Uomo uguale maltrattamento delle donne? O pregiudizio ideologico veterofemminista e “politically correct”? Al riguardo abbiamo intervistato Alberto Leiss di Maschile Plurale, associazione nazionale che si pone come obiettivo di lottare contro la mentalità che sta alla base delle “violenze di genere”. Intanto, lo scorso 8 marzo…
«Una funzione di servizio alla rete nazionale di uomini e gruppi che si riconoscono in un percorso comune di cambiamento rispetto ai paradigmi della mascolinità sessista e patriarcale». Questo è l’obiettivo che si pone l’Associazione nazionale Maschile Plurale, nata a Roma nel 2007, con vari centri sparsi un po’ in tutta Italia, da Bari a Torino, da Verona a Palermo.
Spulciando le pagine del sito dell’associazione, si può avere l’impressione di essere saliti su una macchina del tempo ed essere stati trasportati nella rissosa Italia tra il 1968 e il 1977: femminismo bellicoso, documenti ideologici, manifestazioni, cortei, gruppi di autocoscienza, liberazione del vissuto emozionale, fustigazione del maschile, ecc. ecc. E tanti riferimenti che ci appaiono retrò. A cominciare dall’epigrafe del portale, «raffina i sentimenti / trasgredisci i rituali», che altro non è che la citazione di due versi di una canzone (Manifesto, dall’album Socialismo e barbarie, 1987) dei Cccp Fedeli alla linea. Un brano il cui testo inizia con «I soviet più elettricità» e finisce con «Ta-yung prese un altro razzo / girò il bazooka / mirò alla jeep». Però, come abbiamo visto in un articolo (Da veterocomunista a fra’ “Lindo” Ferretti) apparso sulla nostra rivista, l’ex leader del peraltro pregevole gruppo reggiano si è convertito alla fede cattolica tradizionalista e al conservatorismo. Da un eccesso all’altro, si potrebbe affermare. Che, invece, Maschile Plurale sia rimasta invece davvero fedele alla linea (sessantottina più che leninista)?
Per sgomberare in via preliminare il campo da ogni equivoco, affermiamo con forza che ogni assassinio di una donna per mano di un uomo per motivi passionali (il cosiddetto femminicidio) è un abominio e che ben venga ogni iniziativa che possa, se non eliminare, attenuare il fenomeno e combattere l’idiozia degli uomini (e delle donne) fermi agli atavici stereotipi di Bulli e pupe. Pertanto, se Maschile Plurale può dare un contributo in tal senso, va benissimo! Tuttavia, visto che viviamo nel 2017 e non negli anni Cinquanta dell’Italia del “delitto d’onore”, dei matrimoni riparatori (caso Franca Viola) e del più bieco bigottismo democristiano, qualche perplessità sorge. Ideologismi fuori dal tempo?
Per saperne di più, abbiamo chiesto a Maschile Plurale di poter sentire un suo esponente. Dopo alcuni tentennamenti, ecco che abbiamo potuto confrontarci con Alberto Leiss, che ringraziamo. Una lunga conversazione, resa comunque piacevole dal tono gentile, pacato e colto dell’intervistato. Nato a Genova 66 anni fa, di origine mitteleuropea, ex giornalista de l’Unità, portavoce di Comune e Regione Liguria fino al 2015, attualmente Leiss cura una rubrica su il manifesto. Ha scritto vari libri. Per quanto concerne l’argomento che stiamo trattando, ha pubblicato, con Letizia Paolozzi, La paura degli uomini. Maschi e femmine nella crisi della politica (Il saggiatore, 2009). Oggi è anche tesoriere di Maschile plurale (presidente è Alessio Miceli, coordinatore dei progetti Stefano Ciccone, mentre Sandro Casanova si occupa di didattica e formazione).
Dottor Leiss, data la sua carica di tesoriere di Maschile Plurale (e visti i continui scandali sui finanziamenti ad associazioni, cooperative, “enti benefici”, e loro uso “distorto”), la prima domanda è d’obbligo. Come si finanzia l’associazione nella quale lei ricopre tale rischioso ruolo?«Specifico che Maschile Plurale è un’associazione senza scopo di lucro. Anzi, più che un’associazione è una rete, nata già prima del 2007, a seguito di un appello contro la violenza maschile del 19 settembre 2006. Le risorse finanziarie provengono dal tesseramento, dalle libere donazioni e dal finanziamento di enti pubblici in sostegno di nostri progetti».
Allora, possiamo subito iniziare il discorso sulle attività di MP…«Abbiamo introdotto nelle scuole il Five men project, cinque filmati che narrano l’immaginaria vicenda di cinque uomini tentati dal commettere violenza sulle loro compagne; organizziamo seminari; collaboriamo con centri antiviolenza; incoraggiamo relazioni di scambio tra uomini. Chiarisco, peraltro, che MP non è un centro terapeutico per uomini autori di violenze sulle donne. Per questo tipo di azione vi sono in Italia altre strutture specifiche. Inoltre, produciamo pubblicazioni, che peraltro appartengono ai singoli autori e non alla nostra associazione».
