Poveri e, quindi, brutti, sporchi e cattivi. Sono così almeno dieci milioni di nostri connazionali. La vera sfida è quella di (re)integrarli. Ci riusciranno reddito di cittadinanza e quota 100 dell’attuale governo?
Non passa giorno che qualche radical chic politically correct non li insulti sui mass media asserviti. Sono ignoranti, xenofobi, razzisti, islamofobi, fascisti (pure gli ex comunisti), reazionari, omofobi, maschilisti (pure le donne…). Insomma, delle bestie (italiane, beninteso), che non sanno apprezzare le “magnifiche sorti e progressive” (già messe alla berlina da Giacomo Leopardi), della globalizzazione, del liberismo, dei giochi della finanza, della trojka Commissione europea-Banca centrale europea-Fondo monetario internazionale.
La loro principale colpa: essere poveri e (forse) con uno scarso livello di istruzione. Sono “feccia bianca”. Sì, perché, come narrava Ettore Scola nel suo film-capolavoro Brutti, sporchi e cattivi (1976), splendidamente interpretato da Nino Manfredi, se si vive sotto o poco sopra la soglia di povertà assoluta, si diventa così. In Italia sono almeno dieci milioni i cittadini che se la passano male. E, si sa, i poveracci fanno schifo ai benestanti e agli intellettuali. Sono fastidiosi, non vogliono capire che sono di troppo, non sanno l’inglese, non sono colti e piacevoli, vorrebbero diritti ormai desueti quali casa-scuola-sanità e, soprattutto, un lavoro. Dignitoso, sicuro, che ti permetta di metter su famiglia. Ah, la famiglia… Che roba da trogloditi! Figli? Che bisogno c’è di bambini italiani se ci pensano gli arabi e gli africani domiciliati e assistiti nel Belpaese a farne tanti?
Pensiamo quindi piuttosto a integrare gli stranieri (di assimilarli non se ne parla neppure; non volete rispettare la loro cultura?). Son loro il futuro: ci pagheranno pensione e welfare (quale?). Anzi, includiamoli, cioè facciamoli star bene senza che accettino nulla della civiltà che li ospita. Forse neanche certi immigrati sono proprio dei fini intellettuali, e tanti sono poveri come gli italiani, anzi, si scontrano coi più disgraziati per occupare abusivamente una casa o per lavorare a pochi euro l’ora. Più di uno spaccia, violenta, uccide; qualcun altro è fanatico (islamico) e maltratta le donne. Ma, perlomeno, sono brutti, sporchi e cattivi “esotici”. Volete mettere?
E saranno proprio loro gli artefici della Grande Sostituzione denunciata dallo scrittore francese Renaud Camus e auspicata a livello globale quale destino finale dei popoli europei (vedi Direttiva Popolazione dell’Onu). Invece, alla faccia dei benpensanti cattocomunisti, la vera sfida dei tempi odierni è quella di (re)integrare gli italiani, quelli poveri e non solo. Ricreare un tessuto sociale nazionale. Se dopo la sorprendente quanto dirompente unificazione italiana (o annessione ai Savoia) Massimo d’Azeglio se ne uscì con la celebre asserzione «Abbiamo fatto l’Italia. Ora si tratta di fare gli italiani», pure oggi la questione centrale che si pone è quella di ricostruire un’identità nazionale positiva, ma stavolta fondata sulla dignità sociale e del lavoro.
L’anomalo governo gialloverde ha almeno il merito di aver posto la questione, degli italiani poveri e senza lavoro o di quelli troppo vecchi per continuare a lavorare. Tra le misure proposte, il reddito di cittadinanza, i centri per l’impiego, quota 100 per andare in pensione, ecc. Non sappiamo se tali provvedimenti allevieranno la situazione sociale italiana. Ma c’è da augurarselo. Altrimenti, davvero i “brutti, sporchi e cattivi” diventeranno sempre peggiori. E sempre di più i radical chic potranno odiarli e disprezzarli, disprezzarli e odiarli.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XIV, n. 158, febbraio 2019)