L’Italiano, soprattutto nella sua forma scritta, è usato correttamente da sempre più pochi. Quali sono le cause?
«Non sanno scrivere». Questa l’affermazione-accusa che si sente ripetere monotonamente nelle università, a scuola, nelle redazioni giornalistiche, nelle case editrici…
Stereotipi? Pregiudizi? Falsità? Purtroppo no. Davvero chi opera nel settore della cultura, dell’editoria, della letteratura, della saggistica, del giornalismo, si trova di fronte a testi sgrammaticati, disordinati, sconnessi, eppure scritti proprio da chi poi dovrebbe intraprendere un percorso professionale o addirittura artistico. E, anche quando non si arriva agli errori ortografici, manca il rispetto elementare della strutturazione dei testi, della loro specificità, delle citazioni, delle regole bibliografiche. A tutto questo si aggiunga l’arroganza, la supponenza, la mancanza di volontà di imparare, l’indisciplina mentale.
A chi attribuire le responsabilità? Ormai tanti sono stati gli interventi al riguardo. Sul banco degli imputati salgono di volta in volta la scuola, la famiglia, la società, l’uso incontrollato dei nuovi media, ecc., ecc. Più nel dettaglio: classi numerose (oltre trenta alunni per aula); troppi disabili e allievi di origine straniera per classe; insegnanti stressati, malpagati, demotivati, schiacciati da folli adempimenti burocratici; il linguaggio invalso, scorretto, di sms, email, social network; in famiglia mancanza dell’amore per la lettura e per la cultura; genitori che inseguono le mode consumistiche, ecc., ecc.
E, poi, gli scaricabarile, per cui i docenti delle scuole superiori accusano quelli delle medie; i docenti universitari le scuole superiori; gli psicologi le famiglie, troppo assenti e permissive; le famiglie i modelli sociali imposti dall’alto; tutti la Rete (con annessi Facebook, YouTube e… persino Wikipedia), i videogame, la Tv-spazzatura e… il malcostume politico. Che i giovani studenti avessero già da tempo difficoltà nella ricerca scientifica, nel rispettare le regole redazionali e nel compilare in modo accurato una tesi di laurea o un saggio, è testimoniato dalla pubblicazione, nell’ormai lontano 1977, del celebre saggio di Umberto Eco su Come si fa una tesi di laurea. Un vero best seller. Tuttavia, si dà il caso che ancora oggi esso venga ripubblicato tale e quale, mantenendo anche alcune sue “direttive” che oggi appaiono superate dai nuovi strumenti di indagine, di ricerca bibliografica, di catalogazione, ecc. Per non dire delle caratteristiche grafiche, come – nella Parte VI del testo dello studioso piemontese – le sottolineature o i caratteri da macchina da scrivere Lettera 32, che, francamente, oggi, nell’era dei computer e dei programmi di videoscrittura, non hanno assolutamente ragione di essere.
Del resto, il fatto stesso che siano prolificati i manuali pratici sullo scrivere correttamente indica come il problema, nel corso del tempo, si sia aggravato, nonostante (oppure, anche a causa dei) i nuovi strumenti informatici e telematici. Un po’ come le «gride» contro i bravi riportate da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi: il fatto che nel corso del tempo si ripetessero a scadenze sempre più brevi e si rafforzassero i provvedimenti contro i farabutti che infestavano la Lombardia del Seicento non denotava che il problema fosse affrontato e in via di risoluzione, ma, semmai, aggravato. E che lo stato non fosse forte, ma debole, e impotente. Così come oggi: si elevano le pene, gli anni di carcere, a mostrare forza e volontà di combattere certi reati, mentre, in realtà…
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno X, n. 109, gennaio 2015)
Ma se nella prima immagine si chiamasse “stile sms” anziché “sms style” sarebbe meglio?
Gentilissimo dott. Pagano, grazie per averci scritto.
La dicitura non è nostra.
Il direttore.