Lo sfacelo della scuola pubblica del nostro Paese sarebbe una delle urgenze da affrontare con dovizia di idee, mezzi, risorse e soprattutto con serietà, pensando che stiamo predisponendo generazioni di analfabeti. La ministra Gelmini lo ha fatto, tagliando corsi, ore, programmi, insegnanti e… finanziando le scuole private. Complimenti.
Per fortuna esistono ancora migliaia di docenti, dalle elementari alle Università, che lavorano duramente per amore dell’insegnamento e per fornire contenuti, idee, metodi ai giovani, nonostante il potere politico e certi tirannici “pedagogismi” e “didatticismi” freddi e vicini alla follia facciano di tutto per impedirglielo, anzi essi devono lottare quotidianamente “contro” assurdità burocratiche che tolgono spontaneità, energie, entusiasmo, alla vera didattica.
Uno di tali insegnanti è certamente l’abruzzese Marco Iannucci, che ha trascritto le sue esperienze e le sue idee in Diario di un insegnante. Prof. e allievi si raccontano (Prefazione di Enrico Mancini, inEdition editrice/Collane di LucidaMente, pp. 284, euro 16,00 – quinto volume della collana di saggistica Gli itinerari del pensiero).
Abbiamo sentito Iannucci a proposito del suo libro e del “metodo didattico” che lo caratterizza e ci ha detto che, «rovistando tra i ricordi dei miei primi anni d’insegnamento rilevo che, sul piano metodologico, ho spesso privilegiato forme alternative alla lezione, le quali agevolassero l’iniziativa culturale degli allievi, favorissero il carattere di reciprocità e di scambio dei loro rapporti e ne arricchissero la fiducia di lavorare autonomamente; sul piano relazionale, poi, ho cercato, con i miei allievi, di essere severo ma non rigido, benevolo ma non privo di energia. Tuttavia, non di rado ho assunto una condotta ondivaga, anche se mi sono sempre preoccupato di trasmettere loro un’idea di studio diversa da quella che mi ha accompagnato da studente e nei primi anni di insegnamento, recuperandone il significato etimologico di una attività piacevole per se stessa… Non è cambiata la scuola, ma i ragazzi sì, eccome! E si fa tanta fatica a star loro dietro; si coglie sempre più il loro disagio, la loro mancanza di motivazioni, il loro continuo scantonare, dribblare gli ostacoli». Sante parole, prof!
Diario di un insegnante è altresì preceduto da un’interessante Prefazione di Enrico Mancini, che riportiamo di seguito per intero.
Non sempre la prefazione fa un buon servizio al libro e al suo autore. E, dovendo individuare una delle forme più inique di prefazione, opterei per quella che anticipa e chiosa contenuti del libro, assumendo di fatto la posizione ambiziosa di recensione – sia pure sotto mentite spoglie – che presenta “un” punto di vista come “il” punto di vista che debba orientare lo sprovveduto lettore. Non è questo, in fin dei conti, che ci propinano diuturnamente i critici letterari o d’arte, i c.d. musicologi “con le dande” (di adorniana memoria) che attraverso i media, anziché fornire strumenti d’analisi al fruitore, ne inibiscono l’autonomia del giudizio, operando in realtà una funzione di “occultamento” al soldo di forme di potere?
Insomma, la prefazione che fa un cattivo servizio al libro e all’autore finisce per farne uno davvero pessimo al lettore.
Lascerò, quindi, intonsa la scoperta dei tanti temi che si annodano in queste pagine di diario. Diario in senso proprio, giacché il Diario di un insegnante di Marco Iannucci è un vero diario, non una finzione narrativa. E un vero diario rispecchia piuttosto persone che personaggi. Se poi si tratta di un diario a più mani, ha un doppio marchio di autenticità, perché prima che ai lettori si rivolge scambievolmente agli autori stessi, che tengono anche il ruolo di mutui garanti.
L’abitudine di leggere l’uno all’altro le pagine di diario ha radici religiose nel pietismo tedesco, e come forma letteraria attira i romantici: si pensi emblematicamente all’ardente diario a quattro mani di Clara e Robert Schumann. Ma il diario sul modello di quello degli Schumann rimane una variante di epistolario, mentre nella ritualità domenicale protestante era contemplata la presenza dei fedeli, ossia dell’Altro testimone.
Ciò che caratterizza il Diario di Iannucci è a mio avviso proprio il recupero, in versione laica, della confessione pubblica, cogliendo il valore della dimensione fatica con una sensibilità che avevamo già avuto modo di apprezzare nella sua opera precedente La preghiera laica. Un modo di ascoltare, capire e amare gli adolescenti (Edizioni Tracce, Pescara 2004). Quella “preghiera laica” – espressione mutuata da Hegel per definire la lettura del giornale da parte dell’uomo moderno – che contrappunta eterofonicamente questo diario – quasi diario nel diario – restituendoci il ritratto di una scuola che non è solo trasmissione codificata, ma in cui l’insegnante è consapevole che comunque trasmette qualcosa di sé. Consapevolezza che rende consci anche gli alunni, in un gioco “illuminista”, dove le regole si apprendono a carte scoperte: questione di etica. D’altronde, non si è detto che l’insegnamento o è etico o non è insegnamento?
Uno dei mali della scuola più sottovalutati – senza voler minimamente discolpare i centri di potere, che lungi dal ritenerla inutile hanno ben d’onde della funzione d'”onnubilamento” della ragione (di cui sopra) che essa può esercitare – è la “cronicità” degli insegnanti: un male resistentissimo, che vive proiettando all’esterno ogni responsabilità. Questa testimonianza di vita nella scuola e per la scuola ci dimostra che una siffatta cronicità non è ubiquitaria. Ci auguriamo che non sia neppure inguaribile e che il “diario di bordo” che vi apprestate a leggere possa avere significato “terapeutico”. Perché un vero insegnante è un terapeuta, sia pure “inconsapevole”, che lavora fuori da una tecnica canonica. E si sa che una terapia della psiche funziona nonostante la tecnica, che per lo più rappresenta un ostacolo al cammino della cura.
Con questo punto d’arrivo, il professore di filosofia e storia Marco Iannucci chiude niccianamente il cerchio della sua vicenda scolastica “ufficiale”, ritornando ai giovanili desiderata professionali nel segno aristotelico. Ma certi punti d’arrivo sono come crinali che aprono più ampi orizzonti.
(Enrico Mancini, Prefazione a Marco Iannucci, Diario di un insegnante. Prof. e allievi si raccontano, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina del saggio di Marco Iannucci.
Viviana Viviani
(LucidaMente, anno VI, n. 64, aprile 2011)