Un ricco insieme di generi e sonorità: le composizioni della giovane band hanno lo scopo di divertire ma anche di narrare. In un’intervista in esclusiva, scopriamo qualcosa in più direttamente dalla voce del chitarrista Alfredo Nuti dal Portone
Energia e ritmo, divertimento e cabaret, sperimentazione e innovazione. La band romagnola Supermarket è tutte queste caratteristiche insieme. Calypso [genere musicale della cultura afroamericana, ndr], cumbia [suoni e balli popolari colombiani, ndr], mariachi [gruppi messicani, ndr], manouche [stile del jazz, arricchito da strumenti a corda, noto anche come gipsy jazz, ndr], tango, free jazz [una forma nata tra New York e Chicago, ndr]: tutto è mescolato in un’unica sonorità, la World music romagnola.
Lo scopo è preciso: riuscire a narrare qualcosa a un pubblico il più vasto possibile. Nato nel 2010, il gruppo, di cui LucidaMente si è già occupato in occasione della recente uscita del loro primo album ufficiale, Portobello (vedi Quando il calypso della riviera viene dalla montagna), arriva alla sua composizione originale dopo un lungo laboratorio sperimentale di suoni e musicisti diversi. Nel tempo si è potuti uscire dallo “stato di anarchia” per dare vita a una vera e propria band piuttosto stabile: Alfredo Nuti dal Portone alle chitarre, Marcello “Gianduia” Detti agli ottoni, Roberto Villa al basso e contrabbasso, Daniele Marzi alle percussioni. A raccontarci della squadra e della sua musica, Alfredo Nuti dal Portone, che abbiamo intervistato dopo un concerto bolognese del gruppo.
Supermarket è un nome particolare, anche se non completamente nuovo nel panorama musicale. Qual è il suo vero significato?«Attorno al 2008-2009, quando pensavo al nome, non avevo ancora ben chiare le questioni relative all’indicizzazione in Rete, diventate poi fondamentali. Se ci rifletti, il mondo cambia davvero velocemente: in quegli anni l’indicizzazione era cosa da pionieri, mentre oggi, dopo appena circa otto anni, è divenuta indispensabile. Proprio per questo motivo probabilmente ci saranno altri novanta gruppi al mondo con il nome Supermarket. Noi, naturalmente, siamo i migliori dal punto di vista tecnico, estetico e… anche a livello di messa in regola [ride, ndr]. In ogni caso, quando lo abbiamo scelto eravamo un po’ assillati dalla famigerata sventura del cantante, inserito in un mondo di sognatori schiavisti pieni di paranoie e stress. A un certo punto ho pensato: “Ma se ci liberassimo di tutto questo e andassimo a fare un po’ di soldi senza pensieri? Non sarebbe una cosa magnifica?”. Così è iniziato e allora Supermarket vuol dire “stare su per le marchette” oppure “supermarchetta”. Poi gli “iperinterpreti” hanno pensato che significasse anche “supermercato delle idee”; ma non siamo mai andati così oltre. Però, si sa, i nomi migliori sono poi quelli ai quali tutti sono disposti ad attribuire significati che magari non hanno».
Com’è nato il titolo dell’album “Portobello”?«Il titolo è nato da una discussione amichevole con il musicista e compositore Mirco Mariani, con il quale collaboro al progetto Extra liscio. Fondamentalmente, unisce il mio soprannome, e quello di tutti i componenti della mia famiglia, Portone, con l’aggettivo “bello”. È stato proprio Mirco a dirmi: “Ti chiamano Portone, sei un bel ragazzo, chiamalo Portobello!”. Nonostante possa sembrare una sciocchezza, il termine ha questo elemento di colore che tutto sommato non è troppo lontano da ciò che l’album vuole evocare. E, poi, è funzionale. Ne avevamo altri ma erano o pretenziosi o macchinosi, non funzionavano».
Nel panorama odierno l’utilizzo della musica esclusivamente strumentale è una scelta innovativa. Si potrebbe dire che è un modo tutto vostro di raccontare e di parlare al mondo?«Sì, è vero. Infatti, uno degli obiettivi del nostro disco era di creare una narrazione senza fare uso di testi, contando sul fatto che la melodia possa avere una dimensione cognitiva che ti può accompagnare in un viaggio come se fosse un racconto, anche se non ha le parole. Tutti i brani sono nati all’interno di una trama, della quale naturalmente non saprei parlare perché, essendo completamente strumentale, si distingue da un testo scritto. Ciò non toglie che è sicuramente una descrizione. Era uno degli aspetti cui tenevo di più, perché comunque fare una collezione di brani strumentali che non avessero alcun sottotesto non mi interessava: ho sempre pensato che la musica debba raccontare qualcosa. E quindi ho fatto un disco cantautorale senza nessuno che canta, o, per lo meno, spero di averlo fatto».
