«Silenzioso e pieno di angosce irregolari, che gli ispiravano stille di gelo catartico»
Lady Abigail Valencia de la Cruz si svegliò dal criosonno con la sensazione di essere riemersa da un viaggio agli Inferi. Il suo corpo era pervaso da una stanchezza innaturale, l’effetto residuo dell’animazione sospesa. In quello stato, un limbo fuori dallo spazio e dal tempo, aveva affrontato l’Abisso di Hakenarm.
Cercò di muovere un braccio e lo sforzo le strappò un gemito. Era come se il suo corpo preservasse un ricordo vivo degli ottantacinque anni-luce della tratta, una distanza che il motore a curvatura aveva condensato in appena due mesi di transito. Mentre aspettava con pazienza che il torpore venisse ricacciato indietro dai neurostimolanti messi in circolo dall’innesto, il suo primo pensiero cosciente andò, come sempre, a Valentine.
Nella serie di dissolvenze incrociate in cui si esibì la sua percezione in assestamento metabolico, Abigail si vide insieme a Valentine in viaggio di nozze sul mondo-oceano di Akyane, e poi in crociera nella Nebulosa Corallo, e ancora su Tersicore. Tersicore, già… Era lì che aveva trascorso i suoi ultimi giorni con Valentine, sul mondo che insieme avevano creato piegando la natura ai principi dell’ecoingegneria planetaria. Prima che la Sindrome di Ishimori-Jacob si abbattesse come una maledizione sul loro avvenire. Prima dell’inutile tentativo di resistenza farmacologica e del calvario che era seguito.
Mentre gli stimolanti compivano il loro lavoro miracoloso sui suoi nervi, Abigail respirò ancora una volta l’odore della sua pelle, sentì il calore del suo corpo, assaporò l’umidità dei suoi baci. Alla fine, come sempre, il retrogusto amaro dei sogni e dei ricordi le impastò il palato, come al risveglio da una triste reminescenza notturna.
Con il dolore spirituale che si accompagna al disinganno, Abigail rinacque. Il suo corpo nudo scivolò fuori dall’utero di vetroresina mentre la soluzione salina le si andava ormai asciugando sulla pelle. Una breve esposizione alla doccia UV bastò a cancellare le tracce residue del criosonno. Prese un bicchiere d’acqua dal distributore e sentì il gemito di Magdalene, seguito a breve distanza da uno sbadiglio di Leon. L’equipaggio della Freccia di Yi era al completo.
Abigail sentì una morsa stringerle il petto.
Ariel era vicina.
I movimenti nascevano spontanei da uno iato spazio-temporale esistente da qualche parte, nell’Impero Connettivo. Sillax era opalescente e discontinuo nel suo apparire, problemi di rendering olografico che dovevano attraversare i dettami del tempo erano sempre difficili da risolvere, per questo il potente funzionario imperiale giocava con gli equivoci. In realtà scrutava nella maglia spazio-temporale, ci provava alla maniera degli antichi negromanti.
Le visioni che aveva erano febbrili e controverse. I mondi che gli apparivano per alcuni picosecondi, espansi con l’aiuto della genetica cerebrale – gli sembrava di godere di una spettacolare proiezione filmica proprio dentro la sua testa – avevano il germe del meraviglioso. Lui, abituato ad una catena di comando che si muoveva agilmente tra epoche diverse, era silenzioso e pieno di angosce mal regolate che gli ispiravano, dentro, stille di gelo catartico.
Si purificava, in quel modo. Sillax si purificava e a volte si scorgeva più giovane, altre in punto di morte. Così, sui crateri frastagliati di un’ansa senza nome annegava nel metano liquido che percepiva ma non vedeva; si specchiava negli occhi di turisti in preda a un’onda di felicità non compressa e si scioglieva nel profondo gelo cosmico, sublimandosi… Risvegliandosi di fronte a un perentorio ordine prefettizio che gli imponeva un servizio irrimandabile: era il corrispettivo della poesia di una visione che, all’improvviso, sfumava brutalmente nella quotidianità senza tempo.
Sillax aveva ora un dispaccio da far obbedire: doveva agire contro le manovre di un drappello di clandestini che si sarebbero insediati nel territorio imperiale. In altre parole, Sillax aveva l’obbligo di far rispettare la legge. Le espropriazioni spaziali non erano tollerate dall’imponente macchina burocratica; il senso di proprietà privata era morto, ma soltanto dal momento in cui tutto il privato coincideva con l’unico proprietario: il Principe.
Sillax aveva come solo riferimento il nome Abigail.
