Nella regione della Kroumirie et Mogods, in Tunisia, c’è chi investe sul proprio Paese valorizzandolo e contribuendo a diffondere modelli e pensieri innovativi
Appena si esce da Tunisi in direzione ovest, verso l’Algeria, quello che si nota subito è il paesaggio che cambia continuamente: pianure e campi coltivati si alternano a colline brulle, a foreste di pini e querce che finiscono direttamente in mare. La regione della Kroumirie et Mogods, che si estende nei governatorati di Beja, Bizerte e Jendouba, colpisce non solo per la sua varietà locale ma soprattutto perché, nonostante ci si trovi a poco più di un’ora di volo dall’Italia, si è catapultati in un’altra epoca e in un altro mondo.
La Tunisia sta attraversando un’importante transizione: qui, nel 2010, dopo che il giovane venditore ambulante Mohamed Bouazizi si dette fuoco nella città di Sidi Bouzid in segno di protesta contro il regime, è iniziato il movimento di rivolte popolari chiamato “Primavera araba”, estesosi successivamente in molte altre nazioni “arabe”. Dall’evento è scaturita la rivoluzione che, nel 2011, ha portato alla destituzione del presidente Zine El-Abidine Ben Ali. La Tunisia è l’unico tra i Paesi interessati dalla Primavera araba (si pensi a Egitto, Siria e Libia) in cui si sia instaurato un regime democratico, seppure ancora molto debole (si legga qui). La rivoluzione ha indubbiamente generato conseguenze positive, per lo più riconducibili alla sfera dell’autonomia e dei diritti umani (libertà di espressione, di associazione, di creazione di partiti politici), fortemente limitati sotto il regime di Ben Ali, ma è innegabile la presenza di aspetti negativi, alcuni dei quali “ereditati” dal governo precedente: la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti sono peggiorati e, a oggi, praticamente inesistenti (l’immondizia ricopre strade, campi, spiagge), mentre persistono la disoccupazione (intorno al 15,5%, secondo i dati Ansa Med), l’alto tasso di analfabetismo (soprattutto nelle regioni occidentali e centrali) e la corruzione (specie nell’apparato burocratico).
In questo contesto difficile e frammentato è diffuso nella popolazione un sentimento di frustrazione che, per alcuni, soprattutto i giovani, si traduce nel desiderio di lasciare il Paese, alla ricerca di condizioni migliori. Ci sono però anche esperienze che vanno nella direzione opposta, come quella di chi ha deciso di investire nella propria terra, sviluppando programmi che non solo contribuiscano a far ripartire l’economia, ma siano anche degli strumenti per diffondere tra i connazionali principi e modelli nuovi. È il caso di MaTerrE, marketing territoriale per l’impiego, promosso dalla Ong bolognese Cefa – molto attiva in Tunisia con diversi progetti – con il sostegno dell’Unione europea e della Regione Emilia-Romagna.
MaTerrE, attivo dal 2014 e in chiusura a metà novembre 2018, nasce con l’obiettivo di generare occupazione nella regione della Kroumirie et Mogods – una tra le più povere della nazione ma con un altissimo potenziale turistico grazie alla sua varietà naturale e culturale – attraverso attività imprenditoriali nel settore del turismo responsabile. In questi quattro anni il Cefa ha selezionato e accompagnato, economicamente e facendo formazione, 13 piccole imprese del territorio sviluppate da ragazzi e ragazze under 35; tali realtà, insieme ad altre già attive, costituiscono un circuito turistico che attraversa la Kroumirie et Mogods da est a ovest e da nord a sud. È possibile fare trekking o escursioni in bicicletta nelle foreste di Ain Draham con Mohamed Azizi, fondatore della startup Base Nature, o scoprire i fondali e i dintorni di Sidi Mechreg con Imed Abbassi di Eco-Rand; e, ancora, acquistare oli essenziali e altri prodotti naturali da Sara Ncibi di Flora Natura e Amel Marzouk di Tunaroma, oppure scoprire l’artigianato locale realizzato da Maher Arfaoui di Kroumira con materiale di recupero.
Le attività, pensate per piccoli gruppi nel rispetto della natura e della storia, consentono di immergersi totalmente nell’atmosfera tunisina, grazie all’incontro diretto con le persone del luogo. L’aspetto più interessante del progetto è il lavoro che ragazzi e ragazze stanno facendo all’interno del proprio Paese e verso i loro connazionali, promuovendo e salvaguardando territorio e tradizioni e cercando di diffonderne la cultura.
Il tipo di turismo oggi più diffuso nel Nord Africa, infatti, è quello “da resort”: sono ancora pochi i tunisini che preferiscono un weekend in campeggio, immersi nella natura, alla comodità e all’asetticità di hotel con piscina; sono ancora pochi i tunisini che hanno piena consapevolezza del rispetto e della salvaguardia dell’ambiente, di che cosa significhino e perché si rendano necessari. Proponendo una tipologia alternativa di viaggio, queste piccole realtà stanno compiendo una innovazione non solo nel settore, ma anche nel pensiero: stanno cioè generando un cambiamento e un impatto sul territorio; offrono esperienze nuove e diverse ai loro connazionali, abituati al turismo di massa; donano una visione nuova della propria terra e della tradizione, che viene riscoperta dagli stessi abitanti; fanno luce su alcune problematiche nazionali, provando a creare una cultura, per esempio sul rispetto dell’ambiente. Costituiscono l’esempio di una Tunisia che resiste e sceglie di investire, seppure tra mille ostacoli e difficoltà, per rinnovarsi dal basso, anziché arrendersi e inseguire il sogno di una vita migliore all’estero.
Le immagini: foto scattate da Lorenzo Burlando durante una visita in Tunisia nell’ambito del progetto lo scorso settembre.
Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XIII, n. 155, novembre 2018)