Le battaglie per i diritti, le provocazioni, gli scioperi della fame: cosa resta del leader radicale e del “suo” partito
Il 19 maggio di un anno fa ci lasciava Marco Pannella: a 86 anni, più di 60 dei quali passati nella lotta per i diritti civili (vedi Marco Pannella, il “disobbediente civile”). Un pensatore eclettico, al di là delle ideologie intransigenti e dogmatiche, che ha fatto della nonviolenza gandhiana una bandiera. Fu sostenitore di una lotta politica concreta, non necessariamente coerente, ma viva e mutevole, veicolata attraverso forme inedite di disubbidienza civile. Cosa ci resta di uno dei leader più carismatici della politica italiana (vedi pure Il fascino, la virtù e la forza di Marco Pannella)?
«I suoi pacchetti di sigarette, le sue cravatte e due buchetti a Riccione che non ha fatto a tempo a vendere e che andranno ai parenti. E così è finito il patrimonio di Pannella» ha dichiarato Maurizio Turco, per dieci anni tesoriere del Partito radicale, in un’intervista al Corriere della Sera: «L’eredità di Marco sono le sue lotte politiche, dunque andrà a chi le porterà avanti». Il problema sta nel trovare un successore. Diego Galli, nel suo libro Pannella. La vita e l’eredità (Castelvecchi editore, 2016), afferma che Pannella non ha lasciato «dietro di sé alcun erede politico, e neanche una procedura affinché possa essere selezionato in futuro». Il partito è rimasto orfano, incapace di andare avanti privato della leadership carismatica, a tratti mistica, del suo creatore.
Nato nel 1930 a Teramo, Pannella iniziò la sua carriera politica negli anni universitari, diventando nel 1952 presidente dell’Unione goliardica italiana. Nel 1955 fu fra i fondatori, insieme a personalità come Guido Calogero, Leo Valiani, Eugenio Scalfari, del Partito radicale, del quale fu segretario e presidente a più riprese. I radicali non furono mai al governo, ma, attraverso lo strumento referendario, vinsero molte battaglie per la libertà e l’autodeterminazione dell’individuo. Battaglie condotte da Pannella senza esclusione di colpi, con una propaganda politica inedita, terrena, dolorosa. Fra le conquiste più importanti, si ricordano il divorzio (1974), l’aborto (1978), la depenalizzazione dell’uso personale di sostanze stupefacenti (1993), l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (1993).
«Nessun partito ha dedicato tanto tempo e spazio alla discussione sulle modalità di azione come hanno fatto i radicali» sentenzia Galli. Una ricerca continua di strumenti di lotta politica, atti a creare uno spazio nel dialogo politico bipolare. Un dialogo inedito, che avesse come interlocutore il popolo e non i partiti. Da qui, la scelta di strumenti di democrazia diretta, come il referendum, e di propaganda di massa, veicolata da Radio radicale e poi da internet. La rilettura dei metodi gandhiani di disubbidienza civile fu tradotta in prolungati scioperi della fame e della sete, volti a scuotere l’opinione pubblica, più che a sensibilizzare. Una politica vista come «praxis, cioè come riflessione a partire dall’azione, invece che come astratta elaborazione teorica».
Come un profeta laico, Pannella rifiutava la corporalità, si mostrava davanti alle telecamere nell’atto di bere il «frutto del suo corpo». Un rito mistico, una vera e propria messa cattolica, davanti agli occhi di milioni di telespettatori. Si risvegliavano così dei valori primordiali, un simbolismo ben chiaro e definito a tutti, affinché il messaggio finale risultasse tale: la legalità è sacra. Tanto sacra, che vale il martirio. Lo descrisse così Renato Farina, in un articolo su il Giornale: «Ha detto la parola “sete” con la gola riarsa e un desiderio ancestrale. Ma c’era qualcosa di più forte, qualcosa di più umano che il suo bisogno fisico. Per una volta nella vita, le parole gli uscivano stentate, disseccate, impestate di polvere soffocante e amara. E le parole avevano il peso di quando si sta per morire».
Nonostante lo statuto del partito prefiguri un’organizzazione di tipo federativo, fatta di partiti regionali autonomi e movimenti tematici, nella pratica si raccolse e si modellò sul suo leader. Ne derivò una vera e propria idolatria per Pannella da un lato, dall’altro l’accusa di gestione totalitaria. Del resto, un movimento privo di linee guida partitiche, fondato sul dialogo diretto, sul confronto, sul congresso, è impensabile possa esistere senza una qualche forma di accentramento. La grande forza del Partito radicale si è rivelata essere anche il suo limite insormontabile. Non esiste un erede, un altro predicatore, un altro santo al suo interno, tanto che Turco, dopo le fratture del partito, seguite alla morte del suo deus ex machina, ha parlato di un vero e proprio «scisma» insanabile.
Non è dunque nel partito, il lascito di Pannella. Il partito è nato e morto con lui, almeno nella sua efficacia. Non è neanche, al contrario di ciò che afferma Turco, nelle sue conquiste e nelle sue lotte, che non sono fatte per essere sposate acriticamente, non sono trasmissibili, ma personali. Ognuno si crei la sua propria ideologia, «con quello che capita, anche a caso». Ognuno combatta la propria battaglia. Quello che resta, il prodotto di oltre 60 anni di battaglie, è una visione, una modalità nuova di agire, di combattere.
Un monito, o meglio, un comandamento: non accontentarsi del reale, non rassegnarsi a uno sterile fatalismo di fronte alle responsabilità della politica e delle istituzioni. Combattere democraticamente le prevaricazioni, unirsi e perseverare con ogni mezzo lecito. Proteggere la giustizia, come crociati laici. Per concludere con alcune accorate parole di Pannella: «Noi siamo diventati radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente, e quindi una sete alternativa profonda, più dura, più “radicale” di altri… Noi non “facciamo i politici”, i deputati, i leader, lottiamo, per quel che dobbiamo e per quel che crediamo. E questa è la differenza che prima o poi, speriamo non troppo tardi, si dovrà comprendere».
Ludovica Merletti
(LM MAGAZINE n. 30, 19 maggio 2017, Speciale Moda e viaggi, supplemento a LucidaMente, anno XII, n. 137, maggio 2017)