Un pittore in crisi trova in una folgorante poesia di Giorgio Caproni l’ispirazione per portare a compimento un difficile ritratto di donna
Roberto dipingeva con alacrità, ma l’immagine non veniva come voleva lui. Quel volto di donna era particolare, però il sorriso non lo era affatto. Il desiderio che il sorriso fosse in armonia con tutto il resto gli veniva da una profondità sentimentale inaspettata, come se l’immagine riuscisse a imporre un tipo di soluzione conclusiva, un coronamento, che di fatto pareva misteriosa al nostro pittore. Fai e rifai, a un certo punto Roberto ebbe la sensazione di non essere all’altezza del compito e la cosa gli procurò un timore abissale. Nel timore cadde e ricadde sempre più rovinosamente, credendo, infine, di non riuscire più a risollevarsi (neppure faceva tanto per riuscirci, parendogli inutile ogni reazione). Poiché si trovava in quello stato, si sedette sull’orlo del precipizio e si mise a riflettere disordinatamente sul da farsi.
Magari avrebbe trovato un escamotage onorevole, una mascheratura capace di far passare in secondo piano i difetti dell’immagine. Pochi si sarebbero accorti del posticcio. Il pensiero lo fece tornare di buon umore, ma fu solo per un attimo. Roberto era scrupoloso, molto scrupoloso, e mai sarebbe ricorso a un inganno, anche perché si sarebbe trattato di un inganno fatto principalmente a se stesso. Passavano i giorni e la donna rimaneva lì senza sorriso. Pareva inebetita, fossilizzata nella sua bellezza senza senso. Non era felice di possederla. Roberto era passato ad altro e cercava di dimenticarsi del quadro, ma il quadro si ricordava di lui e soprattutto si ricordava di se stesso, per via della propria incompiutezza.
La donna guardava severa ed arcigna. Era diventata persino brutta. Come fare? La notte non portava consiglio, anzi complicava le cose. Forse non esisteva sorriso adeguato su questa terra. Non era male pensarla in questo modo: fosse stato vero, Roberto si sarebbe messo il cuore in pace. Era diretto su questa strada, pur barcollando, quando ebbe modo di leggere su una specie di rivista clandestina la poesia di un autore oggi assai poco popolare, purtroppo: Giorgio Caproni. La poesia aveva come titolo Il mare brucia le maschere e faceva così: «Il mare brucia le maschere, / le incendia il fuoco del sale. / Uomini pieni di maschere avvampano sul litorale. // Tu sola potrai resistere / nel rogo del Carnevale. / Tu sola che senza maschere / nascondi l’arte di esistere». Il rilievo sull’arte di esistere era folgorante, Roberto dovette ammetterlo. Era come un interruttore che accendeva tutte le luci.
La poesia fu letta e riletta decine di volte: ogni volta diceva qualcosa di nuovo. C’era una felicità di vivere eccezionale, nascosta fra i versi; c’erano sottintesi magici e, insieme, concreti: era quello che ci voleva! Il giorno dopo la sua donna sorrideva, soddisfatta del suo sorriso. Era un sorriso pieno e allo stesso tempo delicato, testimoniava una gioia di essere inarrivabile e lì a portata di mano. Roberto ne fu abbagliato. Ora l’immagine aveva un senso speciale (e, in fondo, normale, cioè secondo la norma per eccellenza). Gli piaceva davvero, finalmente!
Per chi volesse leggere gli altri racconti di Dario Lodi pubblicati su LucidaMente: «La morte aveva già fatto tutto» «Stava tradendo la consuetudine, la convenzione. Era lecito?»«Una ragazza nuda con le gambe aperte e penzoloni»
Le immagini: Beata Beatrix (1877-1882 circa, olio su tela, 68×86, Birmingham Museums and Art Gallery) di Dante Gabriel Rossetti (Londra, 12 maggio 1828 – Birchington, 10 aprile 1882) e L’uccello di fuoco (1910), figurino per l’opera di Igor Strawinskij, di Léon Bakst (San Pietroburgo, 10 maggio 1866 – Parigi, 28 dicembre 1924)
Dario Lodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 85, gennaio 2013)