Il pianeta sottostante emergeva dalla notte cosmica con un tripudio di ecosistemi e varietà di forme viventi solo vagamente intuibili. La stazione orbitava negli strati superiori dell’atmosfera di Ariel e portava un nome evocativo e bizzarro: i suoi costruttori l’avevano battezzata Angelo d’Alta Quota. Come centro di smistamento delle materie prime fornite dal mondo in basso, l’Angelo d’Alta Quota ferveva di attività e di traffici, molti dei quali – paradossalmente – sotterranei. Nelle sue sale era possibile contrattare ogni cosa, senza discriminazioni, dai fiori musicali agli esemplari della fauna locale, dai minerali ai brevetti genetici alle licenze di rotta. Lassù ogni cosa aveva il suo prezzo. Inclusi la vita umana, la materia dei sogni e persino un intero pianeta.
In una bolla panoramica del settore neutrale, Abigail sedeva di fronte ai due emissari di Canopo e si sforzava di ignorare i loro sorrisi da squali, denti affilati e letali che luccicavano nell’illuminazione soffusa da bettola di terza classe. Duemila miglia più in basso, un ciclone stava investendo il maggiore dei continenti di Ariel.
“La nostra cultura non ha prodotto molti esemplari dell’oggetto per cui lei ha fatto tanta strada, Lady Valencia de la Cruz” stava dicendo con voce melodiosa uno dei due centauridi, mentre l’altro si limitava ad ascoltare stringendo tra le mani il prezioso sacchetto di velluto nero. “Eppure lei non può immaginare quale sia il nostro sollievo nel portare a termine questo scambio”.
Abigail, che aveva imparato a contrattare con la Banca di Credito Universale, i cui fondi s’erano sempre rivelati indispensabili per la messa in atto delle opere sue e di Valentine, non si lasciò impressionare. “Riesco però a immaginare l’importanza di questo” disse, posando sul tavolo la valigetta da diplomatico. Uno scatto metallico – dopodiché una intera collezione di olomemo, pratiche memorie di massa su supporto olografico, scintillò sotto i loro sguardi adoranti. Le capsule contenevano quello che per Abigail era il lavoro di una vita. Valentine era stato il coautore di tutti i suoi progetti di ecoformazione, il loro lavoro sarebbe forse servito a ricongiungerli oltre la sfera della memoria delle generazioni future.
Un silenzio fremente, quasi elettrostatico, si diffuse nella bolla panoramica. Abigail fissò gli occhi neri dei centauridi e pensò che, se fosse stata esperta di affari alieni, probabilmente vi avrebbe scorto qualcosa di simile alla commozione. O forse era eccitazione, quella che fremeva dietro gli scudi di membrana nittitante?
La cultura di Canopo si era affacciata sulla scena galattica con poco più di un secolo di vantaggio sulla civiltà umana, un’inezia in termini cosmici. Fondandosi su una commistione esotica d’intraprendenza e rigidezza, i centauridi avevano spinto ai limiti il controllo della tecnologia sui corpi e sulle menti, applicando al contempo un severo regime di non interferenza con l’ambiente. I centauridi trasformavano se stessi per adattarsi all’ecosistema, a differenza dell’uomo che era divenuto un’autorità nel campo dell’ingegneria planetaria. Solo degli eretici potevano pensare di agire sull’esterno, magari affidandosi alle pratiche immorali di una specie aliena arrogante e senza scrupoli.
Quando il secondo rinnegato aprì la sacca che aveva custodito fino ad allora e ne estrasse una perfetta sfera di quarzo, Abigail sentì una voragine aprirsi dentro il suo essere. I due alieni si scambiarono telepaticamente una proiezione del mondo che avrebbero costruito a immagine del loro sogno. Anche potendo, Abigail non avrebbe sentito i loro pensieri. Dalla tenebra dell’abisso emergeva infatti la voce di Valentine. Stava chiamando il suo nome.
Sillax aveva tra le mani dei campioni sonori tridimensionali, una sorta di olofonia in grado di dargli l’esatta sensazione di ciò che stava succedendo nel luogo imperiale dove sarebbe avvenuta l’infrazione. Ascoltava attentamente e percepiva un sentore obliquo, qualcosa che sembrava provenire da un abisso dominato da un paradigma esistenziale fuori controllo. L’immagine di Abigail si configurava assieme a una vaga figura maschile, evanescente come quella di un ectoplasma.
Sillax ascoltava con l’interiorità evoluta di un’anima geneticamente potenziata, e si lasciava trasportare superficialmente dai campioni olofonici che andava manipolando. Non erano molte le informazioni a sua disposizione, ma poteva cominciare a formulare congetture, impressioni e piani d’azione.
Gli istanti passavano, una sottile strategia prendeva forma nella sua mente surdimensionata; l’affilatura delle tattiche tendeva all’esasperato. Non di rado tornava lievemente indietro nel tempo, per rendere la visione degli eventi più fluida senza aver bisogno, così, di occupare le proprie capacità elaborative con inutili sperperi congetturali.
