Nel suo libro “La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo” (Rizzoli-Bur), Stephen Hawking si interroga sul passato e sul futuro del cosmo
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La teoria della relatività ci spiega che tutto ha avuto origine da una singolarità, un punto di infinita densità e curvatura dove, purtroppo, le leggi scientifiche vengono meno. La Chiesa sostiene che questo è il momento della creazione, un mistero all’interno del quale gli scienziati non dovrebbero addentrarsi troppo.
La teoria classica, tuttavia, non costituisce una buona descrizione dell’Universo e per discutere dei suoi primissimi istanti dovremmo servirci di una teoria quantistica della gravità. Neppure oggi, tuttavia, abbiamo un sistema di sapere completo e consistente che combini la meccanica quantistica con la gravità (la cosiddetta “Teoria del tutto”), anche se sono state fatte diverse proposte in merito. Nel libro La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo (Rizzoli-Bur, pp. 176, € 8,00), la proposta del matematico, fisico e cosmologo inglese Stephen Hawking si basa sulla nozione di tempo immaginario, concetto non necessariamente fantascientifico, che fa scomparire la distinzione tra tempo e spazio, in modo da permetterci di immaginare al riguardo un’estensione finita e senza singolarità. È possibile, allora, figurarsi questo spazio-tempo come una superficie simile a quella della Terra, con due dimensioni in più e senza singolarità, dove non ci sarebbero né confini né margini estremi, arrivati ai quali potremmo solo appellarci a Dio. L’universo sarebbe dunque completamente autonomo e senza limiti: non sarebbe stato creato, né verrebbe mai distrutto. Esso esisterebbe e basta.
Hawking chiarisce che l’idea di uno spazio-tempo senza margini è soltanto una proposta (che arriva tuttavia da un genio della fisica!). Come tutte le teorie scientifiche, dovrà essere confrontata con le osservazioni empiriche, ma getta il seme del dubbio sulla necessità di un creatore e, come dice il fisico statunitense Richard Feynman, nella scienza il dubbio è sicuramente un valore. La tendenza dell’uomo a scomodare Dio quando non comprende i fenomeni della natura ha radici secolari. Gli Egizi adoravano il Sole come un dio, ma poi c’è stato Galileo Galilei, che ci ha fatto capire che la teoria geocentrica propugnata da Tolomeo faceva acqua: bastava puntare un cannocchiale verso il pianeta Giove per vedere cinque satelliti che gli ruotavano intorno, smentendo così l’asserto che ogni astro dovesse necessariamente orbitare intorno alla Terra.
Il fisico tedesco Albert Einstein ci ha poi spiegato che la gravità, questa forza misteriosa che attrae i corpi tra loro, è in realtà una conseguenza della curvatura impressa dalle masse allo spazio-tempo, e la fisica moderna ci ha rivelato che il Sole altro non è se non una reazione nucleare di fusione. Nei primi anni del Novecento, chi capiva qualcosa di teoria della relatività si contava sulle dita di una mano. Oggi decine di migliaia di persone la comprendono e milioni ne hanno almeno una minima conoscenza. La scienza progredisce e un giorno avremo una “Teoria del tutto” che sarà dominio di moltissimi individui. L’uomo ha fatto straordinari progressi nel campo della conoscenza scientifica e comprende sempre di più i misteri del mondo. Non deve ogni volta scomodare Dio. Forse un giorno egli avrà una risposta alle antiche domande: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.
Luca Maltecca – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno VIII, n. 96, dicembre 2013)
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