Un tragico ritratto del livello culturale nel nostro Paese nel libro “Ignoranti” (Chiarelettere) di Roberto Ippolito
Gente che non sa distinguere una lettera ufficiale da una di infame propaganda elettorale e va in posta a ritirare il rimborso dell’Imu. Editori e direttori di giornali che dicono ai redattori di non stare a perdere tempo a rivedere e correggere gli errori, “ché tanto nessuno se ne accorge”. Quiz televisivi con concorrenti assolutamente non in grado di orientarsi in elementari cronologie storiche.
Ci eravamo tutti da tempo accorti della caduta culturale dell’Italia e del suo sfacelo. Ignoranti. L’Italia che non sa. L’Italia che non va (Chiarelettere, pp. 192, € 12,90) di Roberto Ippolito non fa che confermare con precisione e puntualità tale impressione. Un libro che sarebbe esilarante nella narrazione dei casi riportati: Silvio Berlusconi che dichiara di non leggere romanzi da decenni, strafalcioni di parlamentari (sempre più in calo gli eletti dotati di diploma di laurea), giornalisti, speaker. Purtroppo, oltre agli aneddoti, ci sono anche i dati: tagli dello Stato alla cultura, fino a giungere al 25% in meno di quanto si investiva nel secondo dopoguerra; metà degli italiani che ha solo la licenza di scuola media; solo rumeni, bulgari e greci usano il computer meno di noi; il 60% dei nostri connazionali non si è mai recato a una mostra o a un museo; in vari concorsi e test di ammissione nessuno supera le prove-base.
Si tratta, allora, di uno scenario inquietante, che denota la caduta verticale di una nazione. Anche perché, mentre l’innalzamento culturale portò tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso al boom economico, l’ignoranza in espansione si accompagna alla depressione della nostra economia. E non è colpa solo delle cafonerie del centrodestra: anche il governo tecnico di Mario Monti ha mostrato poca sensibilità verso cultura, scuola, insegnanti. Non si salvano neanche i privati o le sinistre. Istruzione e cultura stanno alla base della crescita di un paese. Ma se gli ignoranti rappresentano la classe dirigente e la maggioranza politica (e il livello culturale dei neoeletti grillini, cresciuti tra internet, blog, social network, chat e simili, non sembra altissimo), che speranza ci può essere?
(n.m.)
(LucidaMente, anno VIII, n. 87, marzo 2013)
Sono anni che va così! Solo ora qualcuno nota il fenomeno?
Guardate gli ignoranti del MIUR (Ex Gelmini in testa) che tessevano lodi alla tecnologia italiana in occasione della “galleria realizzata” da Ginevra al Gran Sasso.
O forse del fenomeno si sapeva anche prima ma i Governi sono sempre stati zitti perchè la gente colta ed istruita è una minaccia per governanti idioti?
Tutta colpa della tecnologia o siamo al superamento di un modello gutenberghiano?
Ma cosa ha misurato l’OCSE? Che strumenti usa? Servono questi test?
Quali sono le nuove competenze per la nuova Digital Society, che richiede nuove figure professionali post fordiste, tayloriste?
La società digitale modifica le nostre capacità cognitive verso forme di intelligenza utilitaristica, più veloce e rapida, capace di multitasking e simultaneità, meno concentrata e analititica, ciò che per alcuni può essere definita NetIntelligenza.
Stiamo “evolvendo” verso un’intelligenza fluida, utilitaristica, che meglio si adatta al mondo/società digitale, una intelligenza capace di trovare un senso nella confusione delle informazioni mediali (multitasking).
Il problema allora è il pericolo dell’ Analfdigitalismo più che dell’Analfabetismo?
Prof Daniele Pauletto
http://mentelab.blogspot.it/
Gentilissimo prof. Pauletto, le sue considerazioni sono valide, ma quella verso cui stiamo “evolvendo” è un’intelligenza dominata da velocità e ansia, senza spirito critico e gusto del bello, funzionale al potere economico-finanziario.