Rumori di connessione alle sottili linee spazio-temporali esterne all’Impero. Sillax interpretava le curvature dimensionali che si dispiegavano alla sua attenzione. Sfruttava protocolli segreti condivisi con altre entità politiche e sociali, già avvenute o in divenire, sapendo che i luoghi che avrebbe visitato potevano benissimo esistere soltanto in una personale distorsione dello spazio-tempo.
Brevi istanti di silenzio attraversavano le galassie seguendo percorsi non lineari.
Sillax vide tutto come un sogno complesso, vivente in pochi istanti soggettivi; gli sembrò di cambiare sottilmente la fisionomia del viso, fino a diventare un umano (o postumano) completamente diverso. Mutava anche il suo aspetto esteriore, quello sociale – vestiti, foggia dei capelli, l’incedere. Aveva attraversato un pugno di galassie ma, soprattutto, un arco temporale spaventoso; l’aveva fatto imponendo la sua volontà, mirava ad entrare in sintonia con il tempo di Abigail. Doveva sfrattare quella donna e i suoi sogni molesti dal continuum imperiale, così ora aveva la divisa della NERVE ed era nel tardo Concourse, in una data che non gli apparteneva.
Eppure era lì. Era pronto a interferire. Era Lambdel, alto ufficiale della NERVE. Si scoprì a impartire ordini come se fosse in un dominio onirico. La sua bocca e il palato erano molli, addormentati per la distorsione temporale che lo stava torturando. Dava ordini ai suoi agenti e a un loro comandante. Il tono della voce era perentorio, non ammetteva deroghe.
Dai suoi immensi e potenti schermi cerebrali rimasti nell’Impero, Sillax beneficiava di una visione senza pari. Miliardi di neuroni geneticamente modificati permettevano la creazione di un cluster mentale che si esprimeva attraverso ioni fotoreattivi, su cui scorrevano tutte le immagini interiori di Sillax o di coloro che si connettevano a lui attraverso una rete neurale di semplice realizzazione. Il funzionario scrutava le transazioni burocratiche della NERVE mentre viaggiavano verso gli Stati Maggiori e poi verso il Consiglio; vedeva il cripting di ritorno e le impostazioni formali, e poi le risposte che annegavano in un caotico riverbero, in cui milioni d’anime sepolte nel cosmo si animavano ignare della loro morte fisica.
Sillax avvertì lo strisciare di un caos sottile, a bassa frequenza, e le sue sinapsi entrarono in delirio neurotropo. Sorrideva dentro di sé, con l’espressione tipica di chi è in alterazione da epifania oppiacea. Beneficiava di un flusso empatico naturale, nascosto nelle linee informative della NERVE, di cui il Corpo stesso ignorava l’esistenza: era un insieme di visioni e in quel magma acido a Sillax venne in mente, quasi come un’ancora di salvataggio a cui aggrapparsi per non impazzire di deliquio, la figura di Totka_II, l’imperatore…
Quando uscì dalla bolla panoramica, Abigail fu investita dall’odore del corridoio. Nel puzzo di esseri non più umani e di creature aliene, la miscela delle loro emanazioni ormonali si fondeva al vociare di fondo, come in un suk della Vecchia Madre Terra. Non fece fatica a scorgere il drappello di inseguitori della NERVE: erano in cinque e risaltavano nella prospettiva della strada perché, semplicemente, davano l’impressione di sapere cosa stavano cercando. Gli agenti ricambiarono il suo sguardo con la sicurezza di chi ha dalla sua la prerogativa di armi non convenzionali e poteri occulti. Abigail voltò loro le spalle, aprì la zip della tuta dal collo fino al diaframma, vi nascose il manufatto di Canopo e, ricomponendosi, si mise in marcia tra la folla..
Mentre camminava, sentì succedere qualcosa dietro di lei. Immaginò la fiumana dei passanti aprirsi per agevolare la corsa degli agenti; vide tre di loro che prendevano d’assalto la porta della bolla in cui i centauri si stavano attardando e i restanti due che, d’intesa, si fiondavano sulle sue orme. D’istinto Abigail accelerò il passo. La folla doveva aver intuito che qualcosa di ancora incomprensibile si andava compiendo sotto gli occhi di tutti. Sfruttando la confusione, Abigail cercò di dileguarsi.
Credette di essersi persa tra la gente, assimilata nel marasma di fazioni postumane che affollavano il sentiero. Quando svoltò seguendo l’indicazione per i moli di attracco, finì in un ambiente immenso e relativamente poco affollato. Era nella sala d’imbarco della stazione civile, ovunque ammiccavano ologrammi della Interplan Travel Agency. Su di lei un tabellone portava il conto delle ore restanti alla partenza del primo incrociatore per il Concourse: mancava ancora mezza giornata, ma le procedure d’imbarco si erano già concluse da un pezzo. I presenti, dunque, non erano lì per partire: come falene dell’era spaziale, dovevano essere stati richiamati dalla carica simbolica di quel luogo pregno delle emozioni del viaggio, dei sospiri, degli abbracci, dei ritrovi e degli addii di perfetti sconosciuti.