Nei documenti di MP ricorrono spesso termini come “patriarcale”, “sessismo”, ecc. Non le sembra un lessico appartenente a ideologie trapassate?«Dappertutto possono esserci eccessi ideologici. Nel nostro caso, non si tratta di una posizione ideologica, ma di uno stimolo a processi di trasformazione. Il femminismo rientra nelle lotte generali di emancipazione, per la libertà e l’autonomia di tutti, donne e uomini. E, secondo me, è quella più radicale. Occorre superare la logica della separazione. Ma questo potrà avvenire cambiando mentalità e migliorando le relazioni tra uomini e con le donne. Certo, la realtà italiana odierna è diversa da quella degli anni Cinquanta. Ma permangono forti discriminazioni verso le donne. Basti pensare, in campo lavorativo, alla minore occupazione e ai salari più bassi. E alle 200 donne circa che ogni anno vengono uccise in Italia».
Sono uccise da italiani o prevalentemente da stranieri?«La maggioranza delle violenze sono commesse da nostri concittadini».
Tuttavia, soprattutto nei paesi del Nord Europa e anglosassoni, sorgono come funghi centri per Uomini maltrattati (da donne)…«Non ho esperienze in tal senso. Certamente la violenza non è prerogativa assoluta del solo maschio».
Come mai nel portale di MP vi è un link GLBTQI?«Perché la diversità è una ricchezza e aiuta a creare spazi di consapevolezza ai fini di una vita personale più libera».
E c’è anche il link Prostituzione e tratta. Ebbene, dai dati ufficiali, come quelli della Commissione Affari sociali della Camera, esposti anche in nostri articoli (vedi, tra gli altri, Prostituzione senza moralismi bigotti o “Professoressa? Meglio prostituta!”), appare certo che la maggior parte delle sex workers svolga la propria attività liberamente e con notevole consapevolezza e profitto. Del resto, come recita il libro di Annalisa Chirico, forse non Siamo tutti puttane (Marsilio)?…«Le opinioni al riguardo sono varie. Non abbiamo una posizione moralista. In un incontro a Torino si è parlato di cosa pensino gli uomini del fenomeno. Certo, è innegabile che le prostitute, africane ma non solo, siano sfruttate e brutalizzate. Un maschio che va con una prostituta non dovrebbe mai rimuovere il fatto che potrebbe incontrare una donna vittima della tratta, magari una minorenne. C’è una corresponsabilità».
Crisi della figura paterna e femminilizzazione della società. Tra gli altri, ne parlano rispettivamente lo psicologo progressista Massimo Recalcati ne Il complesso di Telemaco (Feltrinelli) e un polemista francese considerato di destra (La crisi dell’universo maschile secondo Éric Zemmour)…«Nel caso di Zemmour, ho l’impressione che si tratti di paure, fantasmi. Per quanto riguarda, invece, la figura paterna, tendiamo a un modo diverso di essere padri, con maggior disposizione e interesse da parte degli uomini verso sentimenti di tenerezza e fragilità».
Vi sono anche donne in MP?«Sì. Alcune sono iscritte all’associazione. Inoltre, siamo in stretto rapporto coi centri femminili antiviolenza e con il Centro di ascolto uomini maltrattanti».
E stranieri, in particolare islamici?«No, tranne qualche piccola esperienza di contatti con comunità straniere a Pinerolo e a Pordenone».
Non è sempre presente il rischio di manicheismo uomini cattivi e carnefici / donne buone e vittime?«In MP vi sono uomini non del tutto buoni, ma che vogliono mettersi in discussione. L’importante è favorire la relazione uomini-donne».
Non è molto forte la possibilità che MP rientri nel calderone del famigerato politicamente corretto?«Se per politicamente corretto si intende un’ideologia, no. Invece sì, se la si interpreta come buone maniere, civili, educate e rispettose, quindi un antidoto alla scorrettezza e alla volgarità politica dominanti».
Però, certe posizioni troppo intellettualistiche vengono considerate dagli analisti tra le cause della vittoria di Donald Trump e della prepotente avanzata in Europa dei movimenti cosiddetti populisti…«È certo. L’eccesso di distanza delle sinistre dalle condizioni materiali di chi sta peggio e dal ceto medio impoverito favorisce gli avversari politici. I leader progressisti hanno perso di vista i buoni sentimenti e il senso comune della classe piccolo-borghese. Lo scriveva Cristopher Lasch già negli anni Novanta. E non si sono resi conto di cosa stava avvenendo con la globalizzazione selvaggia».
Ultima domanda, legata alla strettissima attualità. Cosa pensa dello “strano” sciopero generale dello scorso 8 marzo, proclamato dai vari Cobas e da Cgil Flc, che ha unito rivendicazioni sociali e di genere. È stato un successo?«Direi di sì. In tantissime città del mondo decine di migliaia di donne, e con loro molti uomini, soprattutto giovani, hanno manifestato contro la violenza maschile, gli stereotipi di genere, e per una vita e un lavoro migliori, contro la precarietà, per un’assunzione comune dei lavori di cura. Ma la politica tradizionale e anche i sindacati fanno fatica ad accorgersene».
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XII, n. 136, aprile 2017)