Non sempre ciò che è “più” o viene dopo è migliore, come vuol farci credere il pensiero dominante. La resa ideologica e morale delle sinistre
«È il progresso! Non si può fermare!». Questo è l’allucinante, sciocco, decerebrato, luogo comune che dal Positivismo in poi, quindi da circa 150 anni, viene pronunciato dalla gente comune, dal popolo, senza distinzioni di classe e cultura, di fronte a ogni novità emergente, anche imbecille e peggiorativa dello status quo. Progresso e scienza sono stati assunti a nuovi dogmi, anzi a nuove divinità. E, nel caso della scienza medica, abbiamo visto in occasione dell’epidemia da coronavirus quanto sia stata pericolosa questa divinizzazione.
In particolare in Occidente, è come se le persone, avendo perduto la fede religiosa, l’avessero sostituita con altri, più terribili dei. Ed ecco il cieco mito del progresso. Ciò che avviene dopo sul piano cronologico è per forza migliore di ciò che esisteva prima e che, il più delle volte, viene sostituito. Corollario: anche ciò che è “più” è migliore. Più produzione, automezzi o velivoli più grandi, costruzioni mastodontiche. Si va alla ricerca del record, qualunque esso sia e qualunque cosa possa significare. In via preliminare, ci sarebbe da chiarire almeno un concetto-chiave. Anche se vengono confusi, il progresso non necessita sempre di sviluppo; e, al contrario, non sempre lo sviluppo comporta progresso. Si tratta di idee diverse, legate alla qualità e alla quantità. Il progresso è un reale miglioramento della qualità. Ad esempio, della qualità della vita di una persona, di una produzione alimentare, dell’aria che si respira in una grande città; o, in ambito diverso, del livello estetico dell’arte di una nazione. Lo sviluppo è, invece, caratterizzato dai numeri, dall’aumento quantitativo: più prodotto interno lordo di una nazione, più sportelli bancari, più supermercati, più canali tv, più libri o film prodotti, ecc.
La filosofia illuminista, che per prima ha enfatizzato l’idea di progresso, vedendolo anche come una curva illimitata verso l’alto nel corso del tempo, pensava maggiormente al fatto qualitativo. Che, poi, il progresso non si dovesse fermare mai, costituiva e costituisce una pura illusione. Nella storia e nella cultura i declini sono esistiti ed esistono, come possiamo vedere ai nostri tempi dall’attuale peggioramento in Occidente delle condizioni di vita dei cittadini e dello stato della cultura e dell’istruzione. Come ha affermato Jean-Claude Michéa, la sinistra ottocentesca ha aderito acriticamente all’ideologia illuminista di progresso: dogmaticamente e fanaticamente ha affermato che nel dopo si verificano situazioni migliori del prima e che il nuovo è automaticamente superiore al vecchio (non solo le macchine, ma la cultura, l’evoluzione sociale, ecc.). Tant’è vero che oggi le sinistre postmarxiste sono identificate nel loro complesso come progressisti.
Tale idea di progresso senza fine è falsa: nel passato l’agricoltura produceva frutta e verdura più sana, l’ambiente era meno inquinato, l’acqua era abbondantissima, le famiglie erano in grado di educare meglio i figli, le strutture comunitarie proteggevano i propri componenti, i canoni estetici erano corretti, ecc.; ed è un’idea pure fallimentare perché non permette di scorgere gli arretramenti reali e i disastri dello sviluppo, confuso col progresso. Così, alla fine, nel XXI secolo, i poteri economici rampanti, dal neoliberismo a Big tech, dal globalismo a Big Pharma, dalla finanza internazionale alla cultura di massa politically correct, dai media alla pubblicità, hanno avuto gioco facile a trasformare ai propri fini il marxismo, vale a dire quel pensiero-prassi-realizzazione che sembrava incarnare meglio le istanze di progresso verso un mondo e una società perfetti. Bene espone tale traiettoria Marcello Veneziani in Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti (Marsilio, Venezia 2017, pp. 69-70).
Ecco cosa scrive l’intellettuale pugliese: «La società capitalistica globale ha realizzato le principali promesse del marxismo, pur distorcendole: nella globalizzazione ha realizzato l’internazionalismo contro le patrie; nell’uniformità e nell’omologazione ha inverato l’uguaglianza e il livellamento universale; nel dominio globale del mercato ha riconosciuto il primato mondiale dell’economia posto da Marx; nell’ateismo pratico e nell’irreligione ha realizzato l’ateismo pratico marxiano e la sua critica alla religione; nel primato dei rapporti materiali pratici e utilitaristici rispetto ai valori spirituali, morali e tradizionali ha sposato il materialismo marxiano; nella liberazione da ogni legame organico e naturale ha realizzato il prometeismo di Marx nella sfera individuale; nella società libertina e permissiva ha inverato la liberazione marxiana dai vincoli familiari e matrimoniali; e, come Marx voleva, ha realizzato il primato della prassi sul pensiero. È la società occidentale a decretare il primato del divenire sull’essere, della mutazione della natura, dello sconfinamento sul limite».
In pratica, l’evoluzione delle sinistre dal socialismo al progressismo al pensiero debole liberal radical chic ha significato il proprio asservimento ai poteri economici, che usano armi di distrazioni di massa quali, tra le altre, l’immigrazionismo, l’ideologia lgbtqia+, il femminismo, la liceità dell’uso degli stupefacenti, per nascondere sotto un red carpet l’orrore della glebalizzazione universale. Esempi facili da scorgere, perché sotto i nostri occhi in maniera continuativa, sono la moda e la pubblicità. Entrambe sono sempre esistite, ma la prima era confinata nel campo estetico, la seconda aveva il compito unico di vendere prodotti (più o meno migliorativi della qualità della vita del consumatore). Entrambe, oggi, vogliono imporre un costume, un’etica, una trasformazione antropologica. Lo stesso vale per il cinema, le canzoni, lo sport. Tutto all’insegna di un presunto progresso. E, allora, come difendersi dal cattivo progressismo? Recuperando la cultura, l’arte “alta”, la tradizione, le radici vive e forti. Non a caso scuola, istruzione, cultura, famiglia, popolo e sovranità nazionale sono i bersagli principali dei poteri finanziari e capitalistici sovranazionali. Facile? Nient’affatto! Ma è l’unica possibile risposta alla marea di odio e di ignoranza imperanti e, male che vada, essa costituisce l’ancora di salvezza almeno individuale, se non collettiva.
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 203, novembre 2022)