Abigail capì di essere giunta al capolinea quando si trovò di fronte all’immensa vetrata: dall’altra parte si spalancavano le fauci della notte, nemmeno il pianeta era visibile. Solo una distesa senza confini di pietre lucenti di scarso valore, tutte indistintamente al di fuori della sua portata. E il molo di attracco della Freccia di Yi distava ancora mezzo miglio. Non appena capì che non ce l’avrebbe fatta, Abigail diede il segnale ai suoi due cani sciolti. Il display a cristalli organici innestato sul polso della tuta stava ancora brillando quando qualcuno chiamò il suo nome.
“Lady Valencia de la Cruz, si fermi!” intimò l’agente della NERVE.
Abigail si voltò per incrociare lo sguardo dei due inseguitori, affacciati dalla piattaforma che dominava la sala, una dozzina di metri sopra la sua testa. Erano due giovani, ma in un’epoca in cui i trattamenti cosmetici invasivi e la manipolazione dei tessuti erano alla portata di chiunque, questo voleva dire davvero poco. Quasi niente se si considerava che i due agenti erano dei rigeneranti e, come tali, avevano l’incommensurabile vantaggio genetico di essere iscritti ai Tribunali Biologici dell’Alleanza Genetica. Per quanto ne sapeva, ciascuno dei due poteva avere il doppio dei suoi anni. E, in quanto agenti del braccio armato del Consiglio, la metà dei suoi scrupoli.
“Abbiamo già preso i suoi complici” proseguì l’ufficiale. La sua bellezza, come quella del collega, era anonima, omologata agli standard militari del Concourse. L’ingannevole perfezione del loro aspetto li rendeva quasi gemelli. “Si è appena resa colpevole di tre dei più gravi reati contro il Consiglio, questo lo sa? Violazione di segreti di Stato, infrazione delle leggi sulla sicurezza e inosservanza del trattato di interscambio con Canopo. Non peggiori la sua posizione, venga con noi…”
Solo allora Abigail si rese conto che la sala, attorno a loro, si era fermata. Una dozzina di spettatori stava assistendo al suo arresto, nei loro occhi l’ansia trepidante di chi si attende una sparatoria da un momento all’altro. Abigail tirò fuori da una tasca un disco del diametro di due o tre centimetri e lo mostrò con attenzione agli ufficiali della NERVE affinché i due potessero realizzarne lo scopo. Su una faccia lampeggiava un Led rosso: la sua cadenza andava accelerando, tendendo a un ritmo isterico. Abigail rivolse agli agenti un sorriso di cortesia, attese che l’ufficiale che le aveva parlato avvertisse i presenti con un urlo perentorio e poi lanciò il manufatto contro la vetrata. In risposta al suo comando neurale, le molecole polimeriche della tuta le intrecciarono una pellicola nera sul volto, sigillando il casco a prova di vuoto dietro la nuca.
Mezzo secondo dopo, la microtestata di neutronio detonò mandando in frantumi il transpex. Ci fu una pausa. Poi, nella sala esposta al vuoto interstellare, il tempo subì una vertiginosa accelerazione. Tutti i suoi occupanti vennero risucchiati dalla depressurizzazione. Nella notte siderale, i nanodispositivi delle loro tute si attivarono con solerzia automatica per proteggerne le vite. Tredici formiche dai colori ricchi di fantasia furono scagliate nell’orbita di Ariel.
Delle luci di posizione si diressero sullo sciame. La Freccia di Yi rallentò dolcemente, attese che Abigail si fosse issata a bordo e poi prese il largo, lasciando i due inseguitori nell’impotenza, in attesa con gli altri naufraghi dell’intervento della Guardia Portuale.
Dal dettaglio degli schermi cerebrali, Sillax cercava di impartire ordini istantanei al suo alter ego presente nel Concourse. La fatica psichica di tenere il quadro temporale unito produceva delle fluttuazioni: lievi sfrigolii visivi tempestavano asincronamente il suo visore a ioni. Sillax era seccato dalla piega che stava assumendo la faccenda, disturbato da quell’imprevisto che sembrava farsi beffe di lui e della NERVE; un istinto corporativo assimilabile a uno spirito da fazione gli picchiettava il cervello con insopportabili ondate di furore. Si sentiva punto nell’orgoglio e attribuiva lo stesso sentimento anche agli agenti del Concourse: doveva lavare l’onta, farlo in fretta perché dal suo angolo percettivo – dominato dall’istinto, uno dei pochi sensi ancora nativi nel suo organismo – bruciava la sensazione che Abigail si stesse muovendo, come in un liquido amniotico, nello spazio che occupava abusivamente nel territorio dell’Impero.
