Pietro Marcello regista politico fra sperimentazione e tradizione. Il suo film, tratto dal romanzo di Jack London è stato presentato a Venezia, dove il protagonista Luca Marinelli ha vinto la coppa Volpi
Riadattare cinematograficamente un romanzo di Jack London per l’Italia di oggi? Ci è riuscito il regista Pietro Marcello con Martin Eden, presentato alla 76ª Mostra del cinema di Venezia e distribuito in sala dallo scorso 4 settembre. Il film, che è valso al protagonista Luca Marinelli la coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, è in realtà più che una semplice trasposizione.
Nell’opera, del 1909, l’autore statunitense racconta di un incolto marinaio californiano che, per amore della giovane borghese Ruth, decide di diventare scrittore. Un rocambolesco percorso formativo porta Martin a intersecare i sommovimenti politici a lui contemporanei, di matrice ora socialista, ora anarco-individualista. Il successo editoriale non tarda ad arrivare ma porta con sé dubbi e ripensamenti: Martin si ritrova a meditare sul suicido dell’amico e maestro Russ Brissenden e sulla fine dell’amore per Ruth. Ormai ricco, solo e annoiato dal proprio egoismo, così lontano dalle passioni sociali di un tempo, Martin si risolverà per una scelta drastica. Il film, sceneggiato con Maurizio Braucci dallo stesso Marcello, segue il romanzo nella storia e nei personaggi, mantenendone i nomi anglosassoni.
A cambiare, in apparente contrasto logico con l’ambientazione, è però innanzitutto lo scenario: da Oakland, California, a una Napoli gonfia di personaggi pittoreschi ed espressioni popolari. Il periodo non è più l’inizio del Novecento, ma un tempo indefinito in cui abiti contadini e armi d’epoca convivono con elettrodomestici. La stessa lingua subisce continue mutazioni, dal napoletano volgare al milanese brianzolo, così come l’aspetto del versatile attore protagonista.
A sorprendere ulteriormente sono le scelte registiche. Marcello, reduce da una carriera come documentarista, gioca con le possibilità del mezzo cinematografico. Così, se la qualità della pellicola cambia in funzione dei momenti, anche gli innesti descrittivi fanno da contrappunto allo sviluppo narrativo vero e proprio. Un irriverente ricorso alla musica pop aumenta la sensazione, per lo spettatore, di trovarsi ovunque e da nessuna parte. Il significato politico dell’opera, che verte sul rapporto fra individuo e impegno collettivo, viene sempre sottinteso senza mai essere dichiarato. La tematica è tanto vicina a noi quanto eterna: se con il postmodernismo le grandi ideologie sembrano lettera morta, Martin Eden pare dirci che queste sono invece sempre presenti, proprio perché inattuali.
Marcello in tal modo tenta una terza via fra le favole ideologiche di Pier Paolo Pasolini e le denunce in forma cinematografica di Elio Petri: del primo riprende il gusto per il pastiche linguistico e temporale, del secondo rifiuta l’esplicitezza militante. Martin Eden, atipico e innovativo, è un film coraggioso che sa essere colto senza rinunciare all’accessibilità: un ottimo risultato per il cinema italiano, troppo spesso accusato di districarsi a fatica fra la banalità, l’autobiografismo e l’intellettualismo fine a se stesso.
Le immagini: la locandina del film e un primo piano dell’attore Luca Marinelli, tratto dal film.
Michele Piatti
(LucidaMente, anno XIV, n. 165, settembre 2019)
Ringrazio Michele Piatti per la recensione che mi ha stimolato a vedere il film in oggetto, offrendomi altresì una premessa interpretativa. Mi avventuro a dire che il personaggio assume, verso la fine, tratti viscontiani-manniani-nietzscheani: il dente guasto, ad esempio, i toni isterici (Ludwig) e la citazione della “bionda bestia”. Ancora grazie!