Per il numero dedicato alla “terza età” riproponiamo, con poche modifiche, un articolo del nostro direttore sull’ultima fase dell’esistenza del celebre giornalista
«Io non ho paura della morte: ho paura di morire, di soffrire. […] Io non voglio soffrire. Della sofferenza non ho un’idea cristiana. La sofferenza non eleva lo spirito, fa male e basta. Ho paura della sofferenza. Nei confronti della morte, io moderato sono assolutamente radicale […] Credo di poter dire che il diritto alla morte è un diritto non meno sacrosanto di quello alla vita. Purtroppo c’è una legislazione che può dare delle grane a chi procura la morte a un paziente che non ha più nulla davanti a sé. Uniamo allora i nostri sforzi per far riconoscere questo diritto […] Non ho paura dei castighi divini, perché sono sicuro di fare un’opera buona combattendo questa battaglia. Io cerco disperatamente un medico che si impegni con me a farmi morire come e quando gli chiederò di morire. Ma non ne trovo. […] Che cosa rende penosa la morte? Il buio, il buio vero, non quello di chi è convinto che, “dopo”, c’è un’altra vita. Io non ho questa fede. Invidio molto chi ce l’ha, ma non la trovo e non posso inventarmela. “Cercala – mi dicono alcuni -. La troverai”. Non è vero. L’ho cercata, e ho smesso da molto tempo».
(da un’intervista rilasciata a La Stampa, 2 dicembre 1999)
«Io credo che il sesso vada liberato da ogni rapporto con la legge morale. Sono due cose del tutto diverse. Si può essere una gran puttana e insieme una grande donna. Si può essere un uomo generoso e coraggioso e debolissimo di fronte al sesso. […] I bordelli mi hanno liberato da tutti i tabù ed i divieti interni che il sesso nell’età giovanile comporta».
(da un’intervista rilasciata a L’espresso, 4 gennaio 2001)
Indro Montanelli
LA RILETTURA
Ci sono persone che, con l’età, peggiorano – e sono la maggior parte – e ce ne sono altre che, al contrario, migliorano e, come un buon vino, assumono aromi impensabili. È quest’ultimo il caso di Indro Montanelli (1909-2001), che, col trascorrere degli anni, oltre a mantenere un’invidiabile vitalità e lucidità di pensiero, divenne sempre più pungente e “fuori dalle righe” del conformismo. È appena il caso di ricordare i forti contrasti con Silvio Berlusconi che gli fecero perdere la direzione di una sua creatura, il Giornale (per antonomasia “di Montanelli”, dalla sua fondazione, nel 1973, al 1994) e fondare, senza molta fortuna, La Voce e sostenere, addirittura, la coalizione di centrosinistra, proprio lui, famoso, anni prima (1976), per aver invitato gli italiani a “turarsi il naso”, ma votare per la Democrazia cristiana.
In Italia non se ne può parlare – Nei brani citati, Montanelli tocca, senza mezzi termini, due tabù della nostra Italietta clericale, bigotta, ipocrita: il diritto a morire in caso di grave malattia e la libertà sessuale. E lo fa con schiettezza e, vista l’età avanzata, con estrema dignità. Affermando una semplicissima, lapalissiana verità anticristiana: «La sofferenza non eleva lo spirito, fa male e basta». Tocca il problema dell’accanimento nel tenere in vita tutti e nonostante tutto (evitiamo di ricordare i pietosi casi di persone in coma da anni cui i tribunali hanno negato l’umanissimo diritto di “staccare la spina”). Invita a una battaglia civile che non è stata ancora recepita dalla politica (vedi: Per una legge pro eutanasia; Il testamento biologico? Intanto, fallo on line!). Infine, da laico vero, accetta e, anzi, prova anche ammirazione per la posizione opposta, quella clerical-cattolica («Io non ho questa fede. Invidio molto chi ce l’ha, ma non la trovo e non posso inventarmela»), ma non rinuncia alla propria.
«Il sesso va liberato da ogni rapporto con la legge morale» – L’altro stralcio si riferisce a un secondo, squallido tabù del nostro povero Paese, ormai rimasto agli ultimi posti nel mondo occidentale quanto a tutela di particolari diritti e a emancipazione in certe tematiche come la libertà sessuale (vedi La felicità, pura, dell’eros). Forse la sua terminologia (“bordelli”, “puttana”) appartiene a quella di un uomo di altri tempi, eppure, anche in questo campo, Montanelli dichiara la cristallina verità del “re è nudo”: la sessualità, il suo “esercizio”, nell’ambito, beninteso, delle leggi, nulla ha da spartire con l’etica. Il sesso consapevole e consenziente tra adulti, in qualunque modalità accettata liberamente, non deve aver alcun limite imposto dall’alto. Affermazione anche questa lapalissiana? Parlatene con gli alti prelati della Chiesa cattolica, contraria persino a contraccezione e coppie di fatto… Il cerchio si chiude: per il cattolicesimo ufficiale, dobbiamo vivere nel dolore e nella sofferenza (la sessualità è, invece, un salutare conforto psicofisico) e morire nel dolore e nella sofferenza (se non ce la facciamo più per una malattia, dobbiamo continuare a soffrire, possibilmente senza usare analgesici).
Il miglior rappresentante di una borghesia italiana che non esiste – Montanelli incarna il meglio della borghesia. Una borghesia laica, liberale, aperta. In pratica, una classe sociale che nel nostro Paese è sempre mancata. Da qui i guasti ormai secolari, e l’anomalia del nostro sistema politico, dal chiuso liberalismo postunitario al fascismo, dal “bipartitismo imperfetto” Dc-Pci – che in pratica comportava una “democrazia bloccata” – all’attuale situazione di coalizioni che reciprocamente non si riconoscono e si delegittimano. Tutto ciò è dovuto alla mancanza di forti partiti realmente e tradizionalmente laici, liberali, liberalsocialisti o laburisti, rappresentanti di una borghesia moderna ed europea, così come avviene nelle altre nazioni occidentali. Noi, invece, scontiamo ancora le due vecchie “chiese”, cattolica e comunista, e una generale arretratezza di una società nel cui tessuto è assente una borghesia attiva e vivace, soppiantata da una classe media corrotta e ben poco laica. Altro che “conservatore illuminato!”. Addio, Indro!
(da Rino Tripodi, Pro eutanasia e libertà sessuale, in LucidaMente, anno I, n. 12, dicembre 2006)
Le immagini: copertina del libro di Gian Luca Mazzini, Montanelli mi ha detto. Avventure, aneddoti, ricordi del più grande giornalista italiano (Il Cerchio, Rimini, 2002), il logo dell’associazione LiberaUscita e foto di Betto (http://www.flickr.com/photos/bettofoto), per gentile concessione dell’artista.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 87, marzo 2013)