Erano tutti dentro una stanza asettica di Metavetro, opacizzata così da non lasciar trasparire all’esterno ciò che avveniva all’interno. Lambdel-Sillax si muoveva a scatti, furente, intorno agli agenti che avevano fallito l’arresto di Abigail. Urlava.
Fu un raggio psichico ad alta concentrazione cognitiva a freddare all’istante – con un concentrato di sofferenza fisica impressionante, come in uno spasmo di overflow da conoscenza – i due malcapitati agenti della NERVE. Si accasciarono sul pavimento della camera di compensazione adiacente al Metavetro e Lambdel-Sillax, incontrollabile nella sua ira furibonda, uccise istantaneamente anche gli altri tre. Era una mossa istintiva la sua, nulla di premeditato. E forse avrebbe fatto davvero meglio a premeditare qualcosa: il suo procedere lo aveva isolato, cinque componenti della NERVE erano morti e nemmeno il Lambdel originale avrebbe potuto giustificare, ai suoi superiori, la loro fine.
Doveva disfarsi della copertura di Lambdel. Doveva farlo, e subito.
Sillax uscì dal continuum del Concourse ma mantenne con esso il collegamento; guardò la scena della stanza dagli schermi cerebrali a ioni, accertandosi di non aver dimenticato nessun particolare. Poco gli importava che tutta la scena del crimine fosse improbabile e che Lambdel fosse rimasto come istupidito dalla possessione; avrebbe occupato, così, per settimane intere la NERVE in un rompicapo da cui non sarebbero venuti fuori: il suo furore corporativo per la fuga di Abigail si sublimava in quel modo.
Rimaneva il core del problema: obbedire all’ordine di Totka_II. Quella consegna era come un pungolo che penetrava nel suo campo visivo multiplo, in cui albergavano immagini cacofoniche: supernovae che collassavano in prossimità dei suoi eventi personali, vicini al luogo in cui Abigail viveva nell’Impero.
Poi, ebbe la folgorazione.
Irruppe in tutta quella disarmonia visiva l’immagine di Abigail assieme a Magdalene, a bordo della Freccia di Yi. Era un flash irreale, una sorta di connessione olografica col livello di realtà del Concourse e dei suoi abitanti. Ma tanto bastava a illuminare Sillax.
Magdalene e Leon erano stati tempestivi. Per un attimo, Abigail aveva temuto che quei cani sciolti da contrabbando potessero essere troppo sbronzi per afferrare il senso del tracking. O, peggio, che, ormai paghi dell’anticipo e intimoriti dalla direzione presa dagli eventi, si fossero decisi ad abbandonarla al suo destino, alla deriva nello spazio, in attesa che le autorità si occupassero di lei e dei suoi reati. Invece fu sorpresa di scoprire il codice etico che mai e poi mai avrebbe attribuito a dei lupi siderali.
“Ci stiamo dirigendo fuori dal sistema, bambina” le comunicò Magdalene.
Abigail aveva appena fatto il suo ingresso nella cabina di comando del clipper. Fluttuando nella microgravità, raggiunse le postazioni del pilota e della navigatrice, aggrappandosi agli appigli e stando bene attenta a non infilarsi nelle imbracature in cui i due parevano annidati come ragni in attesa della loro preda. Due spremibulbi di whisky arturiano, pieni per metà, erano intrappolati nelle tele.
“Dobbiamo uscire dallo spazio abitato per entrare in curvatura” biascicò Leon, la voce impastata dall’alcol. “Per quanto la nostra reputazione sia ormai incrinata da quel piccolo incidente nucleare occorso alla stazione.”
“Oh, andiamo! Una testata di mezzo millesimo di chiloton… A parte la vetrata, si è limitata a irradiare i presenti non più di un analizzatore encefalico a positroni.”
Il segreto era tutto nella tecnologia, che permetteva di focalizzare quella potenza in un volume di spazio piccolissimo, appena qualche millimetro cubico. In quel modo si riuscivano a infrangere anche i legami delle molecole del transpex, la più resistente delle leghe di vetro e metallo. Quanto allo scafo di adamantium dell’Angelo d’Alta Quota, non doveva essersi nemmeno accorto di quel battesimo atomico fuori programma. Non pensavo che la vita di un lupo siderale fosse segnata da così tanti scrupoli.
“E i danni?” la incalzò Leon.
Abigail fece finta di ignorare la pena capitale prevista nel caso di attentati terroristici. D’altro canto, Magdalene e Leon potevano vantare una fedina penale di tutto rispetto, in cui il traffico di campioni genetici e altre specialità di livello analogo svolgevano un ruolo di primo piano.
“Se anche dovessero risalire a voi, scavalcando il muro delle false immatricolazioni al Registro che permette a questa bagnarola di solcare gli spazi del Concourse in tutta tranquillità, il vostro onorario basterebbe a coprire i danni e lasciare qualche spicciolo ai vostri nipoti.”
