Il volume “Censura” (Byoblu Edizioni) di Lucidi, Messora e Perucchietti spiega come, soprattutto dal 2020, il web sia passato da democratico spazio di libertà d’opinione a luogo di violazione della privacy e monitoraggio costante dei cittadini. E di controllo del pensiero dissidente
In questo stesso numero di LucidaMente 3000 abbiamo già parlato dei gravi rischi alla libertà di parola, pensiero e informazione provenienti soprattutto dagli organismi sovranazionali [leggi Ma chi è che vuole imbavagliare la stampa (e i cittadini)? e Libertà di pensiero e di parola? Solo se si è allineati]. Ora intendiamo recensire un libro che già aveva delineato tali pericoli, soprattutto facendo riferimento alle liberticide restrizioni durante l’epidemia da Covid-19.
La pubblicazione di Lucidi, Messora e Perucchietti
Infatti, anche se pubblicato nel relativamente lontano agosto 2021, il volume a più mani Censura. Come reagire all’Inquisizione digitale (Byoblu Edizioni, pp. 360, scontato € 13,00) delinea molto chiaramente il bavaglio già in atto e che andrà aggravandosi.
A elaborarlo sono stati Stefano Lucidi, Claudio Messora ed Enrica Perucchietti. Il libro è diviso in tre parti, ciascuna curata da uno dei tre autori. La prima, scritta dalla Perucchietti, s’intitola «Psicoreato». La seconda (a cura di Lucidi, ex senatore pentastellato) «Espropriare i social». La terza («Come battere la censura. Un caso di studio: Byoblu») è ovviamente opera di Messora, ex capo comunicazione del Movimento 5 stelle, quindi editore dell’omonimo videoblog, divenuto, col tempo, una vera e propria tv (canale 262 del digitale terrestre), interamente libera in quanto finanziata dai cittadini.
Quest’ultima parte narra le vicende persecutorie da parte di YouTube nei confronti del videoblog Byoblu. Si è così cominciato a capire che le piattaforme digitali e i Social, da liberi luoghi democratici dove inserire elementi di dibattito alternativi al conformismo di massa, fossero divenuti, al contrario, strumenti di sorveglianza e controllo di gruppi invisi al potere e dei cittadini: «Non devi necessariamente violare le norme della community; per essere censurato basta che tu non condivida il loro pensiero».
Nella seconda sezione del libro Lucidi traccia una storia-cronologia dei social network e delle Big Tech, esplora il vasto quadro normativo e i possibili scenari futuri in tema di comunicazione digitale.
Nuovi strumenti del capitalismo
E, andando a ritroso, vediamo cosa scrive Enrica Perucchietti nella prima parte del volume. Riprendendo le tesi del sociologo e giornalista bielorusso Evgenij Morozov, occorre disilludersi: le piattaforme e i nuovi media non sono strumenti di libertà e democrazia, ma «l’incarnazione di una nuova forma di capitalismo mascherato da rivoluzione digitale e l’ennesima versione dell’accentramento di potere economico e politico nelle mani di pochi in cui i dati diventano strumento di dominio». Esaltarsi per le nuove tecnologie, anche informatiche e telematiche, significa appoggiare l’ideologia neoliberista, la scomparsa dello Stato sociale e la completa deregulation.
La funzione tutt’altro che liberale delle Big Tech si è rivelata durante le “restrizioni pandemiche”: ogni posizione dissidente rispetto alla falsa ideologia ufficiale è stata subito bollata, se non censurata del tutto. La cultura dominante non accetta la Storia, la tradizione, il senso comunitario e nazionale: ne è grave esempio l’appoggio dato alla cancel culture, il linciaggio dei classici della Letteratura, e persino di Aristogatti, Dumbo, Peter Pan, o della scrittrice della serie di romanzi imperniati su Harry Potter, J. K. Rowling, per aver difeso il concetto di “donna”.
I casi di “oscuramento”, il debunking e il fact checking
In ambito prettamente politico, sono stati cancellati dalle rispettive piattaforme non solo Donald Trump, ma anche Robert F. Kennedy Jr., per la sua campagna contro la somministrazione dei “vaccini” ai minori, e persino Miguel Bosé, schierato contro i liberticidi lockdown.
In ambito giornalistico indipendente, sono molteplici le testate on line “oscurate” (ad esempio, oltre Byoblu, Border Nights, Casa del Sole Edizioni, Radio Radio, Vox Italia Tv), con “storno” dei ricavi, per lo più con pretesti che nascondevano i reali motivi degli interventi censori: le idee dissidenti. Tutto questo non avviene per le grandi tv, i “giornaloni” e gli altri media, quelli sì, davvero di “disinformazione”, colti a ripetizione nel diffondere fake news e nell’usare un linguaggio violento, di scherno o di odio puro verso gli “antisistema”.
Infatti, scrive la Perucchietti, «la violenza e la disinformazione provengono in primis proprio da coloro che si ammantano di slogan buonisti e si infarciscono la bocca di mantra politicamente corretti». Ormai non è più possibile cogliere il confine tra propaganda di regime e informazione, più o meno obiettiva.
La moderna Inquisizione è condotta tramite debunking (demistificazione e confutazione di notizie false e antiscientifiche) e fact checking (controllo della fondatezza dei contenuti).
Censura, criminalizzazione e patologizzazione del dissenso
Chiunque gestisca un blog può ricevere un “cortese” richiamo, ovviamente compilato nel freddo linguaggio tecno-buonista da algoritmo, da parte di organizzazioni ignote ai più. Peccato che le organizzazioni antimenzogne, definite con terminologia militare task force, come Facta in Italia, non siano, come vogliono far credere organismi indipendenti ma siano lautamente finanziate. Ad esempio, la statunitense Poynter Institute dalla Open Society di George Soros, dal “filantropo” Craig Newmark, dal fondatore di eBay Pierre Omidayr o dall’immancabile Bill & Melinda Gates Foundation. Tutti gruppi con posizioni ideologiche ben definite e chiari interessi economici.
«Chi controlla i controllori?» si chiede giustamente la Perucchietti. «L’attuale battaglia contro le cosiddette fake news non è altro che un’articolata caccia alle streghe che ha come obiettivo, la repressione del dissenso. […] Si strumentalizza la questione del cyberbullismo, dell’odio e della disinformazione sul web per portare all’approvazione di una censura della Rete».
Le persone non dovranno più esercitare il proprio spirito critico e cercare di conoscere e interpretare i fatti, ma uniformarsi al pensiero unico diffuso. E chi dissente sarà considerato un “malato”, un “pazzo” («la patologizzazione del dissenso»): «Difendere i confini e le proprie radici, accettare l’esistenza di limiti, criticare la società liquida e la globalizzazione, lo sradicamento costante e la spersonalizzazione dell’individuo, è diventato un morbo da contrastare e curare».
Così, sapendo di essere sempre sotto controllo e punibili, gli individui sono spinti ad autocensurarsi e «una società in cui tutti sanno di essere osservati è una società repressiva che castra sul nascere la spontaneità, la creatività, il dissenso, in poche parole l’impulso alla libertà dell’essere umano».
Le immagini: a uso gratuito da Pixabay e Pexels-Matt Jerome Connor).
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XIX, n. 218, febbraio 2024)