Le vostre canzoni sono una vera e propria combinazione di generi. Da dove nasce l’idea di unire sonorità così differenti?«Quello che vogliamo creare con il nostro concerto è appunto una narrazione che possa essere in qualche modo percepita da chiunque. Proprio per questo non facciamo differenza tra i materiali più alti e quelli più bassi. Tutto è unito, mescolato e trattato nel medesimo modo e con la medesima priorità. L’obiettivo è quindi cercare di portare frammenti di tutte le musiche del mondo all’interno di un racconto che renda chiaro il messaggio. La chiamiamo World music romagnola proprio perché al suo interno i contributi di tutte le musiche sono trattati come se avessero lo stesso livello di dignità. Liscio romagnolo, cumba, calypso, free jazz, tutto è di pari rispettabilità, da organizzare e mettere insieme. In tale maniera la musica risulta gradita anche al pubblico più impensabile».
Anche la scelta della produzione con l’etichetta L’Amor Mio Non Muore, che si occupa di registrazioni analogiche, è una decisione innovativa. Ha forse uno scopo particolare?«Indipendentemente dal suono registrato su nastro – che io apprezzo molto, soprattutto quando una band suona insieme – questo tipo di registrazione, dal vivo, su bobina e con apparecchi antichi, è stata dettata dal fatto che imponeva una velocità produttiva. A ciò si unisce un certo modo di intendere la creazione di un disco che, da un certo punto di vista, tutti trovavamo anche più etica rispetto a come si usa adesso. Noi siamo infatti un gruppo che è nato sul palco, non abbiamo mai fatto una prova in vita nostra e quindi ci sembrava un po’ una barzelletta presentarci con una registrazione in multitraccia con centomila ospiti – che avremmo potuto avere, visto le numerose conoscenze nell’ambiente romagnolo. Ci sembrava quindi più corretto adeguarci al modo di vendere dischi quando si suona dal vivo. Inoltre il desiderio è di restituire a chi compra il nostro prodotto esattamente il nostro concerto. La registrazione sul nastro permette di ottenere quella naturalezza della musica suonata insieme che con il digitale è più difficile da raggiungere. Questo non significa che l’analogico sia meglio del digitale, che ha anzi dei vantaggi dei quali non abbiamo potuto usufruire. Abbiamo però rinunciato a essi per guadagnare una semplicità, un colore di musica e di insieme che con i nastri e con certi apparecchi si riproducono facilmente. Poi magari il prossimo disco lo registreremo tutto in digitale. Non c’è alcun pregiudizio».
Si potrebbe quindi affermare che avete creato un vostro modo di intendere la musica?«Sicuramente noi abbiamo inaugurato un’idea personale di concepire la musica, cioè di portarla da tutte le parti, non solamente nei live club deputati a quella indipendente. Siamo abituati a condurre il nostro concerto praticamente ovunque. Questo proprio perché pensiamo che la musica vada suonata anche fuori dai suoi ambienti dedicati – che tra l’altro ultimamente soffrono di una crisi abbastanza evidente – e che debba essere tutto sommato popolare, e quindi, in un certo senso, portata dove c’è questo famigerato “popolo”».
Non avete dunque un pubblico ideale a cui volete rivolgervi?«No, infatti. In fin dei conti il nostro concerto è pensato per tutti: all’interno ci sono momenti di cabaret che possono far ridere mamme e bambini, uniti a momenti di sperimentazione radicale che invece sono apparentemente destinati a chi è più colto. Noi però cerchiamo di creare un racconto nel quale anche i momenti musicali più difficili si ritrovano spiegati all’interno di una narrazione accessibile a chiunque».
Qual è la vostra idea di concerto e quando il pubblico potrà sentirvi ancora?«Diciamo che abbiamo creato come due livelli di live. Uno, più di settore, per specialisti, che portiamo nei live club – unanimemente intesi – e di cui segnaliamo le date sul sito ufficiale www.supermarket-music.it. Sulla nostra pagina dei concerti troverete sempre e comunque come data Milano San Siro sold out, una sorta di auspicio che ci piace immaginare possa essere vero. Un altro livello invece, più anarchico, è di solito pubblicizzato tramite Facebook o altri canali meno istituzionali. Sono questi i concerti che tendiamo a portare un po’ dappertutto e nei quali siamo capaci di fare anche un’ora di musica con due soli brani; tutto il resto è una forma di intrattenimento surrealista un po’ radicale che abbiamo inventato noi. Per quanto riguarda le prossime date, naturalmente vorremmo fare anche l’Olimpico [stadio di Roma, ndr] perché non abbiamo pregiudizi nei riguardi della capitale; per il Madison Square Garden di New York, invece, stiamo valutando se ha la dotazione tecnica sufficiente per poter supportare un concerto come il nostro e poi per il resto vedremo [ride, ndr]».
Le immagini: la copertina dell’album Portobello; foto di Alfredo Nuti dal Portone; Alfredo Nuti dal Portone con Marcello “Gianduia” Detti; il logo di L’AmorMio Non Muore; un’immagine del concerto al Tpo, Teatro polivalente occupato di Bologna, la sera di domenica 25 settembre 2016.
Alessandra Darchini
(LucidaMente, anno XI, n. 131, novembre 2016)