E con quello, la discussione poteva dirsi definitivamente conclusa.
Magdalene disse: “Sette ore all’ingresso in zona libera. Il traffico è molto ridotto.”
“Propongo di accelerare le procedure del salto. Tra quanto saranno pronti i sistemi?”
“Due ore, se bypassiamo i circuiti di sicurezza.”
“Il che potrebbe esporci a una spiacevole instabilità per quel che riguarda la nostra destinazione.” puntualizzò Leon.
“Ci aiuterà a disimpegnarci dalla NERVE” tagliò corto Abigail. “Che autonomia abbiamo?”
“Centoventi anni-luce.”
Abigail fece un rapido calcolo mentale, poi disse a Magdalene: “Scegli un sistema a ottanta anni-luce da noi in una zona poco affollata. Qualcosa che non disti meno di due anni-luce dal Gate più vicino, ma nemmeno più di dieci. Io mi ritiro nella mia cabina.”
Magdalene le rivolse un sorriso ammiccante: “Passo a chiamarti nel giro di un’ora e mezza. Ti aspetta un lungo sonno, bambina.”
Leon osservava Magdalene. Percepiva un’onda diversa irradiarsi dal suo corpo, insolite vibrazioni; gli sembrava che qualcosa d’inspiegabile stesse prendendo il controllo della mente, del corpo, delle azioni di Magdalene. Un soffio dato da un’anima non compatibile con lei che, tuttavia, con lei coincideva.
Leon si accorse che lo scorrere del tempo a bordo della nave assumeva, improvvisamente, una configurazione diversa; gli sembrava curvo, stranamente accelerato.
Dal canto suo, Magdalene aveva avuto appena il tempo di percepire un singolare malessere. Poi, rapidamente, i brandelli della sua coscienza, della consapevolezza di sé, si erano disseminati come relitti di un’aeronave esplosa nell’atmosfera. Le rimase una piccola porzione di software residente in un angolo remoto della sua capacità d’azione, del tutto inerme e incapace di qualsiasi ribellione, mentre tutto il resto del campo decisionale era dominato da una forma poderosa di volontà sconosciuta.
Magdalene era come un automa, un servo a cui erano impartiti ordini in locale. C’era una variazione nei piani concordati tra loro, lì a bordo della Freccia, così si sentiva di dover entrare rapidamente nella cabina per uccidere la sua committente; qualcosa le segnalava lo sconcerto del suo compagno, perciò sentì partire da un centro alieno del suo corpo, per qualche motivo a lei collegato, un ordine categorico. Si scoprì in rapido movimento verso il rifugio di Abigail; si ritrovò abile nel forzare la serratura e nel mentre vide uno scenario alieno sfuggire alla chiusura mentale dell’entità che la possedeva: le sembrò di intravedere un territorio sterminato, uno Stato sconfinato in grado di dominare non solo sullo spazio, ma anche sul tempo. Una figura di regnante impregnava quella nazione, l’immagine di un monarca assoluto modellato sulle figure di antichi dittatori appartenenti alla classicità umana. E poi, per ultima, un’impressione fuggevole di un nome nemmeno completo, forse Sul o Illa; Silla qualche cosa, le sembrò corretto contestualizzare subito dopo.
Leon vide Magdalene penetrare nell’angusta cabina in cui Abigail dormiva la sua stasi forzata, e riconsiderò quella mossa con una velocità stupefacente. Nel breve volgere dei suoi pensieri, si rese conto che Magdalene era già penetrata nel cubicolo di Abigail, annegando nel buio condensato in cui energie ancestrali e oscure si ravvivavano. Leon si ricordò, come se fosse stato scosso da un colpo di frusta, che anche lui era parte integrante dell’azione; fu come se gli fosse stato impartito un ordine sinaptico, così si precipitò verso la cabina per bloccare l’azione di Magdalene che era già immersa in un buio organico da sembrare vivo, appena mitigato da uno strano oggetto di presumibile fattura aliena, posato sul tavolo. Magdalene si volse alla ricerca di Abigail e fu notevolmente stupita dal trovarsela in piedi, lì accanto, ben sveglia. La terz’ultima percezione che Magdalene ebbe di sé fu la rapida mossa che permise ad Abigail di prenderle la testa fra le mani e di torcerle con forza il collo – rumore di un sinistro stritolarsi d’ossa. La penultima fu, invece, la sensazione di sentirsi liberare dal suo oppressore psichico ma di non poterne gioire perché il proprio kernel software era in rapido decadimento, così da permetterle soltanto un’ultima percezione. Nel frattempo, Leon percepiva il ritorno di un flusso, stavolta giusto, di tempo non più curvo tale da donargli l’immagine di qualcosa di bizzarro che si allontana velocemente, come un’astronave in fuga veloce verso gli strati alti di un pozzo gravitazionale. Su quella fuga, l’ultima percezione di Magdalene si adagiava e illustrava l’immagine di Abigail che si avventava su Leon per ucciderlo, così come si faceva anticamente con uno schiavo: strangolandolo.
