’Europa piange il crollo della Grecia e della Spagna, ma domani magari toccherà all’Italia e dopodomani a chissà chi. Sono molti i correttivi da adottare
Gli errori della grave crisi europea sono politici e sono generali. Quelli degli Stati Uniti non sono perseguibili e, quindi, si ripetono tranquillamente. Tuttavia, sarebbe ora di frenare l’esuberanza americana, di far ragionare gli Usa. Ecco l’elenco degli errori sicuramente più gravi. Primo errore: i titoli tossici. Che fine hanno fatto? Quanto hanno inquinato l’economia bancaria internazionale (e non solo bancaria)? Quanta liquidità hanno tolto alle imprese? Il silenzio è tombale. Ci dovrebbe essere almeno dell’imbarazzo e qualche mea culpa. Secondo sbaglio: il genere di globalizzazione in atto, vale a dire una globalizzazione caratterizzata da una concorrenza sleale. Essa ha bloccato gran parte dell’industria europea, umiliando la produzione in generale, provocando una disoccupazione terrificante e, conseguenza inevitabile (e prevedibile), la caduta libera dell’economia, del benedetto – o maledetto – Pil.
Terzo elemento di destabilizzazione, in Europa: l’euro, che ha impedito alle deboli industrie europee di competere con quella tedesca. Si doveva fare, ovviamente, un’Europa vera, non questa, che non è carne né pesce. La Germania ha l’obbligo di aiutare la ricostruzione e ne ha anche l’interesse, perché la sua economia si sviluppa tradizionalmente e principalmente in Europa. Occorre una politica economica comune (scovare teste pensanti valide e personalità adeguate per avviare questo processo virtuoso): sarà un cammino inevitabilmente lungo, ma avrà successo se si terrà conto del fatto che l’Europa è pur sempre il cuore dell’Occidente e, quindi, del mondo intero. Gli americani rimangono scolari europei.
Quando fu creato l’euro, i problemi dei titoli tossici e della globalizzazione selvaggia non erano ancora presenti, almeno nella misura che poi abbiamo purtroppo conosciuto. S’è lasciata troppo mano libera al Wto e agli speculatori finanziari, quanto mai vogliosi di saccheggiare le risorse umane e materiali di Paesi relativamente e socialmente arretrati (in primis la Cina). Misure politiche, regole governative, non devono suonare come limitazioni della libertà, se si riferiscono, ovviamente, a norme elementari di convivenza civile generale, sancite, ad esempio, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.
D’altro canto, la crisi finanziaria, che ha prodotto i titoli tossici e la globalizzazione selvaggia, poteva essere evitata, probabilmente, con il varo di una sorta di Piano Marshall in favore degli Stati più poveri, da “educare alla civiltà e alla democrazia”, come amano dire gli Stati Uniti. L’industria occidentale ne avrebbe tratto vantaggi sicuri e duraturi, dimostrando, nel contempo, la sua visione superiore del concetto di civiltà. Nulla di romantico, solo un progetto progressista, ordinato, logico e valido culturalmente, invece dei “bla bla” tipici di un accademismo inerte e ipocrita. Adeguandoci al modello cinese, anziché facendo in modo che la Cina si adatti al nostro, consegniamo ai nostri figli e nipoti un mondo vergognoso, dominato dalla legge della giungla.
L’immagine: una cartina dell’Europa con l’indicazione degli stati europei maggiormente colpiti dalla crisi economica (i cosiddetti “Piigs”).
Dario Lodi
(LucidaMente, anno VII, n. 80, agosto 2012)
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