Secondo uno studio realizzato dall’Università Niccolò Cusano, circa tre milioni di italiani soffrono di disturbi dell’alimentazione e appena il 30% si nutre in modo corretto. Un dato che fa riflettere e che sorprende, nella patria del buon cibo
Chi lo avrebbe mai detto? Proprio in Italia, Paese che tra le sue indiscusse e molteplici meraviglie annovera il buon cibo – da nord a sud, da est a ovest –, si mangia male! A rivelarlo è l’Università telematica Niccolò Cusano, la cui sede centrale si trova a Roma e che, attraverso un’infografica, ha diffuso alcuni dati salienti in merito al complesso tema dell’alimentazione e dei disturbi che ne derivano.
Per cominciare, uno sguardo all’attualità: i poveri mangiano meglio?
In quest’ultimo periodo sono sorte molte polemiche attorno alle dichiarazioni del Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida (per saperne di più leggi qui); a tal proposito, vogliamo provare a elaborare una breve considerazione su cosa significhi “mangiare bene”. È possibile farlo, ad esempio contenendo i costi?
Per intenderci: pane, olio e sale, pane e pomodoro, pane, burro e zucchero sono oggi merende desuete e sorpassate a favore di snack confezionati (e a scapito di un corretto stile di vita), che però costano ben di più. Ma che dire dei fast food, che invece costano poco rispetto ai ristoranti tradizionali, ma non sono proprio l’emblema della salute?
Il tema è vario e controverso, perché appunto presenta contraddizioni: se da una parte il cibo “buono” inteso come “sano” – la cosiddetta dieta mediterranea – include ad esempio tanta frutta e verdura che attualmente hanno prezzi spesso proibitivi, dall’altro quello “spazzatura” sazia con una spesa di pochi euro, senza rinunciare a ingredienti colorati, profumati e gustosi ma di dubbia provenienza e ricaduta sulla salute.
Per dirla con il giornalista e gastronomo Luciano Pignataro, vi forniamo altri due assist per altrettanti spunti di riflessione: «Il cibo è una questione di cultura» e oggi «non si muore più per denutrizione, ma per le malattie provocate dal cibo: infarti e tumori».
I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione in Italia
In questo scenario gastronomico variopinto, gourmet o meno, che in cucina ci sia la nonna o lo chef pluristellato, riprendiamo le redini dell’indagine condotta da Unicusano, snocciolando alcuni dati salienti in una specie di “fotografia” di questo 2023 a tavola: circa tre milioni di italiani sono attualmente affetti da disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA), soprattutto – sfumatura preoccupante – bambini e adolescenti.
Nel 2000 i casi conclamati di DNA in Italia si aggiravano intorno ai 300 mila, mentre oggi la percentuale è salita del 113%, con un trend del +900%; malattie disfunzionali come anoressia e bulimia colpiscono ora maggiormente i maschi fino ai 14 anni, il cui tasso di ricovero – tra il 2014 e il 2018 – è aumentato del 110%; inoltre, si riscontrano patologie quali il binge eating (abbuffate incontrollate), la bulimia nervosa e l’obesità grave, con pesanti strascichi di natura psicologica e psichiatrica e conseguenti ricoveri nei reparti di pediatria e neuropsichiatria infantile, segno che la soglia d’età interessata è molto bassa.
Unicusano rileva poi che i disturbi alimentari sono diffusi principalmente al Centro-Nord (65,7% dei casi), con in testa la Lombardia, il Piemonte e la Toscana.
Vedendo il tutto anche in un’ottica più ampia, il “fattore 0” pare essere lo sviluppo economico: «Mentre i Paesi poveri dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica non sembrano essere toccati da questo fenomeno, l’Occidente si aggiudica il primato per casi ogni 100 mila persone, a confermare come questi disturbi siano bound syndromes (determinati cioè dalla cultura di ogni Paese)».
I fattori di rischio: individuali, familiari e socioculturali
Il report di Unicusano spiega poi quali sono i fattori di rischio che porterebbero a sviluppare DNA. Vi sono da annoverare certo quelli individuali (età, genere, carattere), familiari (dipendenze, disturbi ereditari, problematiche affettive, abusi, timore del giudizio altrui) e socioculturali (nell’immaginario comune la donna forte e di successo è magra e scattante). Tuttavia, diete e decontestualizzazione del cibo (tendenza a vederlo come pericoloso o velenoso, per esempio se contiene glutine, grassi, conservanti, coloranti…) «aggiungono il carico da 90» alle menti più sensibili.
Infine, si rileva che solo il 30% delle persone segue un’alimentazione veramente salutare. Per la restante percentuale, per ricollegarci a quanto scritto in precedenza su che cosa possa significare esattamente “mangiare sano”, dall’infografica emerge un consumo spropositato di zuccheri semplici e grassi saturi, di formaggi, latte e dolci e di carne, a sfavore di cereali e carboidrati.
Secondo Unicusano «carne coltivata, farine da grilli o locuste, soluzioni plant-based e regenerative food sono fattori oggi al centro di accese discussioni ma che potrebbero comportare una serie di vantaggi sia a livello nutritivo (e dunque salutare), sia a livello climatico-ambientale». Prima di questo, si dovrebbe ricordare che la chiave giusta per uno stile di vita sano, oltre a non essere sedentari, resta la moderazione nel consumo di zuccheri e grassi e la variazione della dieta cercando, se possibile e a favore di portafoglio, di acquistare a km zero. Detto ciò, ai posteri l’ardua sentenza.
Le immagini: a titolo gratuito da Pixabay e il logo dell’infografica di Unicusano sulla nutrizione.
Maria Daniela Zavaroni
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 213, settembre 2023)