L’esplosione di furia l’aveva lasciata stupefatta. L’istinto aveva mosso le sue mani, trasformandola in una belva feroce in lotta per la sopravvivenza sua e del suo sogno. I due corpi che ora galleggiavano inerti nella microgravità, burattini rotti e buttati via, erano tutto quel che restava delle forze contrarie che avevano cercato di avere la meglio su di lei.
Abigail raggiunse la plancia di comando e si concentrò sui monitor. Nel tentativo di disimpegnarsi da possibili inseguitori della NERVE, Leon e Magdalene avevano azzardato un microsalto che li aveva allontanati di una frazione di parsec dal cuore del sistema di Ariel. La Freccia di Yi vagava ora negli abissi, in attesa che il countdown per il salto finale la proiettasse a un centinaio di anni-luce di distanza. Un salto cieco.
Senza Magdalene a ultimare le procedure, a mettere a punto i parametri quantici e istruire a dovere l’Interfaccia del warp-drive con le sue onde encefaliche, senza la sua premura materna a domare il vettore mentre il nucleo curvava lo spazio e il tempo, la Freccia di Yi si sarebbe perduta negli spazi interplanetari, probabilmente risucchiata dall’Abisso di Hakenarm come un vecchio veliero sorpreso dal maelstrom tra le gelide acque del Baltico. Tutto quello che poté fare Abigail fu interrogare l’Intelletto. Mancavano ancora 58 minuti al salto nel vuoto.
“Sistemi di supporto vitali per un occupante in stasi criogenica. Autonomia?”
Copertura del salto garantita.
“Stima ulteriore?”
371 anni. Affidabilità al 94%25.
I dati placarono la curiosità di Abigail. Leggera, come pervasa da un senso di pace interiore, la donna tornò nella cabina. Con movimenti lenti, quasi obbedendo ai dettami di un antico rituale, si svestì della tuta, prese la sfera aliena e tornò nel corridoio, diretta alla sala d’incubazione. Non degnò nemmeno di uno sguardo i cadaveri dei due lupi siderali. L’Intelletto della Freccia di Yi si sarebbe preso cura di loro non appena la decomposizione dei tessuti avrebbe esposto gli ambienti del vettore al rischio della contaminazione biologica. Uno sciame di nanotech avrebbe provveduto alla loro neutralizzazione.
Abigail, nuda davanti all’utero, il globo di quarzo stretto tra le mani, era la sacerdotessa di un culto esoterico che portava un’offerta all’altare. L’offerta era per Valentine, il dono di un mondo sconosciuto che le avrebbe permesso di reiterare la comunione delle anime con il suo dio privato.
Abigail si distese nel modulo e si portò la sfera davanti all’occhio destro. La connessione di stato quantico agì istantaneamente. Quando il fluido scivolò nell’incubatrice, Abigail era ormai lontana anni-luce da lì. Su Tersicore, un paradiso messo a punto in esclusiva per loro, sotto un cielo di smeraldo screziato di ambra, andò in onda il ritorno di Abigail tra le braccia di Valentine.
La percezione delle procedure che si dispiegavano davanti a Sillax era immensa, iperdettagliata; un’invasione di funzioni e una pletora di gingilli visivi formavano un’emulazione che diveniva orografia, una sorta di traduzione funzionale che si trasformava in balze, pianure e depressioni – quasi si volesse smentire il vecchio detto che recitava “la mappa non è il territorio”. Sembrava di osservare nel dettaglio una mappa militare.
Il funzionario imperiale stava pazientemente costruendo una ragnatela sinaptica, una larga riserva ancora aperta ma in via di definizione. Dentro quel recinto avrebbero albergato mondi estesi, ma finiti. Tersicore era già stata completamente rimappata e veniva riversata, ora dopo ora, dentro quel piacevole gulag; tutto stava per essere strutturato come un mondo senza fine perché lì, lì dentro, tutto era senza età, sospeso. All’esterno, la pressione del tempo s’imprimeva sugli ancora parziali ma soffici confini del metamondo di Sillax, con burrascose tempeste spazio-temporali.
Era un nucleo su cui sarebbe stato costruito un sarcofago. Era la migliore soluzione possibile. Per tutti. La Freccia di Yi si sarebbe perduta nell’abisso, la sua occupante avrebbe continuato a vivere nel suo sogno.
Vari strati che avrebbero garantito l’isolamento del nucleo molesto, quello rappresentato da Abigail, in grado di minare politicamente e fisicamente l’Impero e il potere di Totka_II, potevano esaurirsi e rinascere senza soluzione di continuità, al solo schioccare dei pensieri dei due eretici.
