la durezza della vita, sono argomenti espliciti ma, nello stesso tempo, sono abitati da un ottimismo latente, come atto di ribellione contro le brutture della vita. In un mondo che ci intorpidisce la mente con la negatività, le atrocità e le continue barbarie cui siamo costretti ad assistere, il film realizza un’inversione di tendenza e ci regala, con sottile lirismo, il miracolo del pensiero positivo: una storia può anche essere a lieto fine ma, per far si che ciò accada, occorre la predisposizione alla gentilezza, all’educazione, all’amore, all’accettazione della diversità. Questi sono i grandi miracoli che il film dona: nulla viene dall’alto, da uno spirito astratto, ma tutto è frutto della determinazione dell’uomo e della solidarietà che permette anche a un poliziotto di eludere il suo ruolo istituzionale – catturare un innocente ragazzo immigrato – per restituire dignità etica alla propria persona.
Alla fine, anche attraverso l’ultimo fotogramma nel quale si vede un inaspettato ciliegio in fiore, sembra che il film voglia dirci che i miracoli li possiamo fare noi ogni giorno, attraverso le nostre azioni, che il mondo può cambiare sì, non per mezzo di grandi trattati internazionali, ma con piccole azioni quotidiane di rispetto e di civiltà. Il prodigio quindi è infondere speranza e fiducia all’idea di un mondo che forse non esiste, ma come un monito ci viene posto davanti, quasi a dire che, se solo lo volessimo, sarebbe molto semplice renderlo reale.
L’immagine: la locandina di Miracolo a Le Havre.
Amelia Di Pietro
(LM EXTRA n. 27, 16 gennaio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 73, gennaio 2012)