In quel nucleo, Abigail si muoveva leggiadra, nuda e perfetta nelle movenze da ninfa. Un senso evanescente di perfezione oppiacea rendeva il continuum in cui lei e Valentine erano immersi simile a un’epopea leggendaria, pregna di risvolti percettivi che sapevano di cannella e zenzero e occhi semichiusi da cui vedere nitidamente scene che si svolgevano altrove; in qualche altro continuum Abigail e Valentine erano divisi da strati energetici completamente diversi, ma lì, in quella bolla di pace, loro due erano inconsapevolmente vivi, felici come mai lo sarebbero stati altrove.
Sillax stava dando gli ultimi ritocchi al nuovo paradigma che li avrebbe ospitati, e al contempo prelevava alcune istantanee che avrebbero costituito il corpo principale della sua fuorviante relazione finale a Totka_II, così da non rivelargli la presenza del sarcofago.
Da qualche parte, Abigail e Valentine erano morti, ma il manufatto alieno tendeva a ricongiungere i diversi strati energetici in un avvenire impossibile, ricostruito al di fuori del flusso probabilistico della realtà. Proprio lì, nella riserva imperiale.
NOTE
Criosonno: condizione di animazione sospesa in cui vengono conservati i corpi dei passeggeri delle navi spaziali, durante la fase di transizione da un punto all’altro della galassia. E’ pratica diffusa per ovviare ai casi di schizofrenia estrema e alienazione che si manifestarono con incidenza preoccupante sui primi soggetti coscienti sottoposti al balzo.
Abisso di Hakenarm: regione sul bordo della galassia priva di sistemi stellari, incuneata tra il Braccio di Orione (in cui si trova il Sole) e il più esterno Braccio di Perseo. Simile a un’ansa, deriva il nome dal tedesco, lingua in cui significa “braccio uncinato”.
Sindrome di Ishimori-Jacob: disturbo neurologico di origine ancora ignota. Si manifesta con un collasso nervoso che porta alla morte nell’arco di un tempo brevissimo. Si conoscono farmaci neurolettici per trattare i sintomi, ma non esiste ancora una cura in grado di causarne una completa regressione.
Freccia di Yi: da una leggenda cinese secondo cui Chang E, moglie dell’arciere Yi, volò fin sulla Luna per non tornare alla Dimora degli Dei e subire le tragiche conseguenze di aver ceduto alla tentazione di aver bevuto il Filtro dell’Immortalità.
Impero Connettivo: Stato sconfinato in grado di dominare non solo sullo spazio (sistema solare, e oltre), ma anche sul tempo. L’imperatore è un monarca assoluto, modellato sui regnanti romani. Al pari dello Stato romano, non tutto il territorio possibile è dominato; esistono i confini e un vasto luogo esterno di cui, all’interno dell’Impero, si hanno nozioni imprecise. L’imperatore è un alieno, vive da prima che l’uomo cominciasse a camminare e ha visto tutte le sue epoche, fino al postumanismo. Nel territorio imperiale vige, come moneta, l’informazione; per questo motivo tutti i postumani che vi abitano hanno spiccate caratteristiche connettive che li pone in Lan cerebrale – nulla di craniale, i processi che portano alla condivisione attraversano, per lo più, lo spettro delle possibilità genetiche. Nell’Impero, essendo un organismo statale che si fonda anche sul tempo, il dominio delle ombre e degli spettri, dei ricordi non morti, ha un posto di rilievo nella vita dei soggetti postumani, molti dei quali hanno sviluppato – attraverso clade genetiche – sensibilità verso l’occulto. Dall’interno dell’Impero si percepisce uno spicchio di futuro non normalizzato, in cui Abigail ha un ruolo sia nel suo tempo, che nel territorio imperiale: una sorta d’invasione temporale che l’imperatore non gradisce.
Ecoformazione: terraforming, progetto di ingegneria planetaria.
Olomemo: dispositivo di memoria che sfrutta le enormi capacità di archiviazione delle strutture olografiche.
Totka_II: erede di Totka_I, imperatore esiliato a causa di sommosse popolari dopo un atto d’ira che gli ha permesso sì di salvare il trono e l’Impero (cristallizzato nella fase finale della sua decadenza in uno splendido momento di tardo splendore, assimilabile al periodo di Costantino I), ma che ha causato la distruzione, oltre che dei suoi nemici, delle infrastrutture pubbliche, private, su cui tutto lo Stato si reggeva; la popolazione era rimasta senza nulla, e ciò aveva scatenato il suo furore.
L’immagine: la copertina di NeXT Iterazione 03, bollettino di cultura connettivista.
Sandro Battisti e Giovanni De Matteo
(LucidaMente, anno II, n. 8 EXTRA, supplemento al n. 22, 15 